Il tempo passa, ma non tutto trasforma. Hanno bevuto alla fonte dell’eterna giovinezza, le star del pianismo mondiale Katia e Marielle Labèque. I fisici longilinei, le cascate di riccioli neri, l’argento vivo addosso, gli sguardi che si incrociano nell’osmosi tra un pianoforte e l’altro, e quel tocco fresco e incisivo sui tasti, sinonimo dell’impellenza di esplorare mondi musicali, di ricercare incessantemente nuovi stimoli artistici affrontando con curiosità adolescenziale qualsivoglia repertorio, dal barocco al contemporaneo. Per loro, autori classici e moderni hanno composto (l’osannato maestro Luciano Berio), sollecitato interpretazioni (Olivier Messiaen), espresso dediche (Miles Davis).

La tournée 2018 delle sorelle franco-italiane che il New York Times definisce «The best piano duo in front of an audience today», tocca diverse località degli Stati Uniti, del Canada e di molti Paesi europei tra cui l’Italia, dove il duo raddoppia, affiancato ai talenti delle percussioni Simone Rubino e Andrea Bindi, in un programma di raro ascolto che testimonia la predilezione delle Labèque per le contaminazioni. Il concerto si è aperto con l’esecuzione, in prima italiana dopo la presentazione parigina, di “El Chan” composto nel 2016 dall’americano Bryce Dessner e trascritto nella versione per due pianoforti appositamente per Katia e Marielle. Le quali hanno giostrato sulla cura dei particolari, la descrizione che Dessner fa della natura selvaggia del Messico e le leggende che vogliono abitato da creature fantastiche il lago vicino a San Miguel, alle cui acque sono attribuite virtù magiche. Consequenziale, il passaggio all’esponente dell’etnomusicologia Béla Bartók, con una selezione di brani da “Mikrokosmos”, da lui stesso trascritti per due pianoforti, che ha condotto le magistrali doti tecniche delle protagoniste attraverso questo studio didattico, che parte dalla semplicità dell’ispirazione attinta a fonti popolari, fino a giungere a momenti grandemente difficoltosi.

“Thirteen drums” op. 66, datata 1985 di Maki Ishii, ha visto impegnato su tredici membranofoni Simone Rubino, la cui potenza dinamica ha esaltato i colori tonali, guarniti dall’ipnotica spettacolarità del gesto. A prorompere con vivacità e, per gli ascoltatori, rassicurante notorietà, le Danze con le quali Brahms nobilitò la tradizione ungherese, nella versione originale in cui i “gran coda” sono chiamati a simulare le sonorità degli strumenti tzigani, riconducendo il folclore a una bellezza multisfaccettata, di intrinseca eleganza.
I quattro si sono riuniti tornando su Bartòk nella “Sonata per due pianoforti e percussioni”, partitura votata alla sperimentazione che si è riflessa nel dialogo virtuosistico a più voci, splendidamente bilanciate, esito delle diverse sensibilità interpretative fattesi complici nella ricerca estetica di un cromatismo d’assieme. Caratteristica questa, propria di Katia e Marielle, una estroversa e l’altra riflessiva; dalle indoli diverse ma non opposte, bensì complementari, simbiotiche. L’affiatamento da ensemble, la musicalità innata, la perfezione con la quale il suono è stato studiato e soppesato e ogni nota è uscita sgranata e trasparente, il sincronismo che ha rasentato l’unisono, le ha portate, in questa, come in qualsivoglia occasione, a incarnare una entità dai due volti, con quattro mani e un unico cuore. E anche un solo respiro, empatico e capace di sprizzare quei «fuochi d’artificio» che Ira Gershwin descrisse nel sentirle in un lavoro del fratello George. Come se durante il concerto esistessero loro sole, il fraseggio era dialogo intimo eppure mai riservato, anzi estroverso, di presa magnetica sul pubblico, in un approccio agli strumenti e ai righi musicali passionale, entusiastico e gioioso. Al termine, uno dei bis prediletti: la polka di Alfredo Berio, papà di Luciano. Un ritorno alle origini, a quando le due, ancora bambine, suonavano a quattro mani sul piano di casa. Forse, è il sospetto, sita nello Shangri-La.

 Visto al Teatro Sociale di Mantova per la Stagione Tempo d’Orchestra, il 18 gennaio 2018.
Contributi fotografici di Umberto Nicoletti e Maria Luisa Abate.

Resoconto Maria Luisa Abate