Un’operazione intelligente, il cui valore artistico era inversamente proporzionale ai costi organizzativi contenuti. Sono rare le occasioni d’ascolto della “Petite messe solennelle” nella versione originale, scritta da Gioachino Rossini nel 1863 ed eseguita per la prima volta l’anno seguente, per poi essere orchestrata solo nel 1867. Si tratta di un brano sacro, considerato il testamento spirituale del compositore, facente parte di quella produzione da lui stesso chiamata Péché de ma vieilesse, peccati di vecchiaia.
Al Teatro Filarmonico di Verona, i solisti e il coro – una sessantina di elementi, ossia un organico più numeroso di quanto inizialmente immaginato da Rossini – sono stati accompagnati da due pianoforti e harmonium, come nella primigenia stesura. È lapalissiano che la concisione strumentale abbia permesso alle voci di emergere, e conseguentemente di esaltare la forza della parola nel dialogo intimo d’elevazione spirituale.
A dirigere con attenzione ai tempi era Vito Lombardi, il cui consolidato affiatamento con il Coro dell’Arena è sfociato in compattezza e in un fraseggio prodigo di sfumature e di accenti interpretativi. Anche le voci soliste, sollevate dalla necessità di “spingere” per sovrastare i volumi sonori come avviene in presenza dell’orchestra, hanno potuto concentrarsi sull’espressività, sulla cura dei particolari della linea stilistica. Il soprano Francesca Tiburzi ha dato il meglio di sé e del proprio temperamento nei registri medio alti, e Leonardo Ferrando ha giudiziosamente assoggettato la voce chiara da tenore a quell’umiltà richiesta dalla partitura. In risalto, le prestazioni del contralto Alessia Nadin, che ha denotato padronanza in tutta la gamma, giostrando, all’occorrenza, tra pastosità e squilli svettanti, e del basso Christian Senn, di sempre grande eleganza e dal fraseggio raffinato e ricco di colori.
Ai pianoforti, interpreti sensibili, Edoardo Maria Strabbioli e Vittorio Bresciani, nel susseguirsi dei movimenti sempre più centrati nel raggiungere il necessario smalto. Al loro fianco, anzi fisicamente nel mezzo, una presenza che ha catalizzato l’attenzione: il Sovrintendente e Direttore Artistico di Fondazione Arena Cecilia Gasdia, impegnata all’harmonium con attenta precisione. Questi artisti hanno offerto gratuitamente la loro professionalità, quale dono all’affezionato pubblico.
Il concerto ha arricchito la Stagione invernale rendendo omaggio al genio pesarese, in occasione dei 150 anni dalla sua scomparsa. La data unica ha altresì coinciso con la Notte Europea dei Musei, e l’ingresso alla sala è avvenuto transitando attraverso il Museo Lapidario Maffeiano.

Recensione Maria Luisa Abate

Visto il 19 maggio 2018 al Teatro Filarmonico di Verona
Foto Ennevi per gentile concessione di Fondazione Arena di Verona