Moses Pendleton è l’artefice di una rivoluzione che innanzitutto annienta le barriere di genere. Le sue creazioni per i Momix uniscono danza, acrobazia e sport ginnici, trasformismo e illusionismo, diventano arte visuale. Utilizzando riferimenti a temi filosofici e spunti spirituali, dai riti tribali fino ai miti dei giorni nostri, Pendleton innesta e fa germogliare la metafisica sulla fisica, il reale sul surreale, la fantasia sul raziocinio, generando quello che lui stesso definisce “flusso di incoscienza”, “aspettare l’inaspettato”, “la logica dei sogni”. Poesia destinata a sorprendere e a celebrare la Bellezza in ogni sua forma: della musica, dell’uomo, della vita, della Terra.
Gli interpreti si esprimono tramite ogni parte del corpo oppure utilizzando attrezzi. Anche quando sono soli sul palco non possono definirsi dei solisti perché sono chiamati a integrarsi in un concetto d’assieme, un (Mo)mix di effetti stupefacenti, di musica e suoni, colori e luci. Risultano evidenti lo sforzo muscolare e la facoltà di superare i limiti fisici, l’eccelsa tecnica tersicorea e circense, la versatilità portata all’estremo grado, la ricerca dinamica, la voglia di sperimentare. Le membra si contorcono e si aggrovigliano, i costumi si allungano o accorciano e assumono svariate forme, per dare vita a chimere, a miracoli della Natura o immaginazioni virtuali, a corolle di fiori vivi o animali fiabeschi. Il filo conduttore è la continua metamorfosi, l’optical confusion.

Ogni tentativo di descrizione letteraria, ogni foto non può risultare minimamente esaustiva perché la staticità di uno scritto o di un’immagine è l’opposto delle trasformazioni che avvengono incessantemente sotto lo sguardo dell’osservatore, in un magico divenire. Lo stupore è immutato dall’anno della fondazione dei Momix, il 1980. In realtà il 1971, se si considera il primigenio gruppo dei Pilobolus, come ricorda Enrico Pieruccini nelle sue belle e dettagliate note al libretto di sala. I Pilobolus nacquero dall’idea di uno sciatore, Moses Pendleton, e di un ciclista figlio di un biofisico, Jonathan Wolken, cui si aggiunsero Robert Barnett e Lee Harris, che poco dopo si dedicò alla progettazione di computer. I quattro si iscrissero al corso di Alison Chase, danzatrice classica laureata in storia e filosofia, che insegnò loro la composizione coreografica e che entrò nel gruppo assieme a Marta Clarke, allieva della mitica Martha Graham. Una genesi che dice tutto.

Il rapporto dei Momix con il Teatro Romano è sempre stato speciale fin dal 1994, anno in cui per la prima volta approdarono a Verona. Da allora hanno rappresentato una dozzina di spettacoli, tutti con un lungo calendario di repliche per la quasi totalità sold-out. La 70a edizione dell’Estate Teatrale Veronese 2018 ha visto Viva Momix”, collage tra pezzi di successo e novità assolute, tarato ad hoc per questa suggestiva location. Infatti lo stile della Compagnia si contraddistingue per non essere mai eguale a sé stesso, per la consuetudine di lasciare margine all’espressività dei singoli interpreti, in continuo ricambio.
Sulla colonna sonora che ha spaziato da Bach ai Massive Attack da Morricone a sonorità elettroniche, gli interpreti Beau Campbell, Nathaniel Davis, Greg De Armond, Seah Hagen, Catherine Jaeger, Lauren Jaeger, Hannah Klinkman, Jerimy Rivera e Colton Wall hanno iniziato la serata giostrando con le immagini riflesse da specchi, davanti ai quali le ragazze hanno scosso voluttuosamente le lunghe chiome e sopra le quali si è materializzato un uomo-ragno dalle molte gambe. Poi il buio si è acceso di un tappeto di stelle e sotto esse una linea blu ha iniziato a incresparsi, formando onde che si sono rincorse veloci e sempre più alte. In diversi momenti, un danzatore che pareva uscito dalla fucina di Vulcano ha fatto guizzare sui piedi due vere fiamme; tre uomini hanno eseguito balli tribali facendo leva su lunghe pertiche; una fanciulla ha compiuto eterei volteggi dondolandosi appesa a una fune e un’altra ha piroettato per un tempo incredibilmente lungo facendo roteare una corolla di fili metallici. In un quadro, protagoniste sono state le rosse tondeggianti protuberanze che hanno girovagato spiritosamente per i corpi femminili, amplificando i glutei o i seni e simulando pance allegramente gravide. Una gigantesca vela ha ondeggiato sinuosa come sospinta dalla corrente sul fondo del mare. Ancora, conchiglie opalescenti con valve pulsanti dalle quali sono nate Veneri, e allucinazioni optical nella giungla urbana sommersa da una pioggia di caratteri grafici incolonnati verticalmente. Inoltre, uno dei must dei Momix, il “teatro nero”. Qui l’inganno visivo è venuto da braccia e gambe fluorescenti, disarticolate e riassemblate con la casualità di tessere in un caleidoscopio di suggestioni, a disegnare nell’oscurità esseri immaginari fluttuanti nello spazio e immuni dalle leggi di gravità.
Un manuale di inventiva, un incanto ipnotico che ancora una volta ha lasciato colmi di gioiosa meraviglia.

Recensione Maria Luisa Abate

Visto il 1 agosto 2018 al Teatro Romano di Verona
Foto Brenzoni gentilmente fornite da Estate Teatrale Veronese.