Una botola si è aperta e Ted Neeley, nella bianca tunica di Gesù, è assurto letteralmente in scena. L’allestimento di Jesus Christ Superstar prodotto da PeepArrow Entertainment ha trovato il punto di forza nella lusinghiera presenza dell’attore e cantante che ha ricoperto il ruolo protagonistico dell’opera rock composta da Andrew Lloyd Webber fin dagli inizi del mito, da quando, quarant’anni or sono, la versione cinematografica conquistò fama planetaria.
La struttura metallica che costituiva il palcoscenico mobile era posta al centro del più ampio palcoscenico dell’Arena di Verona, a circoscrivere lo spazio dell’azione e ad accogliere parte dell’orchestra diretta da Emanuele Friello, con un nucleo assiso ai piedi di tre colonne girevoli (scenografie Teresa Caruso). Una scalinata di colore chiaro ha favorito il movimento dei personaggi, abbigliati come da tradizione (costumi Cecilia Betona) e le proiezioni video hanno condotto con l’immaginazione tra antiche rovine, attraverso paesaggi punteggiati da ulivi, o ancora a essere lambiti da lingue di fuoco che distrugge, purifica e favorisce la successiva rinascita. In sovrimpressione, i passi dei Vangeli hanno fatto da traccia alla narrazione dello spettacolo e attestato quanto siano ormai lontani i tempi in cui l’opera rock aveva costituito un momento di rottura, per il linguaggio innovativo nel trattare i temi di fede che aveva infranto i vecchi stereotipi e ne aveva creati di nuovi. Il potenziale comunicativo di questi ultimi è stato cavalcato dalla regia di Massimo Romeo Piparo, il quale ha tessuto relazioni d’attualità abbinando alla scena del supplizio di Cristo che si fa carico dei mali del mondo, immagini di Auschwitz, del fungo atomico, delle torri gemelle e di altre catastrofi che hanno segnato la storia dell’umanità.
La voce di Ted Neeley si è inspessita nei registri medio-bassi acquistando in espressività, accentuata da passaggi che hanno utilizzato la forza della parola, e le fantasmagoriche note sovracute, limpide come sempre, sono state dispensate a piene mani mandando in visibilio i fans. L’interpretazione non è stata di routine. Neeley ha donato tutto se stesso senza risparmiarsi, toccando le corde dell’animo degli ascoltatori nella preghiera del Getsemani, e ha esercitato un potere scenico magnetico, catalizzatore ancorché rispettoso del restante cast, meritevole di condividere con lui le ragioni del successo iniziando da Simona Distefano, Maria Maddalena, dal timbro caldo e rotondo di bellezza lampante. Nick Maia ha ottimamente personalizzato con variazioni la parte di Giuda. Andrea Di Persio ha compiuto un accurato studio introspettivo sul personaggio di Pilato, splendidamente tormentato dai dubbi. Magnificamente centrati nei ruoli Caifa e il viscido serpente Hannas, rispettivamente Francesco Mastroianni e Paride Acacia. Poi la dirompente espansività di Simone, Giorgio Adamo; il giocare con toni sopra le righe di Erode, Salvador Axel Torrisi; il senso del destino espresso da Pietro, Mattia Braghero.
La scena forse più famosa, inneggiante a Gesù superstar, è stata realizzata tramite una ripresa video trasmessa in diretta sullo schermo, che ha visto Giuda e il Corpo di ballo (coreografie Roberto Croce) attraversare la platea areniana dove era seduto un ospite d’eccezione: l’autore delle liriche, il Premio Oscar Tim Rice.

Recensione Maria Luisa Abate

Visto all’Arena di Verona il 14 agosto 2018
Contributi fotografici Margot De Heide e MiLùMediA for DeArtes