Il titolo “Spie allo speccho” non lasciava dubbi sull’argomento della chiacchierata tra Agnese Grieco con Giacomo Papi, Achille Filipponi e Matteo Milaneschi della redazione di un magazine che si occupa di ricercare e pubblicare materiali tratti dagli archivi, siano essi di divi rock o di 007, con l’intento di dare risalto a materiali poco studiati. Durante l’incontro di Festivaletteratura in piazza Alberti, il taglio è stato dissacratorio nel presentare le immagini della Stasi, la polizia segreta della Germania comunista. Le fotografie, ritrovate da Simon Menner, secondo Papi mostrano l’aspetto “spontaneamente ironico” che avevano le spie. Le quali erano solite fotografarsi tra di loro, per verificare che il camuffamento all’occidentale fosse efficace. Parliamo di anni in cui il look occidentale, imitato dagli agenti in incognito, prevedeva pantaloni a zampa d’elefante e chiome ispide.
In questo archivio, Papi vede una sorta di manuale per spie, per aspiranti infiltrati. Ed emerge anche un lembo di storia della fotografia. Solo due anni dopo l’invenzione di Dagierre, spiega Papi, i primi scatti sono di un ladro e di una prostituta. La polizia aveva subito capito che l’immagine servisse a “neutralizzare il male”. Gli assassinii di Lincoln, Stalin, Lenin o di chiunque altro, fino alle Brigate Rosse o all’Isis, attestano una strategia della raffigurazione che con internet non coinvolge più il solo criminale, ma tutti. Per quanto riguarda la Stasi invece la prospettiva è rovesciata: non vediamo il criminale ma la spia. Vediamo quelli che dovrebbero essere invisibili. E questo, afferma Papi con convinzione, ha uno straordinario effetto comico. Capiamo che il potere, quando lo guardiamo in faccia, è risibile e non fa più paura, è la tesi di Papi, che prosegue ricordando che ultimamente siamo noi stessi a farci controllare: i selfie postati sui social sono auto foto segnaletiche.
Agnese Grieco è una scrittrice e regista teatrale, ed è inviata da quasi vent’anni a Berlino. Spiega che la Stasi nasce nel ’50 come servizio segreto di tipo staliniano, definita lo scudo e la spada dei comunisti. È un’organizzazione che opera con qualsiasi mezzo per far sì che il comunismo vinca. Le foto servivano anche per le perquisizioni: si invitava a scansionare le stanze prima di procedere, per poi essere sicuri di rimettere tutto a posto. Con la morte di Stalin il numero di agenti segreti raddoppia, tra quelli classici e una schiera di collaboratori non ufficiali. La situazione ideale della DDR era che tutti fossero nella Stasi, che tutti controllassero tutti. Alla fine di quel periodo c’erano oltre centonovantamila osservatori. La Germania con l’unificazione ha permesso ai cittadini di avere accesso a questi documenti e scoprire che erano spie anche i vicini di casa o i propri figli.
L’iconografia dell’occidente diventa psicosi. Ora guardiamo le immagini e viene da ridere, perché sono dei cliché e ai nostri occhi paiono una buffa messa in scena. Ma non c’è da ridere, afferma Agnese Grieco, che ha visto con i propri occhi una delle carceri della Stasi….

Resoconto Maria Luisa Abate

Visto a Festivaletteratura Mantova l’8 settembre 2018
Foto MiLùMediA for DeArtes