Il Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova ha avviato i lavori di restauro della Galleria della Mostra, lo straordinario salone che ospitava la superba collezione d’arte dei Gonzaga. Si tratta di un’attività attesa da molti anni che consentirà l’integrazione della sala in un nuovo percorso museale, da inaugurarsi in occasione della grande mostra “Con nuova e stravagante maniera” su Giulio Romano che inaugurerà il 6 ottobre 2019.
«Dopo il sisma del 2012 – ricorda il Direttore Peter Assmann – la magnifica Galleria della Mostra è rimasta chiusa al pubblico. La sua sorprendente spazialità, le sue decorazioni, il pregio del suo soffitto ligneo finemente lavorato sono stati preclusi ai numerosi visitatori che in questi anni hanno frequentato la reggia. Da oggi inizia finalmente un percorso in grado di restituire questo bellissimo saggio di architettura al suo pubblico».

La Galleria della Mostra – ubicata in Corte Nuova tra la Galleria dei Mesi e l’accesso all’appartamento dell’Estivale o della Rustica – è uno dei più vasti ambienti di Palazzo Ducale: un enorme vano di 64 metri di lunghezza 64, largo quasi sette metri e alto otto. Illuminata da nove finestroni rivolti sullo straordinario Cortile della Cavallerizza, la galleria fu iniziata nell’ultimo decennio del XVI secolo su progetto di Giovan Battista Bertani, per essere adibita a luogo di esposizione per le tele e i reperti della portentosa collezione della famiglia Gonzaga. Il suo nome deriva dunque proprio da questo, dalla volontà della famiglia mantovana di “mostrare” agli ospiti la propria grandezza.
Dopo anni di splendore, nel 1754 cominciarono a emergere i primi problemi conservativi, specialmente al notevole soffitto ligneo a cassettoni e alle pareti dipinte della Galleria, a seguito di infiltrazioni d’acqua. Anno dopo anno, nel 1875 si verificò l’infausto crollo che portò a una serie di ulteriori demolizioni delle parti pericolanti: sopravvissero fortunatamente due preziose campate che fungeranno da riferimento fondamentale per i lavori di recupero effettuati tra il 1933 ed il 1934.

In quelle date infatti vengono finanziati dei robusti interventi su generosa elargizione del mecenate americano Samuel Henry Kress – ricordati da una targa ancora oggi esistente – grazie ai quali la Galleria della Mostra è giunta sino ai giorni nostri in buono stato. Non seguirono infatti altri restauri, se non alcune riprese sugli apparati decorativi dipinti ad affresco e a tempera intorno agli anni Sessanta. Dopo il terremoto del 2012, che danneggiò la collezione dei marmi ivi allestita, la Galleria venne chiusa al pubblico per questioni di sicurezza e da allora non è più stata inserita nei percorsi museali della reggia gonzaghesca.
L’intervento odierno prevede una revisione completa di tutte le superfici. Le principali operazioni da svolgere sulle murature riguardano il consolidamento e la riadesione dei distacchi di intonaco e della pellicola pittorica, la pulitura delle superfici, la stuccatura e la reintegrazione degli strati di colore. Per quanto riguarda il soffitto ligneo si prevede la disinfestazione, il consolidamento della pellicola pittorica, la pulitura e il raccordo cromatico, con particolare riguardo alle zone interessate da macchie di umidità. Per quanto attiene alle parti scultoree si prevede l’eventuale consolidamento e la pulitura. Dove necessario si provvederà alla riadesione dei frammenti o all’integrazione delle eventuali mancanze. Per quanto concerne i busti in gesso posizionati negli ovati (22 in totale) è necessario provvedere alla rimozione dei depositi superficiali e alla verifica della loro stabilità in sede. Il cantiere sarà anche occasione per analizzare i materiali ed approfondire le tecniche impiegate nelle decorazioni.

Un approfondimento tecnico a cura dell’Impresa Marchetti e Fontanini
Il nuovo restauro della Galleria della Mostra scaturisce principalmente dalla necessità di porre rimedio al progressivo e rapido deterioramento del complesso apparato decorativo realizzato tra il 1605 e il 1611. Nel 1933, epoca del considerevole intervento condotto dal pittore-restauratore Arturo Raffaldini, con l’assistenza di sette pittori-restauratori, la Galleria versava in uno stato desolante: le pareti conservavano ancora significative tracce della decorazione originale, mentre del soffitto ligneo a lacunari rimanevano in loco esclusivamente il secondo e circa un terzo del quarto comparto. Con l’impiego dei finanziamenti erogati dal collezionista mecenate Samuel Kress si diede pertanto inizio a una completa opera di ricostruzione delle parti mancanti, sia della cassettonatura, che delle pareti, e di restauro di quel che restava di originale. In un articolo del 1934, Clinio Cottafavi rileva: “le decorazioni andavano perdendo dorature e colori perché staccavasi a squame l’apparecchiatura di gesso applicata sui legnami…”.

Queste stesse condizioni, difficilmente apprezzabili da terra, sono ora state riscontrate grazie alla visione ravvicinata, dopo l’approntamento del ponteggio, che ha rivelato appieno la diffusa precarietà delle stesure pittoriche soprattutto del soffitto, consentendo anche di caratterizzare e discriminare l’intervento del Raffaldini, condotto con materiali differenti rispetto alla tecnica esecutiva seicentesca e qualificato, pratica comune all’epoca, da ridipinture e sovrapposizioni estese al dipinto originale, poco rispettose ma efficaci nell’accordare le parti nuove a quelle conservate. Il restauratore ebbe anche cura di riprodurre le consunzioni e le lesioni che caratterizzavano le stesure conservate, abradendo le aggiunte con spazzole dure e patinando l’insieme per riproporre l’alterazione cromatica dovuta all’invecchiamento.

L’estrema delicatezza della tecnica originale, che si avvale di colori igroscopici e poveri di legante, esige una particolare attenzione nella scelta dei materiali da impiegarsi nel restauro attuale, che dovranno soddisfare esigenze di buona stabilità termica e meccanica, di scarsa interferenza cromatica, di elasticità e reversibilità nel tempo. L’intervento effettuerà inoltre il controllo della tenuta dell’ornamentazione lignea, con rinsaldo degli elementi distaccati o lesionati e la sigillatura delle fessure e delle commettiture dell’assito che lasciano filtrare polveri e detriti dal sottotetto.
Anche la decorazione parietale, organizzata in dipinti murali, lesene, capitelli, cornici, riquadri con rilievi e nicchie in stucco che accolgono busti in gesso patinato, ripropone le problematiche conservative del soffitto con diffusi sollevamenti e mancanze nelle stesure pittoriche, dissesti e distacchi tra i vari livelli d’intonaco e gli stucchi, patine superficiali dovute sia a corposi depositi di polveri che all’alterazione dei trattamenti applicati nel corso del primo restauro e dei successivi interventi manutentivi. Anche sulle pareti Raffaldini non si limitò al restauro delle decorazioni secentesche, ma intervenne liberamente reinterpretando alcune scene degli sfondati o riproponendole ex novo in quelle più ammalorate o del tutto perse. Sovrappose ad ogni elemento della decorazione un trattamento resinoso, probabilmente una miscela di cera e resina, efficace inizialmente nel ravvivare i colori e rendere più leggibile la raffigurazione, ma poco duraturo nel tempo, ora alterato sotto forma di patine biancastre che occultano la superficie pittorica. La tecnica impiegata nelle nuove scene è riconducibile a quella ampiamente sperimentata e brevettata da Raffaldini che si professa riscopritore dell’antica pittura ad encausto.
In questa fase iniziale si stanno esaminando l’indirizzo e il limite che caratterizzeranno l’intervento e garantiranno un’armoniosa coesistenza tra rifatto e preesistente, scelta demandata all’esito dei risultati delle prove in corso, da vagliarsi con la Direzione Lavori, composta da uno staff multidisciplinare di Tecnici dalle differenti competenze: storici dell’arte, architetti, restauratori.

C.S.
Fonte: pal-mn.press

Reportage fotografico by MiLùMediA for DeArtes