Siamo in piena Art Déco. Adriana Lecouvreur è una diva alla Lyda Borrelli e fa il suo ingresso in scena su una poltrona contornata dalle stesse lampadine che illuminano gli specchi dei camerini teatrali. Da una parte i palchi in visibilio dall’altro lato, il dietro le quinte. Nel mezzo lei: l’attrice. C’è teatro nel teatro, nell’opera di Francesco Cilea, il confondersi tra realtà e finzione, tra contesto privato e pubblico, tra sentimenti vissuti e recitati. E c’è anche il rapporto, al contempo simbiotico e conflittuale, tra arte e artista, che rende indistinguibile la commedia dal dramma, fino all’ultimo alito di vita. 

Adrienne Couvreur o Le Couvreur visse realmente nel 1700 e fu una delle interpreti di spicco della Comédie-Française. Morì molto giovane, forse avvelenata da una collega rivale, forse vittima di un filtro d’amore. La sua storia fu narrata da Eugène Scribe ed Ernest-Wilfrid Legouvé e al loro testo si ispirò Arturo Colautti per confezionare il libretto. Adriana Lecouvreur è stata rappresentata al teatro Filarmonico di Verona nell’allestimento As.Li.Co. di cui Invan Stefanutti ha confezionato la regia, traghettando la vicenda dal Secolo dei Lumi agli inizi del Novecento, ossia allo stesso tempo in cui l’opera fu composta.

A rievocare gli albori della cinematografia e la nascita del divismo, in scena ed esteso a oggetti e persone, regnava il bianco e nero che, negli atti successivi al primo, ha assunto tonalità ambrate, in una penombra di romantico decadentismo (luci Paolo Mazzon). Stefanutti ha scelto i sontuosi costumi dell’atelier Nicolao di Venezia e ha firmato la scenografia, riservando a quest’ultima grande rilievo nell’economia globale dello spettacolo, ultra collaudato e godibile. Una libertà ideativa ha riguardato il momento danzato, che il coreografo Michele Cosentino, anziché incentrare sul Giudizio di Paride, ha affidato,a un fauno statuario mossosi al chiarore della luna attorniata da nubi.

Massimiliano Stefanelli sul podio dell’Orchestra dell’Arena di Verona si è prodigato alla ricerca delle sfaccettature della partitura, della linea melodica che Cilea attinse alla tradizione francese per poi innestarla sullo stile verista. Una lettura attenta alle trasparenze e parimenti alla densità materica dei colori espressa in volumi spesso importanti, che non hanno impensierito i protagonisti principali.

L’emissione che “corre”, i filati, le morbidezze, la pastosa omogeneità della gamma, la capacità di tornire l’emissione che il pubblico veronese – in particolare areniano – ben conosce a Hui He, sono emerse anche in un ruolo che presenta la necessità di tratteggiare l’ostentato divismo di Adriana. Caratteristica che il soprano ha tradotto in una drammaticità che potrebbe definirsi sottopelle tuttavia ben percepibile, e sfociata in malinconico struggimento negli attimi del delirio e della morte causata da un mazzetto di violette al profumo d’arsenico. Fabio Armiliato si è confermato un grande interprete. Il controllo della voce, favorito dalla scioltezza nell’uso della tecnica, lo squillo radioso, la pienezza e ricchezza di accenti nell’intera linea di canto, sono elementi andati di pari passo con la sapienza attoriale. Ne è uscito un personaggio magnetico, seduttivo, perfettamente calzante a Maurizio, Conte di Sassonia.

Convincente e padrona della scena Carmen Topciu ben proiettata e la cui ricerca coloristica è valsa una rilevante interpretazione della rivale in amore, la Principessa di Bouillon, colei che invierà ad Adriana i fiori avvelenati. Ha fatto ricorso alla lunga esperienza Alberto Mastromarino, espressivo nel tratteggiare Michonnet di toccante umanità. Appropriatamente delineata la figura del Principe di Bouillon, Alessandro Abis, mentre l’Abate di Chazeuil è stato risolto con esiti ragguardevoli da Roberto Covatta. Completavano il cast Klodian Kacani, Poisson; Massimiliano Catellani, Quinault; Jessica Zizioli, Mad.lla Jouvenot; Annapaola Pinna, Mad.lla Dangeville; Michelangelo Brunelli, Maggiordomo. Al solito puntuale la prova del Coro areniano, preparato con diligenza da Vito Lombardi.

Il Sovrintendete Cecilia Gasdia ha dedicato il titolo alla memoria di Daniela Dessì, una delle maggiori protagoniste della nostra epoca e indimenticabile interprete di questo ruolo; compagna sulla scena e nella vita del tenore Armiliato. La Fondazione “Daniela Dessì” si dedica alla prevenzione oncologica e alla “prevenzione del malessere”, per migliorare la qualità della vita attraverso la pratica di ogni forma d’arte.

Recensione di Maria Luisa Abate

Visto al teatro Filarmonico di Verona il 7 aprile 2019
Foto Ennevi per gentile concessione di Fondazione Arena di Verona