Roma dedica per la prima volta una mostra monografica a Medardo Rosso. È il Museo Nazionale Romano, diretto da Daniela Porro, che nella sede di Palazzo Altemps presenta dal 10 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020 l’ambiziosa rassegna in collaborazione con la Galleria d’Arte Moderna di Milano e grazie al sostegno del Museo Medardo Rosso di Barzio, con l’organizzazione e la promozione di Electa.

L’inedita selezione di opere in cera, gesso e bronzo, e delle loro trasformazioni, accostata alla collezione di sculture di Palazzo Altemps indaga, come mai prima, la relazione con l’antico e il concetto di copia in Rosso. Con la curatela di Francesco Stocchi, curatore del Boijmans Museum di Rotterdam, di Paola Zatti, conservatrice della Galleria d’Arte Moderna di Milano, e con Alessandra Capodiferro, responsabile del Museo di Palazzo Altemps, l’esposizione intende documentare come il grande artista abbia posto le basi, tra il 1890 e il 1910, al pensiero moderno sull’idea di copia non più intesa come riproduzione, ma come interpretazione: anticipando le avanguardie artistiche del Novecento.

Bambina ridente – Rieuse – Grande rieuse – Enfant au soleil – Enfant juif – Enfant malade – Uomo che legge – Ecce puer sono i modelli selezionati per seguire l’elaborazione del soggetto che con Medardo Rosso prende vita, in rapporto con la luce e con la materia, divenendo ogni volta un’opera a se stante: un originale.
I soggetti dall’antico Antioco III – Niccolò da Uzzano – Memnone – Vitellio – San Francesco, creano invece un rimando incrociato con le antiche sculture custodite a Palazzo Altemps, portando anche su queste nuova luce. Le opere di Rosso spingono a una rilettura della pratica della copia in epoca antica e della storia del collezionismo nel Rinascimento e nell’età barocca, narrata dalla raccolta del Museo.

«Un’operazione che si pone in continuità con una riflessione già avviata dal Museo Nazionale Romano – dice il Direttore Daniela Porro – La nuova strategia espositiva è sempre caratterizzata dal dialogo, dal confronto e dalla contaminazione tra diversi periodi e generi della storia dell’arte rispetto alle collezioni custodite». Accanto alle ventinove opere in bronzo, cera o gesso – ed è importante sottolineare come sia stato il primo artista a utilizzare la cera e il gesso come materiali di una scultura finita – sono esposte stampe moderne a contatto da negativi originali su vetro. Con Rosso anche la fotografia, infatti, è un mezzo utilizzato per sviluppare una ricerca autonoma e compiuta sulla materia e sulla luce.

I modelli in mostra provengono dai nuclei delle maggiori collezioni dell’artista: Museo Medardo Rosso di Barzio, Galleria d’Arte Moderna di Milano, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, Gallerie degli Uffizi, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti di Firenze, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino e Göteborgs konstmuseum di Goteborg oltre che da collezionisti privati. In mostra, dal Museo Rodin di Parigi, anche la Rieuse, una fusione in bronzo che Rodin scelse tra le opere di Medardo, artista con il quale è documentato un intenso confronto.
L’immagine grafica della mostra è stata realizzata dallo Studio Italo Lupi. Progetto di allestimento di Migliore+Servetto.
Accompagna la mostra il catalogo edito da Electa, i cui saggi approfondiscono le ragioni della mostra e i rapporti di Medardo con gli ambienti artistici europei a cavallo tra Ottocento e Novecento.

IL PERCORSO DELLA MOSTRA
Medardo Rosso intende offrire nelle sale della collezione Boncompagni-Ludovisi un’occasione di dialogo con l’antichità, inserendo all’interno di questi straordinari ambienti alcune testimonianze del rapporto di Rosso con l’antico, un corpus poderoso nella sua complessità ma non ancora propriamente indagato in sede espositiva. Medardo Rosso esegue copie dall’antico da più di venticinque modelli, realizzando circa cinquanta sculture, prevalentemente in cera e bronzo, a testimonianza di un interesse per l’antico e le sue potenzialità inviolabili ed eterne, che lo impegnò con passione. Il periodo massimo di tale produzione avviene al di fuori dall’Italia, mentre Rosso viaggia attraverso l’Europa, e si concentra nei primi cinque anni del Novecento, un periodo in cui espone a Lipsia, Berlino, Dresda. Scopre collezioni da cui attinge ed esegue copie dall’antico secondo non solo i costumi dell’epoca ma abbracciando una pratica che trae origini secolari. Il problema della copia rappresenta infatti un carattere centrale nella storia dell’arte classica, al punto che per buona parte della sua storia si è identificato con essa. Nell’Ottocento nacque proprio in Germania una vera e propria scienza nella scienza che prese il nome di Kopienkritik, diventato presto l’approccio metodologico dominante rispetto allo studio di sculture romane classiche.

La pratica di Rosso nei confronti dell’antico si iscrive in questo clima storico, in cui l’artista è consapevole di eseguire per lo più copie di copie di opere dell’antichità fino al Rinascimento, inserendole in contesti innovativi. La mostra intende approfondire questi aspetti, dimostrando al tempo stesso come la citazione di Rosso dell’antico non si limiti a un esercizio di mera copia: la sua è piuttosto da intendersi come opera autonoma e consapevole, posta di sovente a confronto diretto con l’originale antico, o più spesso proponendo innovative forme di presentazione di sue opere affiancate a copie dall’antico da lui stesso realizzate. Tali soluzioni allestitive, oltre a rispondere a specifiche esigenze di “miseen-scène” tipicamente appartenenti al concetto di scultura di Rosso, avevano come fine ultimo di creare un confronto serio tra le sue opere e quelle di artisti antichi e contemporanei, dimostrando come il lavoro di alcuni di essi fosse realmente radicato nei canoni dell’arte antica. Ciò a testimonianza, come affermava Rosso stesso, che «le opere della seconda Grecia, sua succursale, del Rinascimento, sottosuccursale di questa (senza parlare della sotto-sottosuccursale di queste catalogata giustamente come “Impero”, completamente fermacarte del signor Antonio Canova) sono tra le epoche più chiuse nell’oggettivismo».

LA FOTOGRAFIA
Come avviene per alcuni grandi pittori e scultori tra Otto e Novecento (si pensi in particolare a Degas e Brancusi), esporre le fotografie di Rosso accanto alle sue opere in bronzo, cera o gesso non ha solo un valore documentario ma rappresenta un supporto alla comprensione della sua idea di scultura. A partire dalla fine dell’Ottocento, la fotografia assume per Rosso il senso di una ricerca autonoma e compiuta, parte integrante e insostituibile di un’incessante lavoro di ripresa di immagini che ha un’equivalente nella continua rielaborazione delle sculture a partire dai primi anni del Novecento. La fotografia era per Rosso occasione di manipolazione della materia e della luce, ormai svincolata dal confronto col reale: Rosso fotografa le sue opere per intervenire poi con viraggi, ingrandimenti, scontornature, collages, tracce di materia pittorica, tagli e abrasioni, fino ad accettare l’intervento del caso e dell’errore. Esposte nelle sue mostre accanto alle sculture e pubblicate in libri e riviste, le fotografie devono essere considerate a tutti gli effetti vere e proprie opere di Rosso, e consegnano alla storia un artista che ha saputo vedere ben al di là del suo tempo, verso le manipolazioni dell’immagine che caratterizzano la nostra contemporaneità.

C.S.
Fonte: Electa

Contributi fotografici: Courtesy Archivio Rosso, © Comune di Milano

MEDARDO ROSSO
10 ottobre 2019 – 2 febbraio 2020

Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps
Roma, Piazza Di Sant’Apollinare 46
mn-rm.info@beniculturali.it

www.museonazionaleromano.beniculturali.it