Oh mio terror… dell’ultimo splende uno speglio in mano e nuovi re s’attergano dentro al cristallo arcano. Di specchi misteriosi canta nel terz’atto Macbeth, per mano del librettista Francesco Maria Piave. Parole ispirate al dramma shakespeariano, attorno alle quali ruota la regia di Elena Barbalich nell’allestimento del Teatro Nacional de Sao Carlos di Lisbona ora in scena nei Teatri del circuito OperaLombardia e, nello specifico, al Teatro Grande di Brescia.

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Un’impostazione dal forte simbolismo. La grande lastra circolare attorno alla quale emettono profezie le streghe, si spezza in molteplici frammenti che costellano le scene successive come faraglioni in un mare in tempesta, come piccoli puntuti menhir retaggio di tempi ancestrali, come magici spicchi di un tragico destino del quale gli uomini sono succubi. Il mondo conosciuto si infrange e lascia posto all’incubo, a una condizione governata da sortilegi e da fantasmi che si materializzano dalle tenebre o fuoriescono da una voragine identificabile con il subconscio di Macbeth. Ricorrente, il tema del cerchio, ora pendolo oscillante ora tetro pianeta; rotondi sono la tavola attorno alla quale si svolge il brindisi e lo specchio d’acqua in cui il piccolo Fleanzio scorge riflessi gli assassini del padre. Del resto la regista ha dichiarato di essersi ispirata a Orson Welles nel rievocare un medioevo barbarico e ricco di rituali di superstizione (coreografie Danilo Rubeca).

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Una regia quindi giostrata su pochi elementi tipicamente teatrali, in primis le trasparenze di un tulle per far apparire e sparire le malefiche creature fatate, nel cui utilizzo risultano determinanti le luci di Giuseppe Ruggiero che conferiscono contorni visionari al dramma. A completare il contesto selvaggio, i costumi (di Tommaso Lagattolla come le scene) che declinano in cupezza di tinte i tartan scozzesi, rendendo molto simili tra loro i protagonisti, accomunati dall’essere in balia di un fato oscuro.  

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Direttore assai applaudito era Gianluigi Gelmetti in una lettura attenta alla struttura formale di Giuseppe Verdi mutevole perciò innovativa. Tempi rilassati e atmosfere nelle quali la tensione emotiva ha ruotato attorno alle sfumature dell’inquietante, tra i pianissimo dalla freddezza del metallo e i forti corposi dell’orchestra I Pomeriggi Musicali. In una lettura strettamente correlata alla parola, Gelmetti ha imposto sillabati nettamente scanditi alle streghe del Coro OperaLombardia. Formazione istruita da Diego Maccagnola che si è cinta di aspri riflessi demoniaci in “Tre volte miagola la gatta in fregola” mentre in “Patria oppressa” ha toccato le corde del sentimento.

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Nei panni del protagonista era il baritono Angelo Veccia, morbido nell’emissione e nel fraseggio, i cui mezzi hanno trovato corposità una volta scaldati a dovere; Macbeth dibattuto tra paure e rimorsi, dotato di quella coscienza di cui è priva la consorte benché incapace di opporsi ai suoi turpi piani. Come da copione magnificamente gelida e malvagia Silvia Dalla Benetta, al debutto nella parte della sanguinaria Lady. Il soprano ha espresso appieno la drammaticità del ruolo con la voce fattasi aspra dura e tagliente per necessità interpretativa espressamente richiesta da Verdi, agevolmente giostrata dai registri bassi fino agli acuti svettanti. Dell’indole glaciale del personaggio, Dalla Benetta ha rivelato le nascoste e insospettabili fragilità nella scena del sonnambulismo, fattosi straniamento, quasi regressione della mente a uno stadio infantile: davvero splendida. Alexey Birkus ha donato a Banco importanti doti naturalmente belle, oltre che correttezza nella dizione. Facilità di acuto per Giuseppe Distefano Macduff. Incisivi Alessandro Fantoni, Malcolm e Katarzyna Medlarska, Dama. Bene Alberto Comes nelle triplici vesti di Medico, Domestico e Sicario.

Recensione di Maria Luisa Abate per DeArtes

Visto al Teatro Grande di Brescia, OperaLombardia, il 16 novembre 2019
Contributi fotografici Umberto Favretto