«In quest’arduo momento storico siamo costretti a guardarci dentro. Ora nudi, vediamo e ri-pensiamo la nostra persona e la nostra condizione. Capiamo e vediamo quanto sia delicato il nostro equilibrio, il nostro esserci. Ci muoviamo con terrore all’esterno e ci sentiamo minacciati da ciò che potremmo incontrare “là fuori”. Il mondo, quello umano, per come eravamo abituati a pensarlo, è mutato d’un colpo. Siamo chiamati a una nuova trasformazione e quale può essere il ruolo dell’arte se non il più grande stimolo a inseguire e realizzare questo cambiamento? Cosa ci rende dunque umani? Cosa vogliamo diventare, ma soprattutto: di cosa abbiamo veramente bisogno? Questo nuovo progetto ci lega a un mondo sospeso nella dimensione temporale ed esteso in quella spaziale. Lo sguardo, attraverso la rappresentazione, si perde in distanze infinite. Rivelandoci una delle cose che nei nostri tempi ci manca di più. Attraverso il mezzo fotografico ho realizzato una nuova serie di immagini che rappresentano sconfinate distese d’acqua allestite all’interno del mio studio. I materiali e la tecnica a cui sono legato sono rimasti invariati: luce, carta e pigmenti colorati». Filippo Armellin, 14 aprile 2020.

Questo periodo di grave crisi globale ha determinato un radicale cambiamento nella vita di tutti noi, dal rimanere forzatamente a casa senza contatti sociali, al non disporre di tutti gli strumenti di lavoro a cui siamo abituati. Si può continuare a creare arte durante periodi come questo? Gli artisti hanno approfittato della quiete e dell’assenza di eventi per proseguire la propria ricerca? Questi sono alcuni degli interrogativi che poniamo ai nostri artisti. In questa occasione condividiamo con piacere un’anteprima del nuovo progetto Chiusure (2020) di Filippo Armellin: una serie di nuove immagini di spazi marini infiniti.

Filippo Armellin, L’Origine dell’Anima, 2016, stampa su carta fotografica. Opera finalista del XVII Premio Cairo. Courtesy l’artista

L’AUTORE
Filippo Armellin nasce a Montebelluna in provincia di Treviso nel 1982, vive e lavora a Milano. Dopo aver conseguito la laurea in Progettazione e Produzione delle Arti Visive, presso la Facoltà di Design e Arti allo IUAV di Venezia, nel 2010 ottiene il diploma in Fotografia presso l’istituto R. Bauer di Milano. Si trasferisce a Roma nel 2007, dove lavora con Joseph Kosuth. Durante questa esperienza collabora alla progettazione e produzione di mostre internazionali d’arte quali Biennale di Venezia, e presso i Musei Capitolini a Roma e La Casa Encendida a Madrid. Nel 2016 l’artista è selezionato per il XVII Premio Cairo ed espone nella mostra dei finalisti a Palazzo Reale a Milano. Dal 2006 ha esposto le proprie opere in importanti istituzioni quali: Fondazione Francesco Fabbri, Treviso (2018, 2014), Palazzo Reale, Milano (2017), PAN | Palazzo delle Arti, Napoli (2013), Documenta, Kassel (2012), Palazzo delle Terese, Venezia (2008), Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia (2007).

LA PRATICA
Filippo Armellin realizza immagini fotografiche di paesaggi naturali incontaminati, luoghi desertici e sospesi nel tempo, resi al tempo stesso fittizi e reali proprio grazie alla loro natura fotografica. In verità, questi luoghi sono creati meticolosamente in studio attraverso fondali dipinti allestiti e modelli plastici realizzati con materiali quali carta, gesso, cemento e pigmenti. Tutto ciò che rientra nella fase preparatoria ha la sola finalità di tradursi in immagine fotografica, concepita come esemplare unico. Si tratta di costruzioni molto elaborate, ma effimere perché durano il tempo dello scatto fotografico. Di fronte all’opera l’osservatore si chiede che cosa stia guardando, se qualcosa di reale o di inventato. Ne deriva una riflessione importante: il vero soggetto di questa messa in scena è la fotografia stessa, il farsi immagine più o meno reale della realtà.

Filippo Armellin, Origini #06, 2018, stampa digitale su carta fotografica, Courtesy Galleria Fumagalli

L’ORIGINE
Le fotografie di Filippo Armellin restituiscono una realtà ricreata che evoca spazi sconfinati grazie all’abilità tecnica dell’artista, che utilizza particolari inquadrature ravvicinate e lenti grandangolari. I luoghi ritratti suggeriscono una dimensione al di là dal tempo, quasi metafisica, che si presta a una duplice lettura: paesaggi primordiali che attendono l’avvento dell’uomo, o esiti di un futuro apocalittico che è giunto a compimento incontrando nuovamente l’origine.

«Se la fotografia analogica è indicale, qui si può parlare, invece, di una dimensione iconica, simbolica, in cui l’indicalità avviene solo a processo finito. È il suo un lavoro di creazione manuale della e sulla materia. Non vi è nessun dato reale. Si tratta di situazioni totalmente inventate, create ex nihilo, che con la realtà possono avere solo un rapporto di natura mimetica».  Angela Madesani

E L’UOMO?
Nelle immagini ideate da Armellin l’uomo pare aver perso qualsiasi ruolo, pare che sia la natura incontaminata e primordiale a prendere il sopravvento. Eppure si tratta soltanto di un’illusione: tutta l’immagine è frutto di un sottile artificio umano che mira a trarre in inganno anche l’occhio del più esperto osservatore. Ciò che si presenta non è una mera rappresentazione figurata, bensì il risultato di una ricerca introspettiva dell’artista il quale mira a sottrarsi al principio di verità esibendo apertamente la consapevolezza della finzione e dell’illusorietà.

Filippo Armellin, The Blank Interior 8, 2016, stampa su carta fotografica, 100×62 cm. Courtesy l’artista
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ARTIFICIALMENTE VEGETALI
La serie di opere The Black Interiors (2016) si distingue per il taglio verticale e la presenza di una rigogliosa natura realizzata con modelli di erbe, piante, alberi e sassi su fondali dipinti di volta in volta diversi. Queste composizioni, verticali come nell’iconografia tipica della pittura sacra, conducono lo sguardo attraverso scenografie naturali sovraffollate e quasi impenetrabili. Un intrico di elementi che nascondono l’orizzonte ed evocano una sensazione di smarrimento. Il punto di fuga è sfumato nel contesto iperaffollato e si sottrae al ruolo di guida dello sguardo dell’osservatore che prova quindi un senso di vuoto: non riconosce il luogo e non riesce a distinguere verità e finzione.Le selve raffigurate diventano metafora di una molteplicità di sensazioni, pensieri e soprattutto interrogativi che si affastellano nelle mente umana di fronte alla realtà.

«Sono spazi artificialmente naturali, nati da un senso di esaurimento del fotografabile e dal suo superamento. Quando ogni luogo è già stato ritratto non rimane che fare un’istantanea di ciò che quel luogo significa». Filippo Armellin

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C.S.
Fonte: Galleria Fumagalli

Immagine di apertura: Filippo Armellin, Chiusura (2), 2020, stampa su carta fotografica, 90×70 cm. Courtesy l’artista

GALLERIA FUMAGALLI
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