A Palazzo Magnani esposte circa trecento opere del Novecento italiano

libertyPiù di una mostra: un’indagine sul Liberty in Italia. Palazzo Magnani a Reggio Emilia diventa punto di riferimento per studiosi e semplici appassionati.
Le sette sezioni in cui è suddiviso il percorso espositivo – aperto al pubblico dal 5 novembre 2016 al 14 febbraio 2017 – formano un crocevia affollato di dipinti, sculture, decorazioni murali, illustrazioni, progetti architettonici, manifesti, ceramiche, incisioni. In tutto circa 300 opere che indagano l’espansione del movimento artistico novecentesco e ne testimoniano il fascino, rimasto immutato sino ai giorni nostri.  
I curatori Francesco Parisi e Anna Villari hanno selezionato i pezzi, provenienti da Musei italiani e da collezioni private, molti dei quali vengono esposti per la prima volta. L’intento è riproporre all’attenzione odierna il dibattito molto acceso al tempo, riguardante i due diversi filoni in cui si esternò il Liberty. Il genere floreale, decorativo si sviluppò in parallelo a quello più stilizzato ed essenziale che venne definito modernista e precedette le cosiddette avanguardie, tra cui il Futurismo.
Si inizia da tre sale, comprendenti Casorati, Boccioni, Bargellini, Bocchi, Corcos, che dimostrano come in Italia non si sia sviluppato uno stile unitario riguardante la pittura, influenzata sia dai canoni tradizionali che dagli impeti d’oltralpe. La sezione dedicata a grafica e illustrazione evidenzia l’espressione che forse più di ogni altra viene identificata con la Belle Époque, con i suoi famosi manifesti e le pubblicazioni editoriali, e che diede vita a importanti binomi, come quelli tra De Carolis e D’Annunzio, oppure tra Francesco Nonni e Antonio Beltramelli.
Negli anni che precedettero lo scoppio della Prima guerra mondiale gli architetti iniziarono a rapportarsi ai consumi di massa, trasformandosi in “total designer”. Si possono ammirare progetti e bozzetti di Ximenes, Cambellotti, Grassi, Palanti, Sironi, D’Aronco, Basile. Il Liberty dilagò in Italia tardivamente, in seguito all’esposizione di Torino del 1902, i cui Premi andarono a Basile e Ducrot e a Chini. Le arti decorative sono qui rappresentate da Randone, Jerace, Basile.
La tendenza in scultura è espressa da Trentacoste o Canonica, preceduti da quanti, già dall’Ottocento, seguirono le prime orme del Simbolismo come Bistolfi o da coloro che furono attratti dalla scia straniera: Selva, Primi, Drei, d’Antino. Il decorativismo e la sintesi coloristica trovano sfogo nei cicli di affreschi di Gioia, Chini, De Carolis, Brugnoli, Bargellini, Rizzi. Anticipando il moderno design, instillarono il gusto degli oggetti quotidiani attraverso i manifesti De Carolis, Hohenstein, Terzi, Nomellini, Chini, Bistolfi, Grassi, Boccioni.
Ma non è tutto. La mostra pone in risalto la stretta correlazione tra il percorso ideativo compiuto dall’artista nell’atto della creazione e l’opera finita. Accanto ad alcuni lavori sono esposti i bozzetti preparatori, gli esercizi grafici, oppure i cartoni o gli schizzi che consentono al visitatore di scoprire aspetti poco noti di alcuni celebri autori. I vasi in ceramica dello scultore Arturo Marini; una fontana progettata da Felice Casorati; i cartelloni di Vittorio Corcos; infine Umberto Boccioni vignettista per il “Corriere dei Piccoli”. Testimoni dell’impeto incessante di ricerca della bellezza, declinata in molteplici forme.