Nell’ambito dei progetti promossi dal “Comitato Nazionale per la celebrazione dei 500 anni della morte di Raffaello” del Mibact, la Direzione Musei Emilia Romagna organizza presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna due mostre dedicate al protagonista indiscusso del Rinascimento, parti del progetto Un dialogo tra le arti a Bologna nel segno di Raffaello.

La prima mostra “La fortuna visiva di Raffaello nella grafica del XVI secolo. Da Marcantonio Raimondi a Giulio Bonasone” a cura di Elena Rossoni è un modo per entrare nel vivo del rapporto di Raffaello Sanzio con la produzione incisoria, attraverso gli artisti che con lui lavorarono o che furono tra i primi protagonisti della diffusione delle sue idee dopo la sua morte. 

Innocenzo Francucci, detto Innocenzo da Imola (Imola, 1490 circa – Bologna, 1545 circa) Madonna col Bambino in gloria e i santi Michele Arcangelo, Pietro e Benedetto Bologna, Pinacoteca Nazionale

La seconda mostra dal titolo “Alfonso Lombardi: il colore e il rilievo”, a cura di Alessandra Giannotti e Marcello Calogero, è dedicata allo scultore Alfonso Lombardi, artista che, formatosi nel solco della tradizione scultorea padana, fu in grado di aggiornare in senso raffaellesco il proprio stile ancor prima di recarsi a Roma nel 1533. Furono determinanti lo studio dei disegni e delle incisioni tratte da opere del maestro e i contatti con pittori che all’urbinate avevano guardato.

Nei suoi soli 37 anni di vita Raffaello è riuscito a lasciare un’impronta indelebile sull’intera arte occidentale, creando modelli fondativi, recepiti ed elaborati per secoli. A promuovere una capillare diffusione del suo stile fu lo stesso Raffaello, quando decise di affidare i propri disegni ad incisori, contribuendo così ad amplificare la propria fama.

Del resto l’Emilia, con i suoi vivaci centri di Bologna, Ferrara, Modena e Piacenza, già prima del 1520, era stata segnata da uno speciale quanto precoce interesse per Raffaello: lo dimostra in particolare Bologna, dove era ben visibile nella chiesa di San Giovanni in Monte l’Estasi di Santa Cecilia del Sanzio oggi conservata presso la Pinacoteca Nazionale.



Marco Dente, Venere che si toglie una spina dal piede, 1516 ca. Bulino. Pinacoteca Nazionale di Bologna

LA FORTUNA VISIVA DI RAFFAELLO NELLA GRAFICA DEL XVI SECOLO. DA MARCANTONIO RAIMONDI A GIULIO BONASONE
Nell’ambito del progetto Un dialogo tra le arti a Bologna nel segno di Raffaello.
In occasione del quinto centenario della morte di Raffaello, la Pinacoteca Nazionale di Bologna organizza una mostra dedicata alla produzione incisoria derivata da invenzioni dell’urbinate nella prima metà del XVI secolo.

A partire dal 1510-1511 circa, Raffaello entrò infatti in contatto con l’incisore bolognese Marcantonio Raimondi, dando origine ad una nuova stagione di produzione e diffusione della stampa, un prodotto tipicamente rinascimentale con cui si erano confrontati protagonisti quali Andrea Mantegna, Antonio Pollaiolo e Albrecht Dürer. Sanzio, che aveva allora circa 27 anni e il cui ruolo era più che affermato a Roma, dovette vedere in Marcantonio l’artista adatto per confrontarsi con questa tecnica, intesa certamente nella primissima fase come modo sperimentale di diffondere proprie idee provenienti dal disegno. Il curriculum di Marcantonio, artista che proveniva dalla bottega bolognese di Francesco Francia e che aveva già realizzato un alto numero di incisioni, compresa la derivazione a bulino della serie xilografica della Vita della Vergine di Dürer, fu la scintilla scatenante che portò alla produzione di alcuni dei capolavori della storia della grafica. Raffaello elaborò infatti dei disegni appositamente studiati per essere tradotti in stampa da Raimondi, il quale realizzò così opere fondamentali come la Strage degli innocenti, il Giudizio di Paride, Il Morbetto (o Peste frigia)e il Quos ego. Tuttavia la diffusione dello stile di Sanzio attraverso l’arte incisoria non avvenne solo grazie alla realizzazione di opere tratte da fogli appositamente eseguiti, ma anche da esemplari derivati da semplici sue idee in corso di elaborazione.

Marco Dente, Giudizio di paride, 1515-1516. Bulino. Pinacoteca Nazionale di Bologna

All’interno della bottega dell’artista circolava infatti una grandissima quantità di disegni corrispondenti a diverse fasi di studi per dipinti o per affreschi che vennero consegnati direttamente, o attraverso copie realizzate dagli allievi, agli incisori. Se questo sistema venne definendosi in particolare con Marcantonio, che con la sua esperienza e capacità dovette contribuire notevolmente a crearlo, a partire dal 1516 circa e sino alla sua scomparsa, altri incisori oltre al bolognese si confrontarono con Sanzio, come Agostino Veneziano, Marco Dente e Ugo da Carpi. Il sistema, che doveva in parte essere organizzato dal “garzone” di Raffaello Baviero de’ Carrocci, divenne sempre più ampio, portando alla diffusione dello stile raffaellesco in un circolo vorticoso di rimandi tra disegno, pittura e incisione che contribuì al propagarsi della fama dell’artista, anche dopo la sua morte. Il successo di questo tipo di produzione è testimoniato, oltre che dalla creazione di nuove incisioni, anche dalla copia o replica di stampe già eseguite, che diffusero così importanti invenzioni dell’artista come gli affreschi della Farnesina, le scene dalle Logge vaticane, i cartoni per gli arazzi della Scuola Vecchia e della Scuola Nuova, o ancora le raffigurazioni della stufetta del Cardinal Bibbiena. Gli artisti che contribuirono a tale produzione furono ad esempio Jacopo Caraglio, Enea Vico, Nicolas Beatrizet e Giulio Bonasone. Il linguaggio di Raffaello diveniva così a disposizione degli artisti, che ne assorbirono le creazioni anche attraverso la produzione incisoria, come illustra anche la mostra allestita in contemporanea, sempre in Pinacoteca, dedicata ad Alfonso Lombardi. Il colore e il rilievo.

La presenza dell’invenit di Raffaello inciso sulle stampe divenne sempre più diffusa, in particolare dopo la morte dell’artista, tanto che venne utilizzata per invenzioni di cui la derivazione da Raffaello non risulta sempre certa, anzi a volte ormai esclusa dalla critica. Piccoli spunti o idee furono infatti il punto di partenza per la realizzazione di stampe completamente reinventate da incisori che, direttamente o a seguito dell’intervento di editori mossi da puri fini commerciali, vollero fregiarsi del nome del maestro, come dovette probabilmente avvenire nel caso dell’Allegoria della vita umana realizzato da Giorgio Ghisi nel 1561.

Marcoantonio Raimondi, Estasi di Santa Cecilia, 1515 – 1516 ca. Bulino. Pinacoteca Nazionale di Bologna

A questo fenomeno si affiancò anche quello della produzione di stampe eseguite “sullo stile di” Raffaello, realizzate grazia ad una sorta di “rimescolamento” tra idee proposte dall’artista in differenti opere e disegni. Il caso principe è quello della serie con la Storia di Amore e Psiche, trentadue incisioni eseguite dal Maestro del Dado con l’intervento, per tre di esse, di Agostino veneziano, su disegni di Micheil Coxcie. Il gusto dell’artista, ormai assimilato, veniva reinterpretano e restituito in maniera nuova, e certo non altrettanto incisiva. Con gli anni Quaranta gli editori continuarono a stampare le matrici prodotte nei decenni precedenti, ma le nuove creazioni, pur sempre presenti, divennero più esigue, a favore di altri soggetti o altri artisti, Michelangelo in primis.

Le opere esposte in mostra, articolate in sette sezioni, permettono di verificare l’evoluzione sopra descritta attraverso la produzione dei principali incisori che si confrontarono più o meno direttamente con l’urbinate.
Gli esemplari esposti fanno parte esclusivamente dall’ampia collezione del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna e sono stati in gran parte restaurati in questa occasione. Provengono invece dai Musei Civici di Pavia la prima matrice realizzata da Marcantonio per la Strage degli innocenti – la cosiddetta versione “con la felcetta,” per distinguerla dalla seconda versione “senza felcetta” – e la corrispondente incisione, richiesta a prestito in quanto l’esemplare della Pinacoteca risulta altamente stanco. Questa tiratura tarda, comunque esposta in mostra, serve proprio a dimostrare come queste incisioni realizzate negli anni nei primi decenni del secolo vennero sfruttate sino al loro esaurimento, divenendo materiali di studio per gli artisti ma anche, come dimostra Vasari, per gli stessi intenditori e collezionisti.
Anche la matrice dei Musei Civici di Pavia è stata sottoposta a restauro prima dell’esposizione, grazie ad un intervento dell’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. Catalogo NFC di Rimini.

Alfonso Lombardi, Maria Vergine, Castel Bolognese, chiesa di San Petronio

ALFONSO LOMBARDI: IL COLORE E IL RILIEVO
L’anno delle celebrazioni per il cinquecentenario della morte di Raffaello offre l’occasione di ricordare a Bologna Alfonso Lombardi (Ferrara 1497 ca. – Bologna 1537), abile plasticatore nel solco della tradizione padana rinnovatasi alla luce del raffaellismo diffuso a nord degli Appennini.

La fama sovranazionale dello scultore, attestata dalla Vita che gli dedicò Giorgio Vasari, emerge dalla rete di relazioni da lui intrattenute con i potenti del momento, come il duca di Mantova Federico II Gonzaga, il cardinale Ippolito de’ Medici, il re di Francia Francesco I e l’imperatore Carlo V. La mostra racconta in quattro sezioni il breve ma fulgido percorso dello scultore ferrarese in Emilia. La prima sezione ne accompagna i passi presso la corte di Ferrara, dove i cantieri promossi dal duca Alfonso I d’Este gli dischiusero il precoce incontro con la maniera moderna. Il trasferimento a Bologna del giovane scultore fu segnato dalla vittoria, nel 1519, nel concorso per il monumentale Ercole di Palazzo d’Accursio, dove egli dette prova di una straordinaria rilettura della scultura antica.

Nella città felsinea, poi, il ferrarese dimostrò la sua capacità di interpretare le invenzioni di Raffaello, la cui conoscenza – oltre all’apprezzamento diretto della Santa Cecilia – risulta mediata anche dalla grafica. Gli artisti attivi nella città emiliana intorno al 1520 risentirono dello stile dell’Urbinate, al punto che molti si aggiornarono mutando radicalmente il proprio modo di disegnare e di dipingere. Con questi pittori Alfonso condivise la pronta assimilazione del linguaggio raffaellesco, come emerge dalla seconda sezione con gli Apostoli per la chiesa di San Giuseppe di Galliera, ispirati alla serie di uguale soggetto incisa da Marcantonio Raimondi su disegno dell’Urbinate.


Alfonso Lombardi, Busto raffigurante il Salvatore, Firenze Bacarelli & Botticelli

Agli Apostoli di Galliera si affianca lo straordinario busto di Cristo, proveniente dallo stesso complesso e di recente recuperato, posto a fronte di quello modellato da Antonio Begarelli, grande comprimario della plastica rinascimentale emiliana di tradizione classicista. Nella terza sezione le opere realizzate per Castel Bolognese illustrano la fortunata stagione emiliana della scultura dipinta, in grado di imitare la pittura fino a sfidarla nel suo campo d’elezione, quello della pala d’altare. L’ultima sezione del percorso evoca le qualità di ritrattista di Alfonso e l’incontro con Carlo V che chiude gli anni bolognesi dello scultore, tutti giocati sul filo della cultura raffaellesca romana e padana. Catalogo NFC di Rimini.


C.S.
Fonte: Beni Culturali

UN DIALOGO TRA LE ARTI A BOLOGNA NEL SEGNO DI RAFFAELLO
(4 marzo al 7 giugno 2020 date prima del coronavirus)
Nuove date: 24 maggio – 30 agosto 2020

Pinacoteca Nazionale
Via delle Belle Arti, 56, Bologna
Informazioni: 338 5963177
didattica.prospectiva@gmail.com

pinacotecabologna.beniculturali.it

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