“Le stelle dell’opera” si intitolava la serata e di autentiche stelle si è trattato, in cielo e sul palcoscenico: un abbinamento usuale per l’Arena di Verona dove la suggestione si sposa alla qualità artistica. Il terzo appuntamento del festival d’estate ha presentato una carrellata di celebri pagine liriche affidate a quattro interpreti di assoluta eccellenza, ai vertici del panorama internazionale.

A iniziare da lei, la meravigliosa Anna Netrebko, che ha magnetizzato il pubblico (purtroppo contingentato per le norme covid) e che, per la seconda volta in questo anfiteatro, ha regalato momenti indimenticabili, passando con abilità camaleontica dai toni tragici alle aperture soavi ai momenti carichi di trasporto emotivo, da Don Carlo a Elisir d’Amore, da Adriana Lecouvreur ad Andrea Chenier. La padronanza tecnica gestita magistralmente e con apparente facilità le consente infatti di affrontare repertori diversi facendo “correre” il canto come un fiume in piena o come un fresco ruscello di montagna. Una voce ambrata, lucente, levigata, sprigionante calore più della notte bollente dal punto di vista climatico. Un’esplosione di colori smaltati, di filati leggeri come piume, di accenti esemplari uniti alla capacità, anche in singole romanze, di entrare appieno nei personaggi ai quali ha donato risvolti psicologici ed espressivi.

Al suo fianco sulla scena e nella vita il tenore Yusif Eyvazov in forma fisica smagliante. Ha affrontato passi assai impegnativi, da La forza del destino, Un ballo in maschera e Chenier, risultando del tutto convincente per la spiccata musicalità e per la bella linea stilistica, con i giusti carichi drammatici e gli slanci negli squilli generosi. Il temperamento è elemento di spicco per Ekaterina Gubanova, la cui straordinaria bravura avrebbe meritato maggior spazio all’interno del programma. Dopo aver scolpito con innata drammaticità “Stride la vampa” da Il trovatore, il mezzosoprano ha affrontato con vibrante sensibilità “O don fatale” da Don Carlo. Una certezza l’alto profilo del baritono Ambrogio Maestri, voce solida ed elegante, ricca di sfaccettature e di accenti magistrali che denotano la padronanza, o più ancora la familiarità, con ruoli diventati totalmente “suoi”, come il prologo di Pagliacci. Delizioso il duetto da Elisir d’amore tra lui e Netrebko, di una gioiosità fresca e leggiadra.

Sul podio ha brillato Marco Armiliato. Direzione magnifica sotto ogni punto di vista, prodiga nel sostenere le voci senza per questo aver posto in secondo piano l’orchestra areniana che ha stupito per la compattezza, avente dello straordinario dato il distanziamento interpersonale imposto dal covid. A “fare a gara” con gli effetti luce che hanno costituito impalpabile scenografia, i colori e i chiaroscuri emersi nelle sinfonie dai Vespri siciliani e da Don Pasquale: due fiori all’occhiello in una serata tutta al top.

Finale dal triplice Andrea Chenier e bis dedicato a un largo stralcio dell’ultimo atto di Rigoletto, con i solisti assieme sul palco a concludere splendidamente una proposta che ha confermato l’Arena essere, a pieno titolo, tempio della musica.

Recensione Maria Luisa Abate

Visto all’Arena di Verona, 1 agosto 2020
Foto Ennevi – Fondazione Arena di Verona