Prosegue il viaggio areniano con le sue tappe tematiche dedicate a diversi compositori. Tra Mozart Wagner e Verdi, Rossini e Puccini, si è incastonata la dedica a “Vivaldi e la musica veneta” settecentesca. Uno dei momenti più elevati e più noti della produzione del prete rosso è rappresentato dalle Quattro stagioni. Per le quali egli inventò e fu quindi un precursore del genere descrittivo, tanto da aver accompagnato le note con sonetti esplicativi: uno per ciascuno dei tre movimenti (allegro-adagio-allegro) che formano i quattro concerti, in cui si ode il frusciare di fiori e foglie, il dolce zefiro e la sferzante bora, il calore del solleone e lo scroscio della tempesta o ancora il brivido di una pioggerellina ghiacciata. In questa esplosione della natura si inserisce l’uomo, la calma della pastorizia, l’ebbrezza della vendemmia, la concitazione della caccia. Nelle Stagioni, che costituiscono la prima parte dell’opera n.8 “Il cimento dell’armonia e dell’inventione”, Vivaldi ha raggiunto il vertice della sua continua ricerca espressiva sconfinante nella sperimentazione.

Tuttavia alla sua epoca il musicista fu acclamato principalmente in veste di violinista e nelle sue composizioni si ritrova estrinsecazione della tecnica da lui stesso acquisita. Solista all’Arena di Verona, allo strumento Antonio Stradivari del 1706, era Giovanni Andrea Zanon, Conservatorio frequentato dai quattro anni d’età, seguito dall’ammissione a prestigiosi corsi specialistici. Anche gli enfant prodige crescono e il violinista ora ventiduenne ha sempre più maturato la tecnica sopraffina padroneggiata con naturalezza, con anima e comunicatività.

Ha aperto il programma un excursus sui veneti Salieri, con l’ouverture Il mondo alla rovescia, Albinoni con il celeberrimo Adagio rivisto da Giazotto, culmine intimistico della serata, e Tartini (rev. Kreisler) che ha visto Zanon protagonista di un brano chiamato Il Trillo del diavolo per le asperità tecniche, superate con maestria e rigogliose doti virtuosistiche.

L’Orchestra areniana, modulata nell’organico come dovuto alle diverse circostanze, ha risposto alle esigenze vivaldiane di leggerezza sotto la direzione di Alvise Casellati, improntata alla correttezza formale ed esecutiva. Con gesto attento il maestro padovano si è concentrato sulla ricerca armonica autorale e sulla finalità illustrativa dei suoni.

Una sequenza interminabile di bis, tra i quali Zanon ha infilato un Paganini grandemente applaudito, ha concluso la nottata molto partecipata dal pubblico. E sulla quale pendeva l’incognita di un programma finora mai portato nell’anfiteatro, la cui vastità faceva temere per le sonorità raccolte, che invece sono risultate al meglio. Un’altra sfida vinta dalla direzione artistica di Cecilia Gasdia, che in quest’anno segnato dalle limitazioni covid ha saputo espandere gli orizzonti della proposta musicale.

 

Recensione Maria Luisa Abate

Visto all’Arena di Verona il 13 agosto 2020
Foto Ennevi – Fondazione Arena di Verona