La serata si è aperta in splendida “Tregenda”. L’intermezzo sinfonico così denominato, dal prim’atto de Le Villi, ha dato il via al Gala Puccini, secondo appuntamento che Fondazione Arena di Verona ha dedicato al Maestro di Lucca. L’opera/balletto è la prima scritta dal giovane Giacomo allora fresco di diploma, e ne è stato proposto anche il gioioso momento corale “Evviva i fidanzati”. Ancora una volta va applaudita la confezione del programma, che ha consentito di ascoltare uno stralcio di questo titolo di rara esecuzione, finora mai approdato in Arena. A seguire, una carrellata tra le pagine più note e amate da La Bohème, da Madama Butterfly e da Manon Lescaut, per terminare con Tosca. Nuovamente abbiamo visto schierate sul rosso praticabile voci di assoluto prestigio internazionale.

Nella soffitta di Parigi dove fanno conoscenza Rodolfo e Mimì, abbiamo trovato Piero Pretti ed Eleonora Buratto. Il loro essere magnificamente affiancati e in sintonia d’intenti è emerso soprattutto nel duetto O soave fanciulla, venuto dopo “Che gelida manina” e “Sì, mi chiamano Mimì”. Il tenore vanta un bello squillo chiaro che ha sostenuto con facilità, e ha calibrato i mezzi vocali con gusto e ricercatezza per le sfumature espressive. Del soprano, confermiamo l’ottima impressione avuta pochi giorni or sono su questo stesso palcoscenico: in primis la musicalità e l’accurata intonazione oltre all’osmotica conoscenza sia dell’universo pucciniano, che le si addice specialmente, sia del personaggio, affrontato con particolare sensibilità, dolcezza e sentimento.
 

Hui He, la migliore della serata, ha dato anima e corpo alle parole di Cio-Cio-San, inframezzate dal celeberrimo Coro a bocca chiusa. Il soprano cinese fa “correre” la voce come pochi suoi colleghi sanno fare. Grazie a questa caratteristica e alla tecnica sopraffina messa a servizio dell’espressività, ha dipinto una tela dai colori brillanti e smaltati che hanno assunto, ci sia consentito l’ossimoro, materica levità in uno spazio non facile come quello dell’anfiteatro, dove l’artista riscuote un meritato successo personale continuativamente da sedici anni. Se “Un bel dì vedremo” è risuonato palpitante, intriso di speranza e di un amore tenace verso colui che l’ha abbandonata, in “Tu piccolo Iddio” Hui He ha toccato vertici sublimi di drammaticità, di solitudine interiore rischiarata da un altro tipo d’amore, questa volta per il figlio, assoluto.

Indi, il testimone è passato a Maria José Siri (intervenuta pure in sostituzione di Angela Gheorgiu, afflitta da improvvisa indisposizione). Forte della tecnica solidissima con cui ha sorretto la voce importante dalla gamma ben definita di accenti e colori, è passata agevolmente dalla triste desolazione di Manon, “Sola, perduta, abbandonata”, al temperamento passionale di Floria Tosca, “Vissi d’arte, vissi d’amore”. Anche il soprano uruguaiano possiede infatti una spiccata attitudine pucciniana, sancita da tappe importanti nella carriera.

La sequenza di “Tre sbirri… una carrozza” con il successivo “Te Deum” ha visto il baritono Alberto Gazale vestire i panni del perfido ma affascinante barone Scarpia. Personaggio interpretato con un appropriato freddo distacco sotto il punto di vista attoriale, e con calde sfumature nella voce. Il “Te Deum” ha altresì soddisfatto la spettacolarità che l’anfiteatro richiede, in quanto il colore dinamico è stato accentuato da una moltitudine di colpi di cannone e di schioppettate a scandire, con l’eco dei moti rivoluzionari, la mistica processione nella chiesa di Sant’Andrea della Valle.

Dell’opera ispirata al dramma di Sardou, è stato proposto per intero l’ultimo atto dagli stessi Siri e Gazale, affiancati dai puntuali interventi di Carlo Bosi, Dario Giorgelè, Gianfranco Montresor, oltre al giovanissimo Marco Bianchi che ha intonato lo stornello del pastorello. A interpretare la struggente “E lucean le stelle” Marcelo Álvarez, artista di prim’ordine benché forse non al meglio della sua forma in questa prova, comunque di notevole spessore e durante la quale ha regalato passi di grande intensità emotiva. Nella romanza che vede Mario Cavaradossi dare il suo addio al mondo, alla sua donna e all’amore, il tenore argentino è stato prodigo di smorzature e di mezze voci in un contesto di scansione introspettiva del personaggio.

Il maestro veronese Andrea Battistoni vanta con l’Orchestra dell’Arena un feeling di lunga data e l’ha guidata con il consueto gesto esuberante, con spiccata personalità nelle agogiche, con tinte accese e abbandoni lirici apparsi rilucenti in special modo nell’intermezzo da Manon.  

Il Coro, ben preparato da Vito Lombardi, si è distinto altresì nel bis. Non poteva mancare infatti, in questo appassionato omaggio al genio di Puccini, la sua ultima opera, Turandot, citata brevemente nel celebre leitmotiv, che il pubblico attendeva con ansia e che ha accolto entusiasticamente.

Recensione Maria Luisa Abate

Visto all’Arena di Verona il 22 agosto 2020
Foto Ennevi – Fondazione Arena di Verona