Il periodo delle festività natalizie invoglia a recarsi a teatro, per consuetudine o per scoprirne il magico mondo. Nell’ottica di intercettare nuovi pubblici con spettacoli che coniughino l’intrattenimento alla qualità artistica, Fondazione Arena ha aperto la Stagione al Teatro Filarmonico sulle note di Franz Lehár. “La vedova allegra” è stata riproposta nell’edizione che riscuote successo dal 2005, «molto femminile e tradizionale … perché la gente vuole sognare» come ebbe a dichiarare alla stampa Gino Landi, un mito il cui nome è sinonimo di commedia musicale e operetta oltre che di opera: generi che il regista e coreografo conosce approfonditamente e ai quali sa magistralmente attribuire gli specifici intenti.
“Marchi di fabbrica” di Gino Landi – nella ripresa di Federico Bertolani per la regia e Cristina Arrò per le coreografie – sono l’eleganza e la leggerezza, la perfetta conoscenza dei tempi comici, l’interazione tra parti recitate e cantate con i balletti, funzionali a scene e controscene oltre che protagonisti di momenti suggestivi. Nel secondo atto, grande è lo stupore destato dalle statue poste sotto al gazebo del giardino di villa Glawari, che, al chiarore della luna piena, prendono vita in un passo a due romantico e sensuale, parentesi tra le danze folkloristiche in variopinti costumi (di William Orlandi). Nell’ultimo atto, con una citazione a Offenbach esplode il can-can, in stile Chez Maxim’s e la Tour Eiffel a fare da sfondo, che ha richiesto al Corpo di Ballo (coordinato da Renato Petrosino) una prestazione mozzafiato ai limiti dell’acrobatico.

L’azione si svolge nella Parigi capitale della Bella époque al tramonto, intenta a nascondere le preoccupazioni sotto una patina di spensieratezza, di ricerca di evasione dalla realtà, di liberi costumi. L’atmosfera a cavallo tra il lusso decadente e il fiabesco è palpabile nelle scenografie di Ivan Stefanutti, che, grazie a pannelli mobili, ha immaginato in continuo mutamento i saloni dell’Ambasciata parigina del Pontevedro. La nobiltà francese si mischia ai notabili del piccolo Stato sull’orlo del tracollo finanziario, che per rimpinguare le casse confidano nelle nozze tra la ricca ereditiera Hanna Glawari e il suo innamorato di sempre, il pontevedrino Conte Danilo Danilowitsch. Le vivaci tresche amorose dei diplomatici e delle maliziose consorti, palesate da un ventaglio galeotto sul quale è scritta una frase d’amore compromettente, si susseguono in una panoramica di caratteri comici, gioiosi e gaudenti, marcati con garbo.

Sul podio Sergio Alapont ha seguito un’impostazione di buongusto, nella quale tuttavia brio e lirismo si sono alternati senza quegli scossoni a volte indispensabili; le dinamiche, inizialmente sovrastanti le voci, si sono equilibrate fino a raggiungere l’intesa tra palco e buca indispensabile all’economia dello spettacolo. Il ruolo tradizionalmente riservato all’attor comico è stato affidato alla scoppiettante Marisa Laurito, “signorina” Njegus portatrice di una ventata di insolita napoletanità, con un cammeo canoro autoironico. Ha vestito i luccicanti abiti di Hanna Glawari Elisa Balbo, le cui caratteristiche della voce, morbida e dolce e al contempo corposa e salda, hanno corrisposto all’indole volitiva della giovane e avvenente vedova che, con sapienti arti femminee, ha avuto prova di sentimento sincero e disinteressato dall’innamorato di sempre, il Conte Danilo impersonato da Enrico Maria Marabelli, attento al fraseggio e dalla tenuta omogenea nella linea di canto. Gradito ritorno sul palcoscenico veronese per Lucrezia Drei, che alla freschezza ha unito il bel timbro venato di colori e la presenza agile, tale da non aver sfigurato a fianco delle grisettes: Valencienne è una “donna onesta” nonostante le avances dell’intraprendente Camille de Rossillon Francesco Marsiglia, sicuro in tutta la gamma dei registri. Coinvolgente, la verve del Barone Mirko Zeta, Giovanni Romeo; del Visconte Cascada, Francesco Paolo Vultaggio; di Raoul de St. Brioche, Stefano Consolini e del restante affiatato cast. Prestazione luminosa del Coro preparato da Vito Lombardi

Recensione Maria Luisa Abate

Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 19 dicembre 2017. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona