Il Consiglio d’Europa nel 1972 adottò l’Ode alla gioia, quarto movimento della Nona Sinfonia di Beethoven, come proprio inno ed Herbert von Karajan scrisse all’uopo tre adattamenti strumentali. Nel 1985 è divenuto l’inno dell’Unione Europea, senza parole, nel linguaggio universale della musica. All’Arena di Verona, durante l’esecuzione della IX, hanno significativamente fatto da sfondo chiese o monumenti italiani europei e oltre, nonché le piazze affollate di gente, grazie alle immagini messe a disposizione dalla Fondazione Alinari per la Fotografia, un archivio tra i più vasti e famosi al mondo, il cui patrimonio analogico consta di 5.020.916 beni fotografici,numerosi dei quali unici, dal 1840 a oggi. L’archivio nel febbraio di quest’anno ha trovato sede nella storica Villa Fabbricotti a Firenze (vedi approfondimento dettagliato DeArtes qui).

Un contributo visivo sostanziale per amplificare il messaggio musicale di abbraccio tra i popoli, di pace fratellanza serenità, e di rinascita dell’Italia e dell’Europa. In particolare del ritorno alla vita del teatro dello spettacolo e della musica, dopo il buio della pandemia che getta ancora ombre sul futuro ma che finalmente lascia intravedere uno sprazzo di luce. Al chiarore di una suggestiva luna piena che ha emanato un’aura magica sopra l’anfiteatro all’aperto, è risuonata la celeberrima sinfonia che Beethoven scrisse tra il 1822 e il 1824. Una composizione per l’epoca rivoluzionaria, dove il genio di Bonn sperimentò un nuovo uso dei temi coinvolgendo un organico imponente, e introdusse un messaggio extramusicale, il testo dell’Ode alla gioia di Friedrich Schiller (1759-1805), affidato a quattro solisti e coro.

La serata ha avuto inizio in un clima di commozione. Questo Gala infatti, previsto lo scorso anno in occasione del 250° anniversario della nascita del compositore e poi rinviato causa covid, avrebbe dovuto essere diretto da Ezio Bosso, prematuramente mancato nel 2020 (vedi ricordo DeArtes qui) e che, dai ledwall, ha mandato un postumo messaggio d’amore, universale e immortale, nei confronti della musica. E qui sorge spontanea una riflessione sulle agghiaccianti notizie d’attualità provenienti dall’Afghanistan, dove il regime totalitario che ha preso il potere, tra i primi atti, ha vietato la musica: un mezzo di comunicazione e di pace evidentemente più forte e temuto delle convenzionali armi da guerra.

L’eredità di Ezio Bosso sbarca anche alla Mostra del Cinema di Venezia, in un film-documentario intitolato “Le cose che restano” (vedi notizia DeArtes qui) mentre all’Arena ha rappresentato un ideale passaggio di testimone tra l’indimenticato Maestro e le nuove generazioni. Nello specifico, tra Bosso e la giovane Erina Yashima salita sul podio direttoriale in questa occasione.

È doveroso innanzitutto menzionare il Coro areniano, formato da professionisti che hanno dato prova del loro alto valore, sia tecnico che interpretativo, mirabilmente affinato sotto la guida di Vito Lombardi, e che ha trovato spazio sul palco. Era invece in buca l’Orchestra della Fondazione Arena, che ha saputo ben destreggiarsi tra i repentini cambi di atmosfere – d’attesa, di eroismo, di contemplazione, di gioia – sperimentati da Beethoven. L’Orchestra si è adoperata innanzitutto, intelligentemente, per trovare una sintonia con il Maestro Erina Yashima, salita per la prima volta sul podio areniano, impegnativo sotto molteplici aspetti. La giovane direttrice tedesca di origini giapponesi, attualmente attiva in ambiti internazionali prestigiosi, ha riposto attenzione alla correttezza dell’esecuzione, al rispetto del dettato beethoveniano, che è elemento indispensabile ma non di per sé esaustivo. Dopo un inizio fin troppo controllato, come per tastare il terreno, poco alla volta è emersa anche la personalità direttoriale di Yashima, culminata in un movimento finale più che dignitoso.

Di razza le voci soliste del soprano Ruth Iniesta, del mezzosoprano Daniela Barcellona, del tenore Saimir Pirgu, del basso Michele Pertusi, i quali hanno ottimamente risolto il dettato non particolarmente rigoglioso che il genio di Bonn ha loro riservato, avvalendosi della propria esperienza e di doti personali d’eccellenza.

Il messaggio universale di fratellanza è arrivato, forte e chiaro, librandosi dall’anfiteatro verso più grandi distanze perché – è la speranza – possa essere udito da tutti.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 22 agosto 2021
Contributi fotografici: Foto Ennevi