Il testo di William Shakespeare pare uno script cinematografico e gli studiosi lo definiscono problem play. Su queste linee conduttrici si è mossa la regia di Paolo Valerio in “Misura per misura”, terzo titolo di prosa della 70a edizione dell’Estate Teatrale Veronese al Teatro Romano, dove mancava da trent’anni. L’allestimento ha debuttato in anteprima nazionale, trovando un punto di forza nella traduzione di Masolino D’Amico che ha splendidamente favorito il ritmo scenico.
Paolo Valerio ha avuto occasione per riproporre alcuni dei temi a lui più cari. Primo fra tutti aver sdoppiato l’ottica utilizzando, con esperienza, una telecamera che ha proiettato su grandi pannelli i primi piani del volto del Duca di Vienna, oppure ha contribuito a circoscrivere lo sguardo su determinati particolari o ancora, durante i saluti a conclusione dello spettacolo, ha mostrato stralci delle prove e tracciato una linea di demarcazione tra finzione e realtà (scene e immagini di Antonio Panzuto).

Gli attori – Simone Toni, Roberto Petruzzelli, Francesco Grossi, Alessandro Baldinotti, Marco Morellini, Simone Faloppa, Luca Pedron, Camilla Diana, Federica Castellini, Federica Pizzutiloattendevano il proprio ingresso in scena su due panche disposte ai margini dello spazio d’azione, citazione/omaggio al genio di Strehler che fu il primo, in tempi moderni, a creare una situazione metateatrale a fianco del palco. Gli intermezzi comici e i soggetti di contorno sono stati rivisitati in termini moderni: taluni tradotti in macchiette della nobile arte dell’avanspettacolo, altri divenuti figure ambigue corrispondenti all’ambiguità del potere. Valerio infatti ha subìto, e riproposto allo spettatore, il fascino del torbido, della schiavitù data dalla paura, della non univocità di caratteri scaturiti dal genio di Stratford in Avon. I costumi (di Luigi Perego) giostrati tra bianco e nero con simboli ricamati sul retro delle giacche, hanno mantenuto l’oscura multivalenza dell’ambientazione shakespeariana, in bilico tra commedia e tragedia, dove i drammi non si compiono e il lieto fine non è gioioso, e in cui solo la morale appare evidente: sarete giudicati con la stessa misura con cui voi giudicate gli altri.


Massimo Venturiello ha donato intensità espressiva al Duca, governatore della città che sotto le mentite spoglie di frate si aggira tra il popolo per sapere cosa veramente pensa di lui e, nel frattempo, fa giustizia e sistema torti, salva condannati a morte e preserva la purezza di un’aspirante suora, infine punisce gli ipocriti e assortisce le coppie di ben quattro matrimoni. In altre parole, egli è il regista della situazione descritta dal Bardo, assunto che Paolo Valerio ha reso tangibile facendogli compiere una tappa fuori scena, al computer che comandava la telecamera. Valerio ha poi sorpreso con un coup de théâtre sempre relativo al Duca che, dismesso il saio e recuperata la posizione di comando, ha fatto il suo ingresso dalla gradinata dell’anfiteatro nelle vesti di cantante neomelodico.
Soccorrono le spiegazioni espresse con profondità d’analisi da Masolino d’Amico nelle sue note di sala. La situazione tra l’aspirante suora e il fratello condannato a morte non segue l’iter che ci si aspetterebbe. La monacanda, lungi dal sacrificarsi per salvare il consanguineo, giudica la propria virtù più importante della vita altrui, salvo poi accettare senza remore che un’estranea conceda se stessa al posto suo e salvo non obiettare alcunché quando il Duca comunica di volerla in moglie. Ciò perché, motiva D’Amico, i personaggi shakespeariani – e di conseguenza quelli di Valerio – non si muovono in un mondo favolistico ma sono «di carne e di sangue. Non recitano bensì vivono. Nella vita tutto contraddice sempre tutto».

Recensione Maria Luisa Abate


Visto al Teatro Romano di Verona il 19 luglio 2018
Contributi fotografici da Antonio Panzuto, Teatro Nuovo di Verona, Estate Teatrale Veronese