Fin dalla preistoria l’uomo ha sentito la necessità di rappresentare la figura umana, con i graffiti e le pitture murali e in forma tridimensionale. Dall’età paleolitica ci è giunta un’immensa quantità di statuette, realizzate in diversi materiali, riproducenti tratti umani. Quale fosse il loro significato – valore simbolico, religioso o di testimonianza, espressione di concetti metafisici, funzione rituale o “politica” – e quali soggetti realmente rappresentassero, rimane ancora un mistero. La mostra “Idoli. Il potere dell’immagine”, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue e curata da Annie Caubet, conservatrice onoraria del Musée du Louvre, propone un viaggio affascinante nel tempo e nello spazio: il primo tentativo di confronto dall’Oriente all’Occidente, di opere raffiguranti il corpo umano del 4000-2000 a.C.
Attraverso cento reperti – alcuni eccezionali per l’importanza storicoscientifica e la rarità – sarà possibile percorrere un ampio spazio geografico che si estende dalla Penisola Iberica alla Valle dell’Indo, dalle porte dell’Atlantico fino ai remoti confini dell’Estremo Oriente, in un’epoca in cui i villaggi del Neolitico si evolvono a poco a poco nelle società urbane dell’Età del Bronzo. La cosiddetta “Rivoluzione neolitica” è epocale: segna il passaggio da clan e tribù a società più complesse, vede l’avvento di nuove tecnologie e della lavorazione dei metalli, l’affermarsi delle prime forme di scrittura, l’avvio di reti commerciali e dei relativi traffici anche tra popoli molto distanti, che in tal modo intensificano gli scambi di merci, di idee e forme espressive. In questo contesto si collocano le misteriose rappresentazioni della figura umana qui esposte, di cui quattordici appartenenti alla Collezione Ligabue, le altre provenienti da collezioni private internazionali e da importanti musei europei di Zurigo, Oxford, Bruxelles, Madrid, Cagliari, Padova, Nicosia, e dal Monastero Abbaziale Mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia.
Dapprima quasi esclusivamente figure femminili, poi con l’affermarsi di società sempre più strutturate, furono soprattutto gli uomini a divenire protagonisti: dei, sovrani, eroi. Sarà sorprendente vedere come, in parti del mondo tra loro lontanissime, prendano piede tradizioni e forme di rappresentazioni simili o si ritrovino materiali giunti da paesi distanti, eppure già in relazione tra loro: l’ossidiana della Sardegna e dell’Anatolia, i lapislazzuli importati dall’Afghanistan, l’avorio ottenuto dalle zanne degli ippopotami dell’Egitto o delle Coste del Levante.
L’esposizione “Idoli. Il potere dell’immagine”, a Palazzo Loredan a Venezia, mostrerà – provenienti dalle Isole Cicladi, dall’Anatolia Occidentale, dalla Sardegna, ma anche dall’Egitto, dalla Spagna, dalla Mesopotamia o dalla Siria – le famose “Dee Madri”, raffigurazioni femminili particolarmente prospere nei seni e nei fianchi, simbolo forse del potere della Terra, della Maternità e della Fertilità; gli idoli astratti e geometrici che tanto affascinarono gli artisti del Novecento; i cosiddetti “idoli oculari” o idoli placca, nati dalla fascinazione esercitata dall’occhio come espressione della presenza spirituale, fino all’affermarsi, nel terzo millennio, del corpo umano nelle sue forme naturali. Non più solo esseri dall’identità ambigua, in particolare dal punto di vista del sesso (figure femminili androgine, presenza contemporanea di organi sessuali maschili e femminili, ecc.) né solamente espressione di principi divini, ma anche uomini mortali, reali – spesso colti in atteggiamento orante – e nuove divinità create a immagine dell’uomo. Quello che non cambia è il bisogno dell’individuo e della società di esprimere, con manufatti o con opere d’arte, le proprie paure, le proprie speranze, la propria fede. Tutte le statuette in mostra sono dunque custodi di storie e miti di straordinaria suggestione; testimoni di quel “grande arazzo di culture interconnesse” che si venne a creare tra la fine del IV e per tutto il III millennio a.C.
Affascinano le figure steatopigie dell’Arabia, le statuette cicladiche dalla sessualità ibrida, le enigmatiche sculture della preistoria cipriota, le statuine stanti del tipo plankshaped (con i tratti del volto resi da una molteplicità di segni geometrici incisi, l’abbigliamento elaborato e spesso del tipo “a due teste”). O ancora la visione naturalistica ma idealizzata che si sviluppa in Mesopotamia nell’Età del Bronzo. I geni raffigurati in questo periodo dagli artisti della Civiltà dell’Oxus, sviluppata in Asia centrale, narrano di battaglie cosmiche, di esseri dalla doppia identità animale e umana, ricompongono i fili del racconto mitologico ove il “Drago dell’Oxus” – detto anche “Lo Sfregiato” per il profondo squarcio che gli deturpa il volto – con il corpo coperto di squame di serpente, era la controparte selvaggia della “Dama dell’Oxus”, forse spirito astrale, forse principessa Battriana. Non possiamo non farci sedurre dai miti di queste prime civiltà e dal potere dell’immagine.

C.S.M.

Idoli. Il potere dell’immagine
Venezia 15 settembre 2018 – 20 gennaio 2019

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