Il rito si ripete. La “bella addormentata” che giace placida protetta dalle acque dei suoi laghi, la città dei Gonzaga e di Virgilio, di Rigoletto e soprattutto di Nuvolari, pigia sull’acceleratore per cinque giorni di “grand prix librario” ogni settembre fin dal 1997. Festivaletteratura è stato tra i primi a dare il “la” alla stagione dei festival letterari che ormai prolificano in ogni parte d’Italia e ha contribuito a instillare capillarmente la voglia di fare, e di fare cultura, non elitaria ma di massa, che registri afflussi da finali di calcio, da concerto rock, da ferragosto sulla riviera romagnola, da giornata iniziale dei saldi in un centro commerciale.

Il libretto, circa centocinquanta paginette scritte a caratteri piccoli come le clausole di un investimento bancario (di fatto si tratta di un investimento in cultura) è sfogliato fino a consunzione alla ricerca delle righe preventivamente evidenziate da ciascuno nello stilare il proprio personale percorso, sapendo che il bello è sovvertirlo seguendo l’istinto del momento. Oltre agli appuntamenti ufficiali riporta gli eventi collaterali. Impossibile però trovarli tutti-ma-proprio-tutti perché chiunque a Mantova, pubblico o privato, abbia in cantiere un’iniziativa di qualsiasi genere, coglie l’opportunità di mettersi in mostra in quella vetrina internazionale accogliente e generosa che è Festivaletteratura.
Un’ora prima del taglio inaugurale brulicano sia il punto di confort per gli autori, sito al piano nobile del palazzo tuttora abitato dal Conte Castiglioni, discendente dello scrittore Baldassarre, sia la sala stampa, nel salone delle Capriate. Subito il primo test: il pass press non serve a entrare a tutto, bisogna verificare la disponibilità dei biglietti. La macchina organizzativa funziona, l’ufficio stampa funziona, la biglietteria funziona e si ha quanto richiesto nel giro di pochi minuti. Presto e bene, alla faccia dell’italica burocrazia.
Gli eventi sono quasi tutti sold out. Già venerdì il Festival implode: via Accademia è chiusa al traffico perché la coda in attesa davanti al Teatro Bibiena satura lo spazio stradale. Il tratto tra Piazza Pallone e Piazza Paradiso (che belli i nomi antichi) verso la discesa di Santa Barbara è un’autostrada pedonale e il proprietario del luogo, un micio dal pelo nero che pare lustrato con la crema Nugget, è visibilmente infastidito. In piazza Castello, il cui serpentone per entrare costeggia la limitrofa piazza intitolata al trovatore Sordello, ci si siede, come ultima chance per non tornare a casa con le vesciche ai piedi, sui guardrail di cemento che circondano il parterre rialzato, chiedendosi se servano a proteggere gli spettatori dalle cadute oppure gli oleandri ornamentali dalla massa degli spettatori. Alcuni sono accompagnati dai loro migliori amici: uno mugola scodinzolando, un altro abbaia dissenso, un terzo sgranocchia allegramente il ventaglio pubblicitario di una mostra. Festivaletteratura è occasione lieta per chiunque.
I forestieri si avvistano al primo sguardo, dagli abiti colorati che spuntano come invasori tra il look delle discendenti di Isabella d’Este in Gonzaga, che all’epoca dettava regole modaiole in tutte le corti europee: il multistagionale nero scarafaggesco (con la f, non con la v) e ogni immaginabile e inimmaginabile declinazione del color schiacciatina per “ravvivare” l’estate. Un ragazzo, ignaro del diktat che impone la marca di lusso anche nell’etno-chic, inforca sulle spalle uno zainetto di tessuto multicolor, palese souvenir di un viaggio agli antipodi. Una signora (ah no, porta gli orecchini: è quindi un signore) ha i capelli intrecciati a fili di lana per simulare un’acconciatura rasta senza aver speso un occhio dal parrucchiere. Accanto, in compìto riserbo, una mantovana doc pare reduce da un cocktail alla Corte reale.
La città ha già cambiato volto. Le direttrici viarie del centro hanno lucidato l’argenteria del nuovo Millennio costituita dalle barriere anti attentati, e i consueti cestini per le immondizie sono stati sostituti da contenitori di plastica trasparente formato magnum, assicurati alle antiche colonne in marmo da possenti catene. I conquistadores sono educati, gli autoctoni ringraziano.
I punti di accoglienza non elargiscono le penne che anni or sono si portavano a casa a manciate e che accompagnavano durante tutto l’anno. La caffeina non scorre come un tempo a fiumi gratuiti. La spending review si fa sentire. Non ci sono più gli sponsor di una volta, anche se qualcuno ancora distribuisce gadget. L’azienda che gestisce l’acquedotto dispensa bicchierini di carta (utili a essere appallottolati e usati come antistress) e mappe indicanti le fontanelle assieme alla rassicurazione che si tratti di acqua potabile. Sorge il sospetto non sia sorgiva. Una ditta invita a lappare il proprio budinoso prodotto spatasciato in un cono gelato. Accanto al dolce furgoncino Ape (un destino nel nome) una stella dorata indica la via verso la tenda bianca (montata impeccabilmente sui sampietrini) dell’Esercito Italiano. È azione temeraria superare la barriera dei militari che fanno scudo ai libri posti in vendita, presumibilmente in visione se non altro per rendersi conto dei titoli. Se il grande fumettista Bonvi fosse ancora tra noi commenterebbe che non ci sono più le Sturmtruppen di una volta. Nella fila in coda per un panino serpeggia un brivido di terrore, che corre di bocca in bocca come rossiniana calunnia: la mortadella è terminata. Per fortuna è una fake new. Le papille gustative e il colesterolo sono salvi.
Ed è salvo il riconfermarsi di Festivaletteratura nel suo ruolo di ambasciatore di cultura e soprattutto di gente. Di una umanità che pratica i libri non come sfoggio salottiero, non come mascheramento turistico di poche ore, ma comeuna esigenza quotidiana da professare nella normalità della vita. Questa è la sua intramontabile bellezza.

Resoconto Maria Luisa Abate

Festivaletteratura Mantova 5 – 9 settembre
Foto MiLùMediA for DeArtes

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