L’Officina del Gas è torrida. Sotto le pale dei ventilatori che roteano stancamente, il critico, saggista, traduttore, giornalista, professore universitario, figlio e nipote d’arte Masolino D’Amico dialoga con Sandra Petrignani, autrice di “Non si amano soltanto le memorie felici”, una biografia o per meglio dire un’esplorazione attorno a Natalia Ginzburg. I ricordi dei due si sommano, si integrano l’un l’altro partendo dalle cene a casa di Giulio Einaudi, dove spesso erano invitati sia la Ginzburg che D’Amico, i quali a un certo punto diventarono mezzi parenti, oltre che essere vicini di casa. La famosa scrittrice è vista nella quotidianità di donna, come ogni altra accusata dai figli di non capire niente. Credeva di essere brutta e scema, perché faceva parte di una piccola famiglia di persone tutte straordinarie, e i suoi fratelli non la consideravano. Era quella, una casa dove passava la storia: frequentata da Turati e da Olivetti, da pittori artisti e scrittori che cospiravano contro il fascismo, come il musicologo Massimo Mila, che negli spartiti inseriva messaggi in codice.
Complessata dal non essere laureata, Natalia Levi faticò a uscire dal guscio e fu importantissimo, in tal senso, il matrimonio con Leone Ginzburg. Cognome che mantenne anche dopo essersi risposata con Gabriele Baldini, con il quale aveva frequenti schermaglie. Lei tirava i piatti e lui usciva sbattendo la porta, però la scrittrice sosteneva che non fossero liti bensì un modo di fare teatro. Ma fu Leone Ginzburg a darle fiducia, a farle da guida, a capirne la personalità come fece anche con il suo amico Pavese, sul quale Natalia scrisse alcune delle sue più belle pagine. Leone fu più di un marito, fu un padre letterario, afferma D’Amico che regala agli astanti una delle sue meravigliose immagini: quando Natalia stilava una recensione a un libro, o una critica teatrale, la intendeva come una missione, come una voce che dovesse essere detta agli altri. Fu amica di Pasolini e disse peste e corna di Bernardo Bertolucci. Fu amica anche di Elsa Morante, che le lasciò in eredità i suoi due gatti però non apprezzò mai il suo teatro. Che invece, è il giudizio qualificato di Masolino D’Amico, risulta interessante perché non è rivoluzionario. Nei suoi lavori deliziosi Ginzburg sapeva osservare i personaggi, descriveva gente normale, senza che ci fosse un mattatore, senza un ruolo per il grande attore. Possedeva leggerezza di dialogo e la grazia di non privilegiare la trama, come in Checov. Caratteristica che, nel teatro italiano, ha avuto lei sola.

Maria Luisa Abate

Visto a Festivaletteratura Mantova il 6 settembre 2018
Foto MiLùMediA for DeArtes