Un concerto che ha fatto fremere i cuori perché dedicato al Maestro Ezio Bosso che nel 2019 venne per la prima volta all’Arena di Verona, dando un appuntamento all’anno seguente al quale non arrivò mai. Il grande musicista scomparso prematuramente diresse Carmina Burana (vedi recensione DeArtes qui) e così, in questo 2022, prima dell’esecuzione del brano di Carl Orff, gli altoparlanti dell’anfiteatro hanno ricordato il saluto che Bosso espresse in quella straordinaria, indimenticabile occasione: «Lascio Verona con il vuoto più pieno della mia vita. Parto senza partire».
Carmina Burana è un titolo che ritorna frequentemente nella programmazione areniana, molto amato dal pubblico, tanto che, per accogliere tutti gli spettatori giunti per questa data unica, sono stati aperti aggiuntivamente i settori delle gradinate laterali al palcoscenico. Un’affluenza massiccia dovuta anche al fatto che, se pure l’Arena ha abituato in anni recenti a nomi di primo piano, questi Carmina hanno beneficiato di un cast di interpreti eccezionali.
Carl Orff attinse ai canti goliardici dei clerici vagantes del Basso Medioevo, scoperti nella biblioteca del monastero bavarese di Benediktbeuern (anticamente Bura Sancti Benedicti), inun codice chiamato Codex Latinus Monacensis 4660 o Codex Buranus. Una raccolta poetica suddivisa in 112 fogli di pergamena decorati con miniature, contenenti 228 componimenti pare tutti destinati al canto ma di cui solo 47 riportanti la traccia musicale. Carl Orff scelse 24 brani in latino, provenzale, alto tedesco medio, alcuni con termini maccheronici, per lo più inneggianti all’amore, al risveglio della natura e alle gioie della vita. Tra il 1935 e il 1936 Orff riadattò i testi innestandoli su una propria struttura musicale rifacentesi alla semplicità e alla bellezza del suono e del ritmo, e all’immediatezza di comunicazione. Il lavoro, che passa da pagine di estrema vivacità ad altre pacate, richiede un imponente organico orchestrale, con due pianoforti e strumenti poco convenzionali, la presenza di due cori e di tre voci soliste.
I canti profani presentano repentine alternanze dinamiche come pure coloristiche che Andrea Battistoni sul podio ha veicolato tramite la sua spiccata personalità direttoriale, con sguardo aperto e con una incisiva carica espressiva particolarmente calzante a questa “cantata scenica”. L’esecuzione impressa dal direttore, avvincente, è stata giostrata tra impeti focosi e abbandoni melodici, rivelandosi ricca di echi e suggestioni, di tratti dalla straordinaria capacità descrittiva che hanno rimandato a mondi gioiosi o incantati, a momenti scherzosi ed epicurei, a turbolente inquietudini.
L’Orchestra, estremamente preparata sul titolo, ha saputo amalgamarsi perfettamente con le formazioni corali chiamate a fare la parte del leone grazie alla meticolosa preparazione di Ulisse Trabacchin. A questo organico corale, anch’esso numericamente imponente, si è aggiunta la compagine di voci di bianche che ha unito i cantori A.Li.Ve. e A.d’A.Mus istruiti rispettivamente da Paolo Facincani e da Marco Tonini.
Le voci soliste, di spicco nel panorama internazionale, si sono agevolmente inerpicate sugli arabeschi richiesti dalla partitura, impegnativi e necessitanti di duttilità e totale padronanza del mezzo vocale. Caratteristiche possedute ai massimi livelli da tutti e tre gli interpreti. A Mario Cassi è spettata la parte più consistente e di maggiore difficoltà perché richiede una multiforme resa vocale, superata a pieni voti a iniziare dalla levigata pienezza del timbro baritonale fino alle note falsettistiche previste da Orff.
Il controtenore era Filippo Mineccia, al suo debutto areniano e specialista proprio in tessiture come questa, che ha scolpito con grazia sicurezza e pulizia, senza sbavature. Lisette Oropesa quest’anno ha regalato due serate areniane mozzafiato. Il soprano possiede una dotazione sontuosa ed elegante, nella presente occasione cesellata attraverso l’emissione soave e di purezza adamantina.
Sulla chiusura, in cui la ruota della Fortuna che determina i destini dell’umanità riprende a girare inesorabile, si sono sprigionati fumi rosseggianti che il vento, complice, ha sospinto in aria in nuvole luminose (luci Paolo Mazzon): di minor impatto rispetto ai fuochi visti negli anni passati ma di sempre apprezzabile fascino e con il pregio di aver inserito un elemento distintivo. Sulla linea consueta si sono invece dipanate le proiezioni che hanno colorato i gradoni per tutta la durata del concerto. Un acquazzone prima dell’orario d’inizio ha imposto, durante lo svolgimento, una breve interruzione a causa di poche gocce di pioggia residue, che non hanno turbato la suggestione della serata.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 12 agosto 2022
Contributi fotografici: Ennevi Foto