È stato uno dei concerti di punta del cartellone mantovano Tempo d’Orchestra, quello che ha visto solista al pianoforte Jae Hong Park, nel 2021 vincitore, con l’aggiunta di quattro riconoscimenti speciali, del Premio ‘Ferruccio Busoni’, uno dei concorsi più prestigiosi e selettivi al mondo (quanti non erano tra i fortunati presenti possono trovare la serata finale su YouTube, in una registrazione Rai). Assieme a lui, sul palco del Teatro Sociale di Mantova, una tra le più note e stimate formazioni italiane, l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento guidata da Min Chung, affermato figlio d’arte del celebre direttore Myung Whun Chung. Il programma ha ruotato attorno al numero che viene considerato perfetto, avendo presentato dapprima il Concerto per pianoforte e orchestra n.3 e poi la Sinfonia n.3 “Eroica” di Ludwig van Beethoven.

Iniziamo a parlare della seconda parte della serata che ha visto protagonista l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, come si diceva guidata dal trentottenne sudcoreano Min Chung. L’ “Eroica”, la cui prima esecuzione risale al 1805, è uno dei più spettacolari esempi del sinfonismo beethoveniano e del nascente romanticismo di matrice tedesca. Il direttore, con gesto preciso, ha portato l’eccellenza orchestrale verso lidi di descrittività plastica e ben strutturata della straordinaria inventiva del genio di Bonn, che racchiude in sé la capacità di dare voce a sentimenti universali. In conclusione, un bis che il direttore ha spiritosamente “giustificato” con l’esigenza di provare una overture di Rossini in vista dell’imminente tournée in Giappone.  

Classe 1999, anch’egli sudcoreano, quasi piegato in due sui tasti, Jae Hong Park ha strabiliato per la stupefacente apparente semplicità dimostrata nell’esecuzione del Concerto n.3, composto nel 1800 e quindi anch’esso anticipatore del gusto romantico, al quale si è aggiunto un fuori programma dedicato a Fauré. Si può stilare un lungo elenco dei pregi di Park, iniziando dai colori e dalla poesia, arrivando alla tecnica e al virtuosismo non esasperato, la fluidità e la morbidezza del tocco, la capacità di dialogo con l’orchestra, l’uso sapiente dei tempi, il controllo formale … un elenco tedioso. Così, si torna a quell’unica caratteristica, l’apparente semplicità esecutiva ma anche emozionale, che è la cifra stilistica peculiare di questo straordinario giovane. Park dà prova di quanto gli elementi sopra citati siano inutili nella loro singolarità, acquisiscano importanza dopo essere stati messi insieme, diventino sostanziali quando il pianista pare dimenticarsene, perché connaturati in lui. Park riesce, semplicemente, ad andare oltre. Una questione di chimica? No. Di interpretazione? Troppo scontato. Di espressività? Riduttivo. Talento? Lo hanno in tanti. Nel caso di Jae Hong Park si può parlare di quell’insondabile e indescrivibile quid che fa correre un fremito dalle orecchie giù giù lungo la spina dorsale, passando per cuore e pancia fino a penetrare nelle ossa, e che solo sparuti eletti baciati dalla dea della Musica possiedono. In poche altre occasioni come questa la nostra penna appare inutile. Meglio allora posarla e abbandonarsi al solo ascolto, con semplicità.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Sociale di Mantova, Tempo d’Orchestra, il 26 gennaio 2023
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes

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