Che Edward Kennedy “Duke” Ellington (1899-1974) sia stato tra i più grandi, o addirittura il più grande, di tutti i musicisti di jazz, pochi dubbi. In una carriera discografica di mezzo secolo, Duke ha attraversato diversi periodi: dalle incisioni degli inizi, in cui convivevano, senza stridori, sofisticata eleganza e ingenuità, fino al periodo finale in cui si accompagnò a grandi solisti d’avanguardia come Charlie Mingus, Max Roach e John Coltrane. Lui, Duke, mi è sempre sembrato in perfetto controllo della situazione, con una cifra personale e distintiva, svariante e articolata come un diamante ben tagliato. Si è portati naturalmente ad associare il suo nome alla grande orchestra, la big band, che è stata, in effetti, il suo territorio d’elezione e lo scenario preferito per geniali composizioni e raffinate orchestrazioni; ma non vanno dimenticate le sue doti di solista di pianoforte (l’intrigante LP “Piano Reflections” https://www.youtube.com/watch?v=R4a9J3077fk&list=PLSWjuFgZsueqpMqQXISkHS25KUXXMwSqI per la Capitol del 1953) e le luminose sedute per piccolo complesso, spesso sotto la leadership dei più importanti tra i suoi solisti.

Non tutti i dischi, ovvio, sono stati impeccabili, non tutti i periodi hanno avuto la stessa qualità e la discussione su quale sia stata l’epoca migliore o la stagione più fruttuosa è aperta. Credo però che difficilmente troverete un appassionato che non inserisca nella propria lista personale dell’Ellington migliore, il periodo dei primi anni ’40. Il contratto in esclusiva per la Victor con inizio dal 22 febbraio 1940, per com’era articolato, costituiva una specie di consacrazione: nessun’altra orchestra nera avrebbe potuto pubblicare dischi per la prestigiosa etichetta, se mai per la marca secondaria del gruppo, la Bluebird. A quel periodo risale il disco su cui vorrei oggi intrattenervi: “Across the Track Blues”, inciso lunedì 28 ottobre 1940 a Chicago nello studio A della Victor tra le 11.15 e le 3.45 (non è dato di sapere se a.m o p.m: il Duca fissava spesso le sedute di registrazione a ore stravaganti e irrituali) https://www.youtube.com/watch?v=HQZsP-8ZP94. Queste informazioni forse trascurabili (ma chissà …) le ho riprese dalla monumentale edizione con la quale la RCA Victor ha onorato il centenario della nascita: The Centennial Editionè un set di 24 CD, curatissimo nella grafica e nella documentazione e di ottima qualità. Non credo che sia più in circolazione: io la mia copia in ogni caso ce l’ho.

Ma cosa cambiò davvero in quel periodo di grazia, a parte gli aspetti contrattuali? Molti solisti vecchi e nuovi si trovarono in un periodo di grazia straordinario; si affermò il talento di Billy Strayhorn, arrangiatore in seconda e alter ego del Duca; un personaggio come Jimmy Blanton rivoluzionò letteralmente il ruolo del contrabbasso; Ben Webster al sax tenore costruì una voce personale per lo strumento, affiancandosi nell’Olimpo al grande Coleman Hawkins e a Lester “Pres” Young. A proposito dei solisti ellingtoniani, la mia impressione è che alcuni di essi abbiano trovato il modo di imporsi in qualunque contesto, anche al di fuori dell’ambito ducale, mentre altri quando si allontanarono da quel grande cono di luce luminosissima che era la band – soprattutto nel periodo in questione – persero qualcosa: come un animale esotico che, lontano dalla sua foresta nativa, ci apparisse un po’ meno colorito, un po’ meno elegante, più anonimo e impersonale.
Sì, anche in questo caso il mio ricordo si materializza in un vecchio settantotto giri: sull’altro lato di Across the Track Blues”, se la memoria non m’inganna (ma diffidate…), c’era un altro titolo importante (“Chloe”). Il nostro blues non è, lo dico con chiarezza, uno dei capolavori più acclamati di quell’aurea epoca ellingtoniana: come già sapete, questa non vuol essere una rassegna dei dischi migliori o più celebrati. Però molti critici ne hanno parlato anche a lungo. Sembra, all’ascolto, un brano nato per caso, una sorta d’improvvisazione spontanea fiorita in studio di registrazione, ma come fa notare J. E. Hasse, nel suo libro dedicato a Duke (“Beyond Category”, 1993) è in realtà un’accurata elaborazione del blues, forma di classica semplicità e che nelle mani del Duca appare diversa da quella creata da qualsiasi altro musicista. Livio Cerri  la definisce “una bella interpretazione”. Per Eddie Lambert è una magnifica esecuzione di quella forma, il blues,  che E. non dimentica mai .

Intanto provo, riascoltandolo, a indicare i motivi per cui piaceva (e piace) a me. Mi colpiva (e ancor oggi mi affascina) la sua atmosfera raccolta, contenuta,  seguivo affascinato la magistrale linea di contrabbasso pizzicato di Jimmy Blanton e anche il solismo del clarinettista Barney Bigard, non sempre da me ugualmente amato in altri contesti, mi sembrava qui  assolutamente immacolato. E lo stesso si può dire del trombonista Lawrence  Brown. A tal proposito, ecco ancora una citazione da Eddie Lambert: “Brown non è sempre un buon solista di blues, ma nei casi migliori, come questo, è correttissimo e impeccabilmente melodico”. Lawrence Gushee ha scritto il saggio “Duke Ellington 1940” incluso nel volume antologico “The Duke Ellington Reader” curato da Marc Tucker, professore associato di musica alla Columbia University. In questo saggio si parla anche del nostro disco e se ne mette in luce con acutezza la qualità della costruzione. Il brano ha un andamento ad arco: introduzione di quattro misure di piano e contrabbasso (magico Blanton!); primo chorus di dodici misure Bigard sul registro basso del clarinetto; secondo per Rex Stewart, con la sua tromba sordinata e pungente; terzo per l’orchestra (più risonante e corposo); quarto per il trombone di Brown; poi di nuovo Bigard a chiudere la sequenza degli assoli e infine conclusione di due misure con Duke e Blanton. Si potrebbe schematizzarlo così: Introduzione (4) – Bigard (12) – Stewart (12) – Orchestra (12) – Brown (12) – Bigard (12) – Coda (2).

Forse adesso voi lettori ne avete abbastanza di analisi strutturali, formalismi, conteggi di battute e numero dei ritornelli: avete tutto il diritto che vi lasci tranquilli, liberi di lasciarvi andare alle sensazioni che penso, potrà generare anche in voi questa musica struggente ma non sdolcinata, quest’avventura tenera e semplice, ma non priva di segnali inquietanti, come uno sfondo sonoro misterioso che ci accompagni in una passeggiata nel bosco. Non a caso il brano aveva all’origine un titolo provvisorio diverso: “Pastel”) Questo blues m’insegue da tanti anni, sempre con il suo passo pacato e sottotono: io e lui siamo quasi coetanei. Quando “Across the Track Blues” nasceva in studio, il vostro vecchio cronista stava per compiere il terzo mese di vita. Che annata, quel 1940!