Di Diego Tripodi. Bologna: Stefano e Valeria Montanari, violino e clavicembalo, a “Il Nuovo, l’Antico”.
Musicalmente parlando, il secolo diciottesimo, secolo d’ogni sorta di rivoluzione, si apre con uno di quei fortunati eventi come se ne trovano pochi: il 1° gennaio 1700 vede la luce l’edizione dell’op.V di Arcangelo Corelli, una nuova folgorante raccolta di dodici sonate “a Violino Solo e Violone o Cimbalo”, la cui popolarità ben presto sarà tale da imporre la raccolta come modello assoluto di scienza compositiva e di buon gusto, con una diffusione capillare in tutta Europa che continuerà per tutto il secolo, come testimoniato da decine e decine di manoscritti giunti sino a noi.
Proprio con la quinta sonata in sol minore, splendido bassorilievo musicale, si apriva, domenica 29 settembre, il secondo appuntamento della storica rassegna di Bologna Festival, ossia “Il Nuovo L’Antico” (vedi qui), che sin dal suo primo anno porta avanti l’idea del suo compianto ideatore, Mario Messinis, di promuovere in un percorso parallelo (e a volte intrecciato) il repertorio antico e quello contemporaneo. Da quest’anno poi si è aggiunto anche “L’Altrove”, che mette al tutto un tocco di esotico fascino.
Il concerto di cui vi diamo notizia, dal titolo “Solfeggiamenti, Partite e Sonate”, ha visto esibirsi, nella storica cornice dell’Oratorio di San Filippo Neri, il duo violino e clavicembalo dei fratelli Stefano e Valeria Montanari.
Stefano, de facto autoproclamatosi leader (almeno di quella serata) sin dal primo passo sul palco interagendo colloquialmente col pubblico, ha ben donde di tanta disinvoltura: negli anni, infatti, è stato protagonista di una carriera internazionale in ascesa che, ad oggi, lo vede sia come riferimento del violino barocco (fra le altre, importante la sua collaborazione con Accademia Bizantina) che come affermato direttore dei repertori operistico e sinfonico.
La posa disinibita e compiaciuta – che ammicca a un immaginario pop-rock e al contempo a una rustica schiettezza romagnola, mescolandoli allegramente – serviva però ad introdurre comodamente al pubblico il repertorio scelto per la serata: oltre la sonata in apertura già menzionata e, specularmente in chiusura, le immancabili variazioni su La Follia del suo “quasi compaesano” Corelli, sono state eseguite la Seconda Partita di Bach, la Sonata n°13 di Vivaldi e, singolarità del programma su cui si è soffermato lo stesso Montanari, tre trascrizioni dei Solfeggi per voce di Leonardo Leo, capostipite della gloriosa scuola napoletana.
Alla luce di questi ultimi brani, appare giustissimo il titolo del programma di sala curato da Alessandro Taverna, ossia “La linea del canto”, quasi il sottotitolo di un concerto che ha voluto snodarsi, non senza tortuosità, lungo la strada di quell’ideale della cantabilità, che già i maestri del tardo barocco inseguivano e che poi avrebbe avuto ulteriore fortuna.
Le interpretazioni di Montanari sono risultate degne di attenzione, non tanto per la bravura, che pure non è mancata ma ci è parsa meno rilevante, quanto per una lettura assolutamente personale, persino, alle volte, al limite del provocatorio.
Ci è sembrato infatti che la strada proposta fosse tanto distante dallo stile interpretativo tradizionale quanto da certi manierismi delle esecuzioni barocchiste; di queste, ad esempio, mancava la tendenza (sia chiaro, giustificatissima da fior fior di ricerca) alla ornamentazione esasperata. La libertà passava da altrove, soprattutto dall’articolazione e dalla ricerca dei colori, cosa che ci ha lasciato un’impressione assolutamente di inaspettata modernità. Da questo punto di vista, la multipolarità di Montanari sembrava aver sposato perfettamente la filosofia che guida la rassegna bolognese.
Quanto detto è stato particolarmente vero per la Ciaccona che chiude la Sonata di Bach – l’ a tratti cattedratico monumento violinistico del Kantor di Lipsia – le cui inconfondibili lancinanti strappate iniziali, ad esempio, sono state sovvertite dall’apertura sommessa, quasi meditativa, di Montanari, che ha così spiazzato l’uditorio. Non sono mancati ulteriori contrasti emotivi, persino una certa frenesia e, fra le cose degne di nota, la chiarezza della polifonia.
A controbilanciare, diremmo saggiamente, la “mattacchioneria” del fratello, ci pensava l’esperta Valeria Montanari, ottima continuista di numerosi ensemble barocchi italiani, nonché proprio di basso continuo insegnante al Conservatorio di Venezia: mai sottomessa, ma sempre composta, diremmo rigorosissima, è stata la partner esatta per fornire la salda base su cui lasciare Stefano ad edificare le volute del suo “alternative baroque”.
Recensione di Diego Tripodi
Visto a Bologna, Oratorio di San Filippo Neri,
rassegna ‘Il nuovo, l’antico, l’altrove’ – Bologna Festival
29 settembre 2024
Immagine di copertina: Stefano Montanari @Roberto Cifarelli
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