Roncole Verdi e non solo Verdi. Nella frazione di Busseto a pochi chilometri da Parma, a fianco della casa natale del compositore c’è un bar. Oltre un cancelletto che dà accesso al cortile, una foto di famiglia indica l’ingresso alla Casa Museo Giovannino Guareschi. In questa terra il giornalista, scrittore, sceneggiatore, grafico, vignettista, umorista e libero pensatore giunse da Milano nel 1952 per aprire un’osteria. Sul fondo del cortile, a fianco del giardinetto, spicca un quadro in piastrelle di ceramica, personalizzazione di una oleografia ottocentesca raffigurante sant’Antonio Abate, lì collocato per proteggere il ristorante e perciò attorniato da animali vivi o passati ad altra esistenza come il culatello.

Ci accoglie una guida d’eccezione. Alberto, figlio di Giovannino, dopo aver gestito l’attività culinaria per trent’anni e aver fondato assieme alla sorella Carlotta il Club dei Ventitré, ha convertito i locali in spazio didattico e antologico, luogo dei ricordi e degli affetti di cui è amorevole custode assieme alle sue discendenti. Nell’anticamera ci si imbatte nel nodoso fusto di un glicine che spunta al centro del pavimento e protende i rami alla ricerca di sole e aria aperta attraverso un pertugio ricavato apposta nel muro. «Era qui prima di noi e qui lo abbiamo lasciato» spiega con cortesia innata l’anfitrione. Il quale ci invita a conversare all’interno del grande camino, sormontato dall’immancabile foto di Verdi, dove una volta si cucinava e si svolgevano piccoli cenacoli. Il fumo diffonde un profumo antico di ospitalità che riscalda più del ciocco ardente. Dal fuoco al ghiaccio: Guareschi è come un iceberg, riassume il figlio, la parte grande sta sotto. Ed è vero. Più parliamo, più emergono frammenti di una vita straordinaria. Anche la casa ha la conformazione di un iceberg.

Seguire l’archivio e il flusso di gente che lo frequenta è impresa non facile. Su Giovannino Guareschi sono state realizzate centoquaranta tesi di laurea e al momento ne sono in lavorazione quattro, una delle quali è la tesi di dottorato di un ragazzo egiziano. A consultare i faldoni giungono scuole di ogni grado, studenti e studiosi anche dall’estero. Se si pensa che identico pellegrinaggio laico avviene per Giuseppe Verdi, non pare azzardato definire Roncole (382 abitanti da fonte Istat) un piccolo caput mundi. Per meglio dire, caput del “Mondo Piccolo” cantato dallo scrittore.
 

L’archivio conserva circa settemila disegni, molta corrispondenza, ottanta-novantamila documenti. In totale duecentomila atti. Guareschi non buttava nulla. Ci sono le lettere inviate dai lettori e tutti i comunicati stampa e le altre fonti utilizzate per redigere gli articoli del Candido, il glorioso settimanale che fondò assieme a Mosca e che diresse dal 46 al 57. Ci sono anche tutti gli articoli che aveva ritagliato da altri giornali per confezionare la rubrica “Giro d’Italia”, dove riassumeva quanto avveniva nella Penisola. Su Candido, a puntate, nacquero i suoi personaggi più famosi: Peppone e don Camillo. Per crearli Guareschi si impadronì della personalità di due uomini realmente esistiti, che non vivevano nello stesso paese. Peppone si rifaceva a Giovanni Faraboli, sindacalista di Fontanelle di Roccabianca, che tenne in braccio Giovannino appena nato, mentre don Camillo era ispirato a don Lamberto Torricelli, arciprete di Marore, paese dell’hinterland parmense dove la mamma dello scrittore fu maestra elementare per quarantanove anni. Recentemente, in teatro a Busseto durante una discussione pubblica, hanno indossato i panni di questi due personaggi degli interpreti eccellenti: Fausto Bertinotti e l’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi.

Di altro stampo sono i “cattocomunisti”, commenta Alberto, che cercano di appropriarsi della figura di don Camillo ma non ci riescono perché è un prete vero, che non fa il politico, mette al centro l’uomo e sul piano dottrinale non scende a compromessi.
Guareschi spronava i lettori a non ascoltare il suono della campana del suo giornale, ma a sentire altre voci e farsi un’idea propria. Era monarchico e contro tutte le ideologie che impediscono di pensare con la propria testa. Constatato come tale pratica per molti risultasse faticosa, aveva creato lo slogan: “pensar non nuoce”. Candido fu chiuso per volontà di un politico, taglia corto Alberto per poi ricollegarsi al Bertoldo. La rivista nacque nel 36 e perì nel 43 sotto i bombardamenti, inutili i successivi tentativi di salvataggio. Era un giornale intelligente; allora l’Italia era sotto il regime e fare satira e umorismo non era facile. Guareschi ci riusciva perché operava una netta distinzione tra ideologie e uomini. Per intenderci, precisa Alberto, Peppone è un comunista ma non è il comunismo.

Chiediamo come si viva il rapporto con una figura paterna “ingombrante”. «Io ci sono nato dentro. La sola differenza rispetto ai miei amici d’infanzia era che lui lavorava in casa. Per il resto era normalissimo: non si è mai atteggiato a personaggio. L’unico inconveniente, quando passeggiavamo in strada a Milano, era essere fermati da gente che si complimentava per un articolo o un disegno. C’è stato un periodo in cui era molto popolare, non solo in Italia. Una volta fece un viaggio per visitare i lager dove era stato rinchiuso durante la guerra. In Germania erano già usciti i suoi film e avevano riscosso un successo incredibile. Siccome Giovannino aveva due imponenti baffi, tutti lo chiamavano Peppone».

Passò due anni in quattro campi di concentramento, in Germania e Polonia mano a mano che la guerra andava male e i tedeschi si spostavano. Era ufficiale di complemento in forze all’esercito. Dopo l’armistizio non volle combattere e nemmeno aderire alla Repubblica Sociale. Trascorse un anno e mezzo prigioniero dei nazisti e sei mesi dei liberatori inglesi. In quel periodo maturò il suo pensiero e l’impegno sociale. I reclusi erano numeri e Guareschi scoprì la capacità di farsi carico dei problemi degli altri, mettendo a frutto anche in quella situazione il dono che gli fece il Padreterno: l’umorismo. Nei lager scriveva favole che, dopo aver superato il vaglio dei traduttori, andava a leggere nelle baracche, per aiutare i compagni di sventura che non erano forti come lui, per impedire loro di lasciarsi andare. Erano debilitati, il cibo era pessimo e inferiore alla razione minima vitale. Prima veniva la dissenteria, poi il tifo, indi si moriva. Perirono in cinquantamila. Guareschi, che era arrivato a pesare «quarantasei chili compresi i pidocchi e gli zoccoli di legno», teneva i compagni aggrappati alla vita con storie che parlavano degli affetti familiari. Aveva coniato un altro slogan: “non muoio neanche se mi ammazzano”. Per fortuna i tedeschi non lo capirono. Tornato in Italia pubblicò “Diario clandestino”. In quella tragedia ci fu chi vinse e chi perse. Diceva:  «Io la mia battaglia l’ho vinta perché sono riuscito a venire fuori da questo cataclisma senza odiare nessuno e ho conosciuto un personaggio molto simpatico: me stesso».

A ripercorrere questa vita eccezionale è proprio Giovannino tramite il video di Egidio Bandini che viene proiettato ai visitatori. Sarebbe morto di lì a poco, in pace con se stesso. «Non mi riuscì bene nessun lavoro, così ripiegai sul giornalismo… Volevo proprio essere così come sono. Diverso, mi andrei largo o stretto».

Visto per voi da Maria Luisa Abate

Contributi fotografici MiLùMediA for DeArtes
Roncole Verdi 22 febbraio 2019





Casa Archivio Giovannino Guareschi
via Processione 160
43011 Roncole Verdi – Busseto (PR)
tel. 0524 92495

www.giovanninoguareschi.com

Ingresso libero
Da lunedì a sabato 9-12:30 / 14:30-17
Domenica 10-12:30 / 14:30-17