Di Maria Luisa Abate. Mantova, Tempo d’Orchestra: nitore e sincronismo nell’omaggio del trio al compositore francese.
Ravel indagato nel corso degli anni di produzione, emerso con speciale limpidezza, con nitore esecutivo e ancor prima di approccio. Un trio formato da solisti esponenti di quell’eccellenza di cui l’Italia si fa vanto. Massimo Quarta, Enrico Dindo, Pietro De Maria stanno portando in tournée nei teatri e nelle rassegne più prestigiose della Penisola un programma monografico dedicato a Ravel, in occasione dei 150 anni dalla nascita (1895). Tra le tappe, la Stagione Tempo d’Orchestra a Mantova, in un concerto proposto in due diversi orari per riuscire a soddisfare le numerose richieste.
Ci accingiamo a parlare di Ravel con un poco di timore, memori del fatto che il grande compositore francese esercitò anche la professione di critico musicale quando, agli inizi del Novecento, fondò assieme a Fauré, Schmitt e Koechlin la Société musicale indépendante: un’associazione nata (e presto chiusa per problemi economici) per promuovere la libertà compositiva contemporanea, in contrapposizione alle idee conservatrici della Société Nationale de Musique che in Francia perduravano dalla fine dell’Ottocento. Ravel tuttavia non fu un innovatore radicale, ma fu tra coloro che cercarono di conciliare la tradizione con i nuovi linguaggi dell’epoca, esaltando l’espressività in ogni sua forma e sganciata da qualsivoglia costrizione. Forma che per Ravel si basa molto sui giochi timbrici e sul tessuto armonico.

In apertura, una chicca di rara esecuzione che rappresenta una delle pagine più innovative della produzione di Ravel. La Sonata per violino e violoncello in la minore M.73, dedicata a Debussy, richiese all’autore due anni di gestazione, dal 1920 al 22. Ravel stesso la definì sperimentale per aver compiuto una “rinuncia al fascino armonico” come egli stesso ebbe a dire parlando anche di “spoliazione giunta allo stremo”, e come ci è stato indicato nelle note di sala a firma di Andrea Zaniboni.
Proprio questa spinta progressista, questa originalità che si discosta dallo stile raveliano più conosciuto, è scaturita dall’interpretazione di Massimo Quarta al violino e Enrico Dindo al violoncello, i quali, con tecnica solidissima e trattando i loro archi con la necessaria veemenza, hanno esaltato le arditezze tonali, le dissonanze attentamente costruite nondimeno asprigne, l’ardito cromatismo, le inquietudini contrappuntistiche, l’esuberanza ritmica; racchiudendo il tutto sotto l’egida di una appropriata asciuttezza.
Ciò che più ci ha colpiti nell’esecuzione è stato il sincronismo tra i due musicisti, talmente perfetto da non necessitare nemmeno di un fugace scambio di sguardi tra loro. Un sincronismo totale e assoluto, tale da aver reso spesso indistinguibile il suono di un arco da quello dell’altro, in ciò avendo assecondato magistralmente la scrittura raveliana che prevede frequenti passaggi tonali tra gli strumenti fino alla “confusione” delle due voci, nel senso latino di con-fondere.

La seconda proposta ha lasciato spazio al pianoforte solista di Pietro de Maria in una pagina assai nota al grande pubblico: Gaspard de la nuit. Tre poemi per pianoforte da Aloysius Bertrand M. 55. Trattandosi, come indica il titolo, di momenti musicali ispirati ai pometti che lo scrittore pubblicò nel 1842 (65 in tutto), sarebbe stato facile cadere nel tranello di un’esecuzione piattamente didascalica. La sovrapposizione tra testo letterario e composizione musicale è innegabile e l’intento descrittivo viene evidenziato nell’edizione letteraria “Fantaisies a la manière de Rembrandt e Callot”.
Ciononostante un fuoriclasse come De Maria, che ha snocciolato un virtuosismo ai massimi gradi superando fluidamente gli scogli più appuntiti e le vette più aguzze del tecnicismo, ha innestato sulla pura e semplice descrittività sonora una vera e propria linea narrativa, aggiungendovi un carico evocativo notevolissimo. Il caleidoscopio timbrico, mantenuto entro i contorni di un’affascinante misura, ha immerso nell’atmosfera notturna, diabolica, infernale di questo brano giocato sui contrasti, che il pianista ha espresso in modo elegante rifuggendo dal facile effetto, tra dilagare di ombre e bagliori inquietanti a evocare figure oniriche e stregonesche, personaggi spaventosi e misteriosi, incubi e scene macabre.

Massimo Quarta, Enrico Dindo e Pietro de Maria si sono infine uniti per il Trio per violino, violoncello pianoforte in la minore M.67, una delle composizioni “mature” di Ravel, in cui appare limpida quella commistione tra la tradizione e la libertà creativa di cui si diceva poc’anzi. I tre musicisti hanno, con raffinatezza, messo in risalto l’eleganza del costrutto di Ravel attentamente edificato attorno a una linea melodica ben definita. E hanno raggiunto l’optimum nel conciliare le singole esigenze delle diverse voci degli strumenti con l’assieme, risultato splendidamente bilanciato. È così emersa una gioiosità preziosa e mai sfacciata, in quelle che sono sostanzialmente danze attinte alla tradizione popolare: dal pianissimo di un ballo basco, alla briosità di uno scherzo musicale malese, dalla calma pensosa di una passacaglia, alla vivace allegria dell’ultimo movimento Animé, dai colori festosi. Tripudio di applausi sfociati nel bis che, accantonato Ravel, è stato dedicato al secondo movimento del Trio n.2 di Šostakóvič.
Tra le date passate della tournée che sta interessando questo concerto, le Sale Apollinee de La Fenice di Venezia, il Comunale di Vicenza e il Sannazaro di Napoli; tra le future segnaliamo l’11 aprile al Teatro Regio di Parma e il 12 aprile al Teatro della Pergola a Firenze.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto a Mantova, Sala delle Capriate – Tempo d’Orchestra, il 23 febbraio 2025
Foto: MiLùMediA for DeArtes
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