Di Olivier Horn. Torino, Teatro Regio: nuovo allestimento di Leo Muscato, Nicola Luisotti sul podio, in scena grandi interpreti per uno dei titoli più potenti di Verdi. Il tragico destino del giullare più famoso nella storia dell’opera.
Dalla sera della sua rappresentazione “generale”, registra il tutto esaurito la nuova produzione di Rigoletto al Teatro Regio di Torino, in scena fino all’11 marzo 2025. Niente può meglio confermare l’innegabile fervore per una delle opere più amate di Verdi.
Il nuovo allestimentoèdi Leo Muscato, rinomato regista teatrale e operistico. Alla testa dell’Orchestra del Regio, il maestro Nicola Luisotti, esperto riconosciuto a livello internazionale del repertorio verdiano.

All’origine di Rigoletto, scritto per La Fenice di Venezia, c’è il dramma di Victor Hugo Le Roi s’amuse (Il re si diverte), di cui i personaggi principali sono il re del 500’ Francesco I e il suo giullare Triboulet. Per Verdi era «la storia più grande e forse il dramma più bello dei tempi moderni. Una creazione degna di Shakespeare!». Nel 1851 realizzò il desiderio di tradurlo in musica con un’opera potente e senza tempo. Per contrastare la censura austriaca che ancora occupava il Nord Italia, Verdi e il librettista Piave trasposero l’azione a Mantova in un tempo attinente genericamente al Rinascimento ma storicamente indefinito. Il re di Francia assume le vesti del duca e Triboulet diventa Rigoletto. L’opera composta da Verdi racconta la storia di un giullare deforme la cui cieca sete di vendetta lo porterà a perdere il suo tesoro, l’adorata figlia Gilda. Motore essenziale del dramma sarà la maledizione che grava su Rigoletto, legata alla sua disgrazia fisica e a quella lanciatagli da Monterone, un cortigiano e padre offeso dal duca e dal suo giullare, presagendo un terribile destino riservato a Rigoletto, che così sarà doppiamente segnato dalla sorte.
Il regista Leo Muscato, già autore di una regia di Rigoletto dieci anni fa al Teatro all’Opera di Roma, propone un’interpretazione del capolavoro verdiano ambientata in una scenografia timbrata «Belle Epoque» e rifocalizzata «sull’essenza archetipica e dolente di Rigoletto: la sua doppia identità, la tensione tra sacro e profano e il mondo di specchi in cui si muove riflettono una società in disfacimento, ancora incredibilmente attuale.»
Superando il concetto della vita sfrenata di una borghesia trionfante della cui disgregazione appaiono i segni, deriva l’idea geniale della scenografia di Federica Parolini, con i costumi senza tempo di Silvia Aymonino, e sotto le luci dai toni freddi e bluastri di Alessandro Verazzi, cioè i fedeli collaboratori di Leo Muscato: un set unico posto al centro del palcoscenico, una piattaforma girevole fatta da pannelli scuri con angoli acuti e ricoperti da specchi deformanti, che falsano studiatamente la realtà non solo dei protagonisti ma del mondo circostante, riflettendo un’immagine più sfocata dei personaggi principali, ad eccezione di Gilda, la figlia di Rigoletto, essere di passione, generosità e innocenza.

Scena dopo scena, le sezioni del set si distorcono e si ricompongono per mostrarci ciò che accade simultaneamente fuori e dentro, come un simbolo della doppia identità rivelata dal regista; facendo scoprire l’azione che si svolge all’interno attraverso aperture delle porte, prima che il set scivoli e giri su se stesso per scoprire gli interni successivi del palazzo ducale, della casa di Rigoletto o dell’osteria del sicario Sparafucile.
In questa scenografia quasi concettuale, centrata sull’essenza del dramma, i personaggi sono ridotti allo stato di burattini malformati e manipolati, all’immagine di una società corrotta che si nutre delle disgrazie altrui, come è l’handicap fisico di Rigoletto, che si ritrova solo contro tutti.
Rigoletto non ha un nome proprio, solo un soprannome, una maschera, insomma, sotto la quale si traveste, di fronte ai cortigiani che giurano la sua rovina, o al Duca che ne ha fatto il suo giocattolo vivente. Chi è veramente Rigoletto? Sotto il suo formidabile potere di molestia verbale, si nasconde un uomo solo e ferito dalla sua deformità; ma soprattutto, un cuore colmo di amore paterno per sua figlia che egli protegge gelosamente dai pericoli del mondo esterno.
Questa intensa storia di passione, tradimento, amore filiale e vendetta è espressa mirabilmente dall’Orchestra del Regio, diretta con eleganza e una precisione sicurissima dal maestro Nicola Luisotti. Accompagna i cantanti con la massima cura, sa far risplendere i contrasti e tutti i colori della partitura, dallo scatenarsi delle passioni alla poesia più soave nell’aria di Gilda “Caro nome”, delicatamente introdotta dall’assolo di oboe. Sotto la sua bacchetta, l’Orchestra e il Coro del Regio (alla cui guida è il maestro Ulisse Trabacchin) ci regalano una performance di altissimo livello.

La distribuzione dei ruoli in questa nuova produzione è ottima. All’interno spicca Giuliana Gianfaldoni, che interpreta una bellissima Gilda, gentile e profonda, soave e determinata, disposta a sacrificarsi per salvare l’uomo di cui è appassionatamente innamorata, nonostante la sua infedeltà, ma anche per sfuggire a questo mondo corrotto dove la sua innocenza non trova posto. Fin dalla sua prima apparizione, nel duetto col padre Rigoletto, il timbro del soprano puro e legato si leva vibrante di sensibilità e candore, all’altezza del suo personaggio. Una volta sola, quando intona “Caro nome”, il suo canto raggiunge altezze quasi celestiali. Sopraffatto da tale fascino il pubblico del Teatro Regio non si è sbagliato, acclamandola a lungo. C’è pura poesia nella sua interpretazione, senza cali di tensione fino alla fine dell’opera. Rimaniamo sospesi e paralizzati dall’emozione quando esala l’ultimo respiro tra le braccia di un disperato Rigoletto.

George Petean incarna un Rigoletto potente e tormentato, dalla presenza oscura, ossessionato dalla vendetta che alla fine sarà la causa involontaria della morte della figlia adorata, suo tesoro e unica consolazione. Il baritono rumeno, avvezzo al ruolo che interpreta su importanti palcoscenici d’opera, conferisce la necessaria complessità drammatica al personaggio e una solida presenza vocale. Più di ogni altra cosa, il suo canto dimostra i suoi tormenti interiori, che attraverso la performance sul palco traduce con forza, come nel toccante monologo del primo atto, quando sembra terrorizzato dal sinistro presagio che lo perseguiterà per tutta l’opera: “Quel vecchio maledivami… O uomini! O natura!… Vil scellerato mi faceste voi!… O rabbia! Esser deforme, esser buffone… Non dover, non poter altro che ridere !ʺ

Piero Pretti è un Duca di Mantova del tutto credibile, per la sua figura elegante. La voce sale al registro acuto con facilità, denotando controllo e sicurezza, anche se a volte ci saremmo aspettati maggiore espressività. È vero che la missione del tenore è difficile, perché il ruolo scritto dal librettista Piave risulta volutamente un po’ caricaturale e superficiale: non esisterebbe davvero senza le meravigliose arie che Verdi ha composto per lui. Ma il tenore risolve bene il personaggio e riesce a trasmettere una bella emozione quando intona l’attesissima “La donna è mobile”, la vera hit di Rigoletto (assieme a Vendetta, tremenda vendetta…).
Martina Belli impone la sua bellezza sensuale e fatale nelle vesti di Maddalena, tanto quanto l’espressività della sua interpretazione. Goderdzi Janelidze è un basso davvero adeguato allo spietato Sparafucile, splendidamente spaventoso quando scende nel registro grave.
Il resto del cast è all’unisono di questa ambiziosa produzione e dà il meglio di sé nei ruoli secondari: Siphokazi Molteno (Giovanna), Emanuele Cordaro (Monterone), Janusz Nosek (Marullo), Daniel Umbelino (Matteo Borsa), Tyler Zimmerman (Il conte di Ceprano), Albina Tonkikh (La contessa di Ceprano), Chiara Maria Fiorani (Il paggio della duchessa), Mattia Comandone e Alessandro Agostinacchio (Un usciere di corte). Molteno, Nosek, Umbelino, Zimmerman e Tonkikh sono artisti del Regio Ensemble. La nuova produzione si avvale delle luci di Alessandro Verazzi, Alessandra De Angelis è assistente alla regia, Chiara Previato assistente alle scene e Rossana Gea Cavallo assistente ai costumi.
Questo bellissimo spettacolo ha deliziato il pubblico del Regio, che non ha esitato ad applaudire dopo ogni pagina famosa e a dimostrare il proprio entusiasmo dando un vibrante benvenuto ai cantanti, all’orchestra e al coro al momento del saluto finale.
Ben dieci le repliche: l’ultima l’11 marzo.
Recensione di Olivier Horn
Visto al Teatro Regio di Torino il 26 febbraio 2025
Foto Mattia Gaido. Daniele Ratti © Teatro Regio Torino
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