Di Barbara Baroni. Mantova. Eterotopie: Mi-Sa Yang violino, Nicola Bulfone clarinetto, Andrea Rucli pianoforte nell’excursus tra Bartók, Busoni e Adayevskaya.
Uno scavo interessante e cólto con affreschi musicali di ampio respiro e suggestione nel mondo variegato della etnomusicologia, parte della musicologia, e in senso ampio anche dell’etnologia, che si confronta con la tradizione orale di tutto il mondo, con brani intensi, evocativi e innovativi nel mescolarsi alla musica classica e in particolare nelle gemme musicali bartokiane. Nasce dalla musicologia comparata, perché seguiva tradizioni occidentali ed esotiche e cosmopolite analizzando le differenze e il rapporto con il testo eventuale, oltre alle scale e caratteristiche di un canto (la maggior parte dei temi sono per voce).
Oggi viene così proposta la “Piccola enciclopedia di etnomusicologia” con l’ottima guida all’ascolto di Stefano Patuzzi, in particolare dedicata a Béla Bartók (1881 – 1945): «tra i primi appassionati di etnomusicologia, unito a Zoltan Kodály». Abbiamo ascoltato nell’ambientazione di pregio della Sala Isabella D’Este, l’interessante gruppo con Mi-Sa Yang violino, Nicola Bulfone clarinetto, Andrea Rucli pianoforte nell’ambito della rassegna MantovaMusica – Eterotopie.

Si apriva con Ferruccio Busoni (1866-1924) Suite op. 10 (1878) per clarinetto e pianoforte: inizio (Impromptu) reso inquieto ma anche disteso il clarinetto, poi con tessuto più complesso; in rilievo il passo lento cadenzato e sofferto con melopea del clarinetto e accordi del piano, eseguito con dolcezza espressiva (Barcarola, imitativa delle onde); poi Elegia stupenda ampia calma e toccante poi più densa in crescendo ritmato; Danza campestre con tempo scorrevole e infine la brillante Serenata. Nel complesso gli artisti hanno fatto emergere suggestivi effetti eco. Evidenziata una perorazione popolaresca col clarinetto che scrive col suo colore incisivo e duttile, magico anche nell’orchestra.
Busoni è considerato creatore del “nuovo classicismo”, con la ricerca di uno stile moderno che guardi anche alla tradizione oltre all’innovazione, ricercando ancora risposte nella musica tonale. Busoni si ispirò a fonti non europee e anche a melodie degli indiani del Nord America, che lo influenzarono in Indian Fantasy per piano and orchestra (1913). Gli studi sulle musiche dei nativi furono pazientemente raccolte dalla etnomusicologa Natalie Curtis Burlin. Busoni fu un virtuoso della tastiera e si ispirò spesso e compì trascrizioni da J.S. Bach ed amava il clarinetto, strumento suonato da suo padre.
Seguivano le Danze rumene per violino e pianoforte di Bartók (1915). Ognuna delle danze indica il luogo di provenienza, un titolo caratteristico e l’uso. Vi sono la Danza col bastone, energico e festoso, caratteristica che evidenza il violino, con dissonanze; Danza della fascia Allegro staccato; Danza Sul posto Andante originale (a cui si aggiungono Danza del corno Andante, Polka rumena Allegro, Danza veloce Allegro). Da movimenti coreutici di varie genti campestri nasce l’importanza del gesto, con plasticità ritmica e melodie con colori splendidi: i musicisti infatti hanno offerto una gamma di suoni evocativi del mondo magiaro e rumeno, con un sapore naturalistico e una notevole intensità espressiva. Vi erano scale modali conservate dalla tradizione orale che possono dare nuova linfa creativa al compositore.
Seguivano i Contrasti per violino, clarinetto e pianoforte. I tempi che formano i Contrasti (1938) pagine incantevoli sono Verhunkos Moderato ben ritmato (letterario “danza di reclutamento”), meraviglioso intreccio sonoro (anche piano-campana). Poi Pihenö (riposo lento meditativo) dissonante, a momenti esotico e interpretato in modo introspettivo e poi tessuto a fasce sonore, con sonorità vuote e trasparenti, con trilli del piano e clarinetto e vibrato.
Infine Sebes Allegro vivace (rapido e molto variato). Momenti affascinanti soprattutto con la scrittura a fasce. Un movimento moderato ma ritmico, in mezzo un lento momento di riflessione e poi uno allegro vivace, i movimenti mossi ispirati alla csardas (danza ungherese). Melodia e armonia sono legate al tritono (diabolus musicae) e Bartók conoscitore degli archi usa bicordi, pizzicato e arco insieme, armonici, glissez e soprattutto in questo caso la scordatura del violino ed una notevole cadenza, dice Patuzzi «ma con reliquie tonali». Notiamo che le scale modali poi portano Bartók ad usare liberamente i 12 suoni come l’atonalismo.

Nota ancora Patuzzi che si vede «la maturazione dell’artista Bartók nei pezzi siderali eseguiti». Ricorda «l’importanza dell’evoluzione e la svolta della musica dal 1850 al 1940». Si sofferma in particolare «su Wagner come anticipatore dell’atonalità e Schönberg con la dodecafonia». Nota come «Vienna e Parigi siano i due poli culturali l’uno verso l’avanguardia, l’altra verso l’antico e Rinascimento».
Si proseguiva con Ella Adayevskaya (1846-1926) compositrice tardoromantica con Sonata greca.Ella fece dei concerti da solista con tours in Europa e si fermò a Venezia nel 1882. Nel 1881 compose la Greek Sonata. In Italia, raccolse canzoni popolari nazionali, in particolare quelle della regione della Raetia (ampia provincia romana) con metro quinario. Partecipò al circolo della nobile poetessa detta “Carmen Sylva” a Neuwied e scrisse molti articoli etnomusicologici, fu ispirata dalla Chiesa ortodossa e dalla musica popolare slava e studiò in particolare la musica dell’antica Grecia, spiega Patuzzi «paragonandola alla musica contemporanea a differenza di altri studiosi e si ispirò anche al Friuli».
La Greek sonata è assai virtuosistica, usa l’iterazione e gli arpeggi con molta frequenza e la danza greca. Ella Adayevskaya è una delle poche compositrici donne per clarinetto, sensibili allo strumento evocativo e amato dal romantico C.M. von Weber.
E così gli ascoltatori hanno potuto veramente consultare una piccola enciclopedia, per la ricchezza e rarità del materiale proposto e la creazione di stili musicali compositi; Patuzzi nota il «cataclisma» nell’evolversi dell’arte musicale e precisa «la pantonalità come sviluppo di rilievo». Per finire ricordiamo di George Enescu (1881-1955) da Impressions d’enfance op. 28 Ménétrier (Menestrelli, 1940) per violino solo, eseguito benissimo con bei pizzicati ed effetti e affetti da Mi-SaYang, ricco di folklore rumeno e splendido.
Recensione di Barbara Baroni
Visto a Mantova, Sala Isabella d’Este, 12 aprile 2025
Foto B.B.
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