Di Maria Luisa Abate. Verona: chiacchierata a tu per tu con la studiosa sul suo affascinante lavoro di “investigatrice” musicale.

Ha passato buona parte della sua vita da studiosa a dedicarsi ad Antonio Salieri, musicista nato a Legnago (Verona) nel 1750 e morto nel 1825 a Vienna, dove era Maestro di Cappella alla Corte imperiale asburgica. Ha stilato il catalogo tematico delle sue composizioni. Il Teatro Filarmonico di Verona in gennaio 2025 ha messo in scena in prima assoluta l’edizione critica da lei curata del Falstaff (recensione dello spettacolo vedi qui) e per Pasqua propone, nell’ambito della Stagione Sinfonica, La Passione di Gesù Cristo, sempre su sua edizione critica.

Alla professoressa Elena Biggi Parodi, musicologa, giornalista e critico musicale, abbiamo chiesto di illustraci il suo lavoro, poco conosciuto e che presenta aspetti affascinanti.
Amichevolmente, ai tavolini di un bar nel centro storico di Verona, una notte al termine di un concerto, si è svolta questa lunga conversazione dalla quale traspaiono la dedizione, l’amore e la passione con la quale ha affrontato e continua ad affrontare l’impegno di restituire verità filologica alle composizioni di Salieri.

Professoressa Biggi Parodi, perché oggigiorno si sente il bisogno di fare così tante revisioni critiche o studi filologici di opere o brani sinfonici?
In primo luogo bisogna fare una differenza, grossolana, tra ciò che si intende per revisione a una partitura e quella che invece è l’edizione critica di una partitura. La revisione, che tra l’altro viene regolamentata anche con un diverso diritto del musicologo, è una operazione in qualche modo di interpretazione; si mette del proprio per sciogliere quelli che possono essere dei punti dubbi di una partitura. La revisione viene pagata da un editore in maniera maggiore proprio perché si immagina che un musicologo che la affronta debba aggiungere del suo. Invece il lavoro di edizione critica, che è molto più complicato, stranamente viene retribuito meno perché nell’edizione critica non ci dovrebbe essere questa sovrapposizione di un musicologo. Probabilmente prevale l’idea romantica, idealista, che qualsiasi autore, di un brano letterario o di una composizione teatrale, abbia una “folgorazione” una volta nella vita e scriva un unico documento che riporta le sue idee. In realtà questo non esiste. Qualsiasi autore quando realizza un prodotto artistico, una composizione che contiene una sua creazione artistica, spesse volte lascia molte di quelle che si chiamano “fonti”, che sono documenti, detti tecnicamente “testimoni”, di quelle composizioni. Nel caso delle partiture musicali tutti i compositori hanno effettivamente lasciato più versioni di una stessa composizione.

Come si fa a capire quale sia quella “vera”?
Prima di tutto c’è da capire che spesso questi diversi “testimoni” della stessa opera d’arte sono stati realizzati in tempi diversi della vita dell’autore e spesso hanno anche delle motivazioni precise, contingenti, per una specifica esecuzione, per una specifica rappresentazione.

O a volte per uno specifico cantante, che aveva particolari caratteristiche di voce che venivano “sfruttate”, valorizzate dal compositore…
Esatto: è proprio così.

Quale situazione ha trovato quando ha iniziato ad occuparsi di Salieri?
Nel caso di Salieri non esisteva uno studio che avesse stabilito quali composizioni, quali opere teatrali – perché lui per la maggior parte ha scritto opere teatrali – avesse realizzato nella sua vita. O meglio: dove si trovano le partiture delle sue opere teatrali? Chiunque conosca un’opera lirica sa benissimo che un’opera è fatta di arie. E spesso il compositore reimpiega delle arie di un’opera precedente, in un’opera successiva. Per Salieri mancava un lavoro sistematico della sua produzione che potesse dire per quale opera erano state realizzate queste arie.

Come si fa a stabilire per quale opera furono scritte le arie?
Si deve partire per forza dal libretto, cioè dal testo di un librettista il quale ha scritto le parole che i cantanti avrebbero dovuto cantare in ogni aria di un’opera. Per il Settecento, l’epoca in cui è nato e ha operato Salieri (come Mozart) è molto semplice, perché i libretti venivano stampati proprio per ogni singolo spettacolo.

Non è come nell’Ottocento, dove abbiamo dei libretti che l’editore stampava ed erano quelli. No: per il Settecento fa fede il singolo libretto che veniva stampato per quella rappresentazione. Quindi noi, attraverso esso, sappiamo che cosa fu effettivamente cantato in quell’opera.

Come è nato il suo interesse specifico per Salieri, sul quale poi si è specializzata compiendo studi che sono diventati un punto di riferimento assoluto?
Essenzialmente il mio lavoro su Salieri è nato perché stando a Verona, sposata e residente qua, mi sono trovata molte volte a occuparmi, anche come giornalista, di esecuzioni dove veniva eseguita questa musica.

Non c’era un catalogo tematico, che quindi potesse dire esattamente per quale occasione erano state scritte e dove sono conservate le partiture. Era molto difficile. Ad esempio avevo dei CD da recensire dove si parlava di sinfonie e magari erano dei quartetti d’archi a eseguirle. Come poteva essere una sinfonia per quartetto d’archi?

Trovandomi a un convegno musicologico insieme al segretario generale del Mozarteum di Salisburgo, Rudolph Angermüller, il quale aveva scritto i maggiori lavori su Salieri, lo interpellai dicendo: «professore, abbiamo bisogno di un catalogo tematico». Lui rispose «Lei fare!» (n.d.r. la prof. Biggi Parodi arrota spiritosamente la r) dandomi così il suo aiuto e anche la possibilità dell’accesso a tutto il suo materiale, d’epoca anteriore a oggi che abbiamo tante risorse digitali, tanti repertori teatrali, tante cose cui accedere. Angermüller aveva fatto il lavoro di “dissodare” queste fonti teatrali andando in giro per primo, anche avvalendosi dell’aiuto di altri, e facendo un bellissimo lavoro che ha incominciato a pubblicare, ma in parte no, lo teneva per sé.

[Antonio Salieri ritratto da Joseph Willibrord Mähler. Immagine di pubblico dominio da Wikipedia]

Partendo da questa base, quanto tempo ha richiesto il suo lavoro su Salieri?
Per me è stato un lavoro di dieci anni. Ho voluto che ci fosse sempre lui che sorvegliasse il mio lavoro. E ho voluto che ci fosse anche il direttore del Musikverein, dell’archivio della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna, la direttrice della Biblioteca del Conservatorio di Milano Agostina Zecca Laterza, e il responsabile delle norme di catalogazione italiane dell’Ufficio Ricerca Fondi Musicali di Milano che allora era Massimo Gentili-Tedeschi e che di fatto si è “inventato” come catalogare, di conservare con la rete dei repertori bibliografici internazionali il grande unico patrimonio di fonti italiane. Mi sono stati accanto in questi dieci anni di lavoro anche per aiutarmi tante volte a capire come dovevo operare. Poi avevo un finanziamento della Cassa di Risparmio …. Tutti gli anni dovevo fare una rendicontazione. Piccolo problema: quando ti accingi a fare dei lavori di restauro tu fai un budget pensando di metterci tre anni. Io invece ci ho lavorato dieci anni … ma me ne sono fatta riconoscere solo i tre pattuiti.

Quali, gli scogli di questa operazione di “restauro”?
È come quando tu ti metti a restaurare una villa o un dipinto. A un certo punto trovi degli altri strati di pittura e devi andare a scavare sotto. Alcuni musicologi americani mi hanno detto «Ma Elena, avresti dovuto prima fare delle edizioni critiche di ogni opera». Non c’erano edizioni critiche di ogni opera, perché ogni opera era “tradita” (n.d.r dal verbo latino tradĕre), così si dice nel linguaggio filologico, cioè tramandata da tante fonti diverse, delle quali in primo luogo il lavoro è stato riuscire a capire gli stadi di redazione cronologici, quali erano state le tappe di queste fonti nel tempo.

Ci può fare qualche esempio per capire meglio?
Nel caso de “La Passione di Gesù Cristo” (che non rientra nel catalogo che riguarda solo le composizioni teatrali) io ho fatto questo lavoro nell’arco di tre anni. Mi sono avvalsa dei microfilm pensando che avendo i microfilm dell’autografo e delle altre copie avrei potuto capire cosa fosse successo in tutte le cancellature, nel confronto delle altre quattro copie manoscritte che esistevano della partitura. Invece è stato un grandissimo lavoro per riuscire a stabilire perché fossero stati fatti cambi. Poi, quando sono andata a Vienna e mi sono concessa di stare lì una settimana, aprendo l’autografo mi sono accorta che Salieri, per le modifiche che aveva fatto nel corso del tempo, aveva usato degli inchiostri differenti. Se ci fossi andata subito, se mi fossi permessa di pagare e di stare lì, avrei potuto capire in maniera molto empirica e anche molto semplice che la matita marrone aveva corretto in uno stesso periodo, la matita rossa l’aveva usata in un altro momento, la blu in un altro ancora. Meno male, erano confermate tutte le congetture che avevo fatto confrontando queste cinque partiture diverse, che seguivano delle logiche musicali.

Ha capito perché Salieri ebbe determinati ripensamenti?
Faccio un esempio molto specifico: a un certo punto trovo cancellate tutte le parti degli strumenti gravi e trovo aggiunta una viola e altro. Mi sono chiesta perché. Poi ho capito, spremendomi le meningi, che lui in quelle particolari battute voleva dare un effetto angelico, per cui l’ha rivista e ha alzato tutta la scrittura strumentale verso l’alto. C’era un ragionamento preciso musicale. Attraverso il ragionamento musicale di questi cambi ho fatto delle ipotesi che sono poi state confermate dalla possibilità di (n.d.r. ride) confrontare proprio i colori diversi delle penne che lui aveva usato di volta in volta.

Facendo un passo indietro per comprendere agevolmente questo suo lavoro così complesso, è quindi partita dal libretto per arrivare alla musica?
Certo, il mio è stato un lavoro sulla partitura, il mio era un confronto. Partendo dal libretto sapevo quali arie ci fossero nelle opere. Ne “La Passione di Gesù Cristo” non ci sono stati cambi nel testo dell’azione sacra di Metastasio. In tutte le quattro copie più l’autografo, Salieri ha usato sempre lo stesso testo. Non ci sono arie differenti. Questo accade nelle opere, in cui lui riutilizza arie di altre opere. Era complicato capire per quale opera lui avesse scritto un’aria perché ha scritto oltre quaranta opere. Prima di poter dire, ad esempio: «si, quest’opera l’ha scritta per “L’amore innocente” » io dovevo vedere i libretti e le partiture di tutte le altre.

Quindi si parte sempre e in ogni caso dalle parole per arrivare alle note: ma dei libretti c’è una sola versione? E delle partiture?
Il libretto è la cosa preliminare, è sempre il punto di partenza perché quando un compositore intona delle parole, da dove vengono queste parole? Vengono dal libretto, che nel Settecento veniva effettivamente redatto per quella particolare esecuzione. Io quindi sono partita dal libretto. Poi, quante partiture ha lasciato, con questa intonazione di questo libretto? Nel caso della Passione ce n’erano diverse, almeno cinque. Di più, ma le altre erano codex descripti. Facendo l’albero genealogico delle derivazioni delle varie copie manoscritte, ho potuto scartare quelle che provenivano da una tradizione. È il solito meccanismo della filologia che consente, attraverso il confronto degli errori, di arrivare a quelli che sono stati gli archetipi e a quelle che sono state le derivazioni. Ma questo è un discorso troppo specifico. Diciamo che grosso modo avevo stabilito che le partiture manoscritte da confrontare fossero quattro più una cinque. Su queste quattro c’erano delle correzioni di pugno di Salieri. Quindi io avevo sicurezza che le avesse viste il compositore e che ci fossero degli interventi di sua mano. Ma quale aveva realizzata per prima? Quale conteneva il suo ultimo pensiero? Quale era stato l’originale da cui lui era partito?

Quale?
Questo l’ho potuto decidere facendo un controllo sistematico di tutte le partiture, non solo battuta per battuta, ma ciascuno strumento battuta per battuta, perché magari cambiava solo uno strumento e il resto rimaneva uguale.

Torniamo pertanto al concetto di edizione critica?
Sì. Quindi edizione critica significa confronto tra le fonti per stabilire gli stadi di redazione nel tempo delle correzioni che vengono realizzate sulle differenti fonti, una volta che si è certi che queste fonti siano state tutte viste e corrette dallo stesso autore. Perché, chiaramente, se fossero fonti fatte da qualcun altro non avrebbe senso. Ma io in questo caso ho potuto accertare che per Salieri, e spesso faceva così anche per quanto riguardava l’opera, l’autografo era sempre la fonte su cui lui, come fosse un quaderno di appunti, redigeva i vari cambiamenti che nell’arco del tempo pensava di “infliggere” alle sue partiture.
È per questo che il lavoro di chi fa l’edizione critica non viene pagato. Perché si pensa che siccome il mio studio sia semplicemente studiare cosa volesse veramente l’autore, allora non ci sia un apporto mio. Ma in realtà c’è molto lavoro, perché spesse volte ci si trova in un ginepraio.

Nel caso riguardante “Il mondo alla rovescia”, senza citare nomi, mi chiesero una copia della partitura, però in fondo mancavano le parti dei fiati. Io sapevo dove trovarle, ma lo sapevano anche loro, visto che il mio catalogo che indicava dove sono conservate le fonti era già pubblicato a disposizione di tutti, bastava si dessero la pena di andare a guardarle. Telefonando a Chicago a Philip Gossett, che mi ha sempre sostenuto, lui mi ha sconsigliato di dar loro le parti di fiato provenienti dalle altre partiture perché si sarebbe fatta una insalata mista. Non va bene mettere le varie fonti insieme, prendendo un po’ da una e un po’ dall’altra. E non è pensabile integrare con parti strumentali scritte oggi.

Sarebbe venuto un pasticcio?
Esatto. Musicalmente la dicitura, una volta, era proprio “pasticcio”. Bisogna sapere che alla fine del Settecento Salieri come Mozart o Beethoven cominciarono a scrivere delle sezioni concertanti per gli strumenti, ricche e totalmente autonome all’interno della partitura di un’opera. Sono piene di senso e sono piene di bellezza. Salieri era un fine scrittore e aveva a disposizione i maggiori virtuosi di flauti, di legni, di oboi. Per cui ha scritto delle sezioni concertanti che accompagnavano spesso la solista in arie meravigliose in cui c’era il dialogo col clarinetto, con l’oboe… Dalla metà del Novecento abbiamo applicato alla musica una mentalità scientifica. Grazie a Dio dopo la seconda Guerra mondiale è stato realizzato il RISM.

Cosa è il RISM?
Répertoire International des Sources Musicales: un repertorio mondiale che dice dove sono conservate le fonti, cioè i testimoni, quindi le partiture di ogni composizione di ogni autore al mondo. Non si sgarra.

La musicologia è dunque una scienza esatta?
La musicologia funziona così: tu fai un lavoro di dieci anni e poi i colleghi cercano di smontare il tuo lavoro per vedere se hai fatto un errore. C’è molto confronto, c’è molta attenzione, giustamente. E giustamente si possono denunciare le omissioni, gli sbagli, i fraintendimenti.

[Teatro Filarmonico: Falstaff, ossia le tre burle. Foto Ennevi]

Balzando ai nostri giorni, il suo lavoro, prof. Biggi Parodi, è quindi partito da Salisburgo ed è approdato a Verona, dove in gennaio è andato in scena “Falstaff” di Salieri (recensione dello spettacolo vedi qui) nella nuova edizione di Ricordi e poi per Pasqua viene eseguita “La Passione di Gesù Cristo”. Ce ne può parlare?
La nuova edizione critica di Falstaff, ossia le tre burle, sì, viene pubblicata da Casa Ricordi. Ma bisogna chiedersi: perché Ricordi ha fatto una edizione critica? Perché non c’era nessuna edizione, quella che circolava era canto e pianoforte e non esisteva neanche una trascrizione dell’autografo di Salieri. Non so quali fonti abbia potuto avere questa edizione canto e piano.

Quindi anche se siamo molto fortunati oggi e, dopo il catalogo tematico, molti, non tutti gli autografi di Salieri sono stati messi a disposizione online dalla Biblioteca nazionale di Vienna, è anche vero che purtroppo Salieri ha lasciato tante versioni di questo Falstaff. Per cui: che cosa hanno conosciuto gli ascoltatori all’epoca? Che cosa effettivamente andò in scena?

Ci sono altri casi che pongono interrogativi analoghi?
Ad esempio nel caso de “Les Danaïdes” l’unico autografo esistente è stato fatto da Salieri al termine della propria vita, nessuno l’ha mai ascoltato. Ciò che udirono gli ascoltatori dell’epoca fu una copia stampata. Però io ho la certezza che fu quella che andò in scena, quindi rifare “Les Danaïdes” sull’autografo non avrebbe senso. Non solo, ma esistono delle arie autografe di Salieri che lui scartò. Esistono e non sono disponibili da vedere online sul sito della Biblioteca nazionale. Lui le ha scritte di suo pugno. Ma perché le ha tolte? È una cosa molto carina, nel caso di Falstaff c’è scritto: «Madama Tomeoni non si è sentita di affrontare una seconda scena in lingua tedesca», per cui quest’aria che si chiama “Venire, nichts mancar” giace tra gli autografi di pugno di Salieri, che però decise di non inserirla nella partitura che andò in scena.

All’epoca si confezionava molto sull’interprete che era stato scritturato. E molte cose erano tarate sulle caratteristiche dello specifico cantante. È così?
Sì, su quella voce. Il compositore scriveva molto spesso le arie pensando alla voce che doveva interpretarle. Ma nel caso della Signora Irene Tomeoni, che ormai a Vienna risiedeva da un bel po’ e che vi era arrivata dopo essere stata un’interprete importante di opere serie in Italia, è emblematico che lei, ancora dopo tanti anni di residenza a Vienna, non se la sentisse di cantare molto in tedesco.

Teneva banco la lingua italiana?
I due teatri gestiti direttamente dalla Corte mettevano in scena soprattutto opere italiane. Infatti le opere buffe, la trilogia mozartiana, è tutta in italiano. Questo consentiva allo stesso Pietro Metastasio, che era il poeta imperiale, il poeta cesareo che risiedeva a Vienna dal 1730, di avere tutta una produzione solo in italiano. Erano nella nostra lingua tutti i libretti di Mestastasio, così come tutti i libretti di Apostolo Zeno, venuto prima, anche lui poeta cesareo, poeta dell’imperatore. Questo è molto importante: ancora prima di esserci l’Italia, c’era la lingua italiana delle opere. Era un fenomeno assolutamente internazionale. Quindi, dato che la signora Tomeoni non si sentì di affrontare la seconda scena in tedesco, Salieri la tolse. Bisogna dire che in Falstaff c’era già una prima scena molto buffa di Mrs Ford che si traveste da tedesca e canta la famosa aria del primo atto «Oh…Die Männer kenn ich schon» un po’ in tedesco un po’ in italiano, in una mescolanza linguistica che faceva divertire sicuramente il pubblico di lingua tedesca.

Torniamo all’autografo…
C’è un’altra cosa da dire. Non è così facile vedere l’autografo online. Chi guarda online non sa che l’autografo è pieno di pecette.

Cosa sono le pecette?
Sono delle “belle robe appiccicaticce” (n.d.r. ride) con cui il compositore metteva degli stralci di pentagrammi e che andavano a coprire la redazione precedente con delle modifiche. Per fare una edizione critica bisogna sollevarle e leggere cosa c’è sotto.

Come si fa con i dipinti durante i moderni restauri, in cui vengono alla luce le pennellate precedenti, poi corrette con sovra-ridipinture?
Esattamente.

Quello che non si pensa è che la musica sia anche una cosa materiale. Si è portati a ritenere che la musica sia intangibile, qualcosa di immateriale che arriva direttamente alle orecchie.
Questo è un problema interessante. Certo, nella musica c’è la materialità del documento. Poi devi anche stabilire se la calligrafia è quella di un copista o quella di pugno dell’autore.

Spesso le opere sono giunte a noi stravolte dagli errori fatte dai copisti, è così?
Quello dei copisti è un meccanismo affascinante, a Vienna in quel periodo. Noi abbiamo ricavato una grande mole di lavoro dalla tesi di laurea di Dexter Edge sui copisti di Mozart che, in questo periodo, sono gli stessi di Salieri. Sappiamo molto bene come funzionava il meccanismo dei copisti in un periodo in cui ormai il mercato dell’editoria era bene affermato.

Come mai a Vienna le opere di Mozart e di Salieri circolavano attraverso la copisteria dei teatri imperiali e cioè fatte a mano?
Perché i copisti avevano la possibilità di intervenire in tempo reale e quindi poter modificare e dare subito la realizzazione dell’ultimo pensiero dell’autore. Ecco perché è una cosa straordinaria che Dexter Edge abbia individuato anche le varie mani dei copisti, e, insieme con lui anche l’americana Dorothea Link, dimostrato che l’operazione era così: il compositore, come Mozart o Salieri, prima scriveva l’autografo, poi lo dava da realizzare in bella calligrafia ai copisti dei teatri imperiali. Queste copie fatte proprio per l’esecuzione di un’orchestra imperiale, oggi riusciamo a identificarle perché portavano la sigla KT, cioè del Kärntnertortheater, tradotto in italiano il Teatro di Porta Carinzia. Artaria, che pure esisteva, altre importanti case editrici che erano attive a Vienna, dovevano ricevere l’autografo molte settimane prima per poterlo stampare. Quindi non erano così tempestive nei cambiamenti come era ancora il mercato dell’editoria, che era sovvenzionata dagli stessi teatri imperiali.

Torniamo al suo lavoro su Salieri: che estensioni ci sono o ci saranno?
È una cosa molto onorifica e molto di responsabilità. Siccome i duecento anni di Salieri cadono il 7 di maggio 2025, il Répertoire international des sources musicales, che dà le informazioni su tutta la musica scritta nel mondo, mi ha chiesto di scrivere qualche cartella su Salieri. Le stanno traducendo in tedesco e in inglese. È una cosa molto molto bella, ma è ancor più bello che la gente sappia cos’è il RISM, che come dicevamo prima è nato dopo la seconda Guerra mondiale da una necessità, dall’aver capito che bisognava fare uno sforzo concorde con il contributo di tutte le nazioni, per dare le informazioni su cosa contengano gli archivi e le biblioteche riguardo la musica conservata in tutto il mondo. È una cosa magnifica: chi vuol sapere dove è Bach, dove sono le fonti di Beethoven o di Rachmaninov, di qualsiasi compositore, va nel sito del RISM e vede dove sono conservati tutti i documenti testimoni della loro musica. È una impresa ideale che viene continuamente incrementata.

Salieri è stato proposto quest’anno da Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico. Prima ci ha parlato di Falstaff. Cosa ci dice de “La Passione” oratorio in due parti per soli, coro e orchestra?
Per Pasqua eseguiranno “La Passione di Gesù Cristo”. La partitura parte dall’azione sacra di Metastasio, dove c’è la meravigliosa aria di Giovanni. L’ha intonata nel 1776-77 e l’ha eseguita per i concerti meravigliosi cui partecipava tutto il mondo musicale viennese. In particolare per il concerto annuale della Società di sostentamento delle vedove e degli orfani dei musicisti.

C’è da sapere che Salieri era cresciuto in casa di Florian Leopold Gassmann a Vienna perché vi fu portato giovanissimo da lui che come direttore dell’Opera italiana a Vienna andava a Venezia a rifornirsi di cantanti e musicisti. A Venezia conobbe questo giovinetto molto dotato musicalmente che era madre lingua italiana e se lo portò in casa, in una Vienna che stava assistendo alla grande riforma dell’opera seria sui libretti in italiano di Ranieri de’ Calzabigi con la musica di Christoph Willibald Gluck. Ed è proprio nella Vienna della metà del Settecento, 1762, dove Ranieri de’ Calzabigi e Gluck, il librettista e il musicista, si resero conto che l’opera in Italia, in mano al virtuosismo, era diventata tropo generica espressivamente. Da subito Salieri grazie al suo maestro Gassmann ebbe contatti personali con Calzabigi, Gluck e Pietro Metastasio, che lo educarono alla versificazione italiana e alle nuove concezioni sull’opera di Calzabigi e Gluck, fra cui l’eliminazione del virtuosismo dei cantanti.

Cosa aveva di male il virtuosismo?
Il virtuosismo è bellissimo ma non dal punto di vista dell’espressività. Nel virtuosismo non si capisce se uno sia felice o triste perché c’è uno sfoggio tecnico che rende difficile leggere il segno emotivo. L’opera italiana era andata nella direzione di questa magnifica tecnica dei cantanti, c’era stata anche la meraviglia di Händel. Ma Gluck voleva riportare la musica capace di esprimere la drammaticità. E quindi la prima cosa che fece fu di cancellare il virtuosismo. Salieri lo rimise! Salieri, che conobbe Gluck, nell’intonare e nella sua produzione fece rientrare il virtuosismo che la riforma di Gluck aveva cancellato, ma a scopo drammatico, solo quando ne aveva bisogno per esprimere particolari stati d’animo. In particolare nel caso che un soggetto fosse agitato da una emozione forte, da una confusione, dal non saper più che partito prendere. E infatti moltissime volte nelle sue opere teatrali assegnava il virtuosismo ai cantanti di estrazione nobile, ai protagonisti, non ai personaggi buffi. Stiamo parlando di un’epoca che sta andando verso Rossini. E Rossini le colorature le scrive tutte.

Un’altra sua edizione critica, dunque?
Questa edizione critica della Passione è stata realizzata da me e pubblicata da Suvini Zerboni per l’inaugurazione del teatro di Legnago (n.d.r, dove Salieri nacque) nel 2000. Ma l’edizione che fa ora il Filarmonico si avvale di un recente ritrovamento. Infatti la Hofkapelle, cioè la cappella della musica sacra dell’Imperatore, che aveva un fondo enorme, è diventata di proprietà della biblioteca nazionale di Vienna e solo da poco tempo ha messo a disposizione, per chi si reca alla Nationalbibliothek, alcune di queste partiture. Tra le quali questo coro che ho riconosciuto e ho potuto trascrivere, una versione diversa, fatta da Salieri successivamente, della prima parte dell’oratorio, che è costituito da due parti. Questa versione diversa, sono poche battute, la sentiamo per la prima volta in tempi moderni. Secondo me è molto più bella, molto più teatrale, molto più drammatica.

Oltre Verona cosa ci aspettiamo?
Questa riscoperta della produzione di Salieri non ha finora interessato i grandi teatri, che temono di realizzare una fonte che potrebbe non essere scientificamente inoppugnabile. Ora invece, con una edizione critica pubblicata da una conosciuta e stimata casa editrice, si può essere sicuri che quello che si mette in scena ha un avallo di tipo scientifico. Una partitura ben fatta è la premessa indispensabile per consentire di mettere in circolazione di questa musica, come fino adesso non era stato possibile realizzarla…

Tirando le somme, come è l’ascolto di Salieri oggi?
Noi oggi ascoltiamo Salieri e non ci rendiamo conto che ogni tradizione interpretativa, ogni musicista che oggi interpreta una partitura, si pone il problema di comprenderla e quindi di valorizzare, attraverso la sua comprensione, la musica di ogni frase, di interpretarla, di far risaltare le parti strumentali al suo interno. E quindi riempire di senso ogni elemento che il compositore ha scritto per una voce e una sezione orchestrale. In assenza di una tradizione interpretativa, con un direttore d’orchestra che dirige per la prima volta una partitura, che non ha fatto tutto questo lavoro di scavo, è un terreno vergine. È come avere un bella donna, poi cominci ad agghindarle i capelli, poi gli occhi, poi le labbra, poi la vesti… in scena viene fuori una cosa diversa. Quindi diamo a Salieri la possibilità di circolare e di essere compreso. Per questo le edizioni critiche, che vanno facendo tanti studiosi come me, tengono conto del fatto che queste partiture redatte in tempi moderni devono servire non solo agli studiosi ma anche ai musicisti.

E i musicisti debbono avere qualcosa che vada sui leggii e che possano suonare. Prima di tutto il modo di scrivere la musica nel Settecento va tradotto per le moderne orchestre perché non era quello di oggi. Per esempio, dal punto di vista della disposizione nel pentagramma in una pagina, oggi abbiamo delle regole ferree dell’ordine di disposizione degli strumenti. Nel Settecento era tutto diverso, a cominciare delle chiavi antiche in cui erano scritti gli strumenti.

Mi racconta quali sono gli obiettivi per le edizioni di Salieri oggi?
Come si è detto, che le nuove edizioni siano scritte perché i musicisti di oggi possano suonarle così come erano state pensate dal compositore. Poi che i buoni musicisti le affrontino per costruire una tradizione interpretativa che metta a fuoco le particolarità e i valori che contengono, e per finire, cosa che non è scontata, porre attenzione a portare alla luce le composizioni esteticamente più significative, cosa molto importante da sperare che venga realizzata, separando i contributi più originali dalle composizioni d’occasione.

Intervista di Maria Luisa Abate
Verona 4 aprile 2025
Immagini prive di copyright

Falstaff (c) Foto Ennevi

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