Di Vincent Cipriani. Parigi, Théâtre du Châtelet. Richiami alla Commedia dell’Arte nella regia. Cast di prim’ordine.

Nell’ambito del Festival parigino del Palazzetto Bru Zane (centro per la musica romantica francese a Venezia) si rende omaggio a Georges Bizet, in occasione del 150° anniversario della sua morte. Il festival si svolge in alcune delle più grandi e prestigiose sale parigine, tra cui il Théâtre du Châtelet, la Philharmonie, la Seine Musicale e l’Opéra-Comique, solo per citarne alcune.

In apertura del festival, il dittico L’Arlésienne e Le Docteur Miracle viene rappresentato al Théâtre du Châtelet dal 24 maggio al 3 giugno 2025. Le Docteur Miracle è un’opera giovanile, composta da Bizet all’età di diciannove anni, con la quale vinse il primo premio in un concorso di operette indetto da Jacques Offenbach. Il racconto musicale L’Arlésienne, composto quindici anni dopo, è invece un’opera matura, più cupa e malinconica. Si assiste quindi ad un confronto tra due opere con soggetti, stati d’animo e personaggi molto diversi, ma accomunati dalla stessa espressività musicale di Bizet, e da un unico regista, scenografo e costumista, Pierre Lebon.

[L’Arlésienne © Thomas Amouroux]

La serata inizia con L’Arlésienne, in un adattamento sotto forma di racconto musicale interpretato da un narratore (Eddie Chignara). Frederi, un giovane che vive nei pressi di Arles, in Provenza, si innamora perdutamente di una giovane arlesiana (da cui il titolo del racconto). Sta per sposarla quando un certo Mitifio si presenta e annuncia di essere il suo amante, rivelando che lei è infedele a Frederi. Dopo molti ripensamenti, Frederi, incapace di rinunciare all’amore per l’Arlésienne, si getta dalla finestra.

Nell’allestimento di Pierre Lebon, quando si apre il sipario e l’orchestra suona le prime battute della famosa ouverture, il narratore tira un curioso mulino a ruote, alto tre o quattro metri, sorta di macchina infernale fatta di assi di legno inchiodati grossolanamente, le cui ali girano e azionano una mola. Questa sorprendente struttura su ruote presenta anche una tela dipinta con diverse immagini che scorre al centro del mulino, attivata da una manovella, illustrando e accompagnando l’azione drammatica.

Il narratore racconta passo dopo passo la tragica storia d’amore di Frederi, interpretando a turno ciascuno dei personaggi: è infatti l’unico a parlare, ad eccezione di due o tre battute pronunciate da l’Innoncente (interpretato dallo stesso Pierre Lebon), il fratello minore di Frederi. Gli altri personaggi sono interpretati da due ballerini (Aurélien Bednarek e Iris Florentiny), che rappresentano le azioni raccontate dal narratore. Infine, il coro è composto da quattro cantanti (Dima Bawab, Héloïse Mas, Marc Mauillon e Thomas Dolié). Il fatto che i personaggi siano presenti in scena ma si esprimano solo per bocca del narratore, senza mai dialogare direttamente, è molto interessante dal punto di vista drammaturgico: sottolinea l’incomunicabilità di questi esseri, che convivono senza riuscire a comprendersi.

[L’Arlésienne © Thomas Amouroux]

Una delle scelte sceniche di Pierre Lebon è stata quella di creare non solo un’opera di teatro musicale, ma anche un’opera sul teatro: la teatralità è costantemente presente in tutto lo spettacolo – e fin dall’apertura del sipario, con il curioso carro che evoca immediatamente il carro di Tespi e i palcoscenici dei teatri itineranti. Inoltre, i volti di tutti gli attori, dei ballerini e dei cantanti del coro sono dipinti di bianco; i costumi e le scenografie vengono cambiati in scena; il macchinista che prepara l’effetto finale appare direttamente sul palco; la falsità delle scenografie e degli oggetti di scena è chiaramente affermata, come il “cavallo” cavalcato da Frederi, che in realtà è una bicicletta… Tutto ricorda allo spettatore che non può essere da nessuna parte se non a teatro.

Tutte le scenografie e gli oggetti di scena sono in una tavolozza che va dal nero al bianco e a tutte le tonalità di grigio; gli unici altri colori sono forniti dai quadri che attraversano il centro del mulino e dal fondale, i cui colori si alternano tra nero, bianco e azzurro. Anche i costumi sono tutti in bianco e nero – con un’unica eccezione: il personaggio di Mitifio, l’amante dell’Arlésienne, indossa un abito scarlatto, quasi a mostrare il fascino di Frederi per questa donna irraggiungibile, detentrice di una redenzione che non arriva mai, o forse peggio, che è solo un’illusione – visto che alla sua seconda apparizione Mitifio si strappa l’abito rosso, rivelando un abito completamente nero… come a sottolineare che questa donna, alla fine, è solo un miraggio.

Quello che emerge da L’Arlésienne, quindi, è una visione profondamente commovente della tragica storia di Frederi, raccontata con grande talento da Eddie Chignara, il quale riesce nell’impresa di trasmettere da solo le voci e le emozioni di ciascuno dei personaggi con grande naturalezza.

[Héloïse Mas (Véronique), Thomas Dolie (Le podestat de Padoue), Dima Bawab (Laurette) – Le Docteur Miracle © Thomas Amouroux]

Per quanto riguarda Le Docteur Miracle, si tratta di una commedia leggera e piena di buonumore, intrisa di Commedia dell’Arte: il padre di Laurette si rifiuta di farle sposare Silvio. Silvio si finge un servo di nome Pasquin e il padre di Laurette lo recluta. Il primo compito di Pasquin è quello di preparare il cibo: cucina una frittata, il che porta a una deliziosa ed esilarante “Aria della frittata”. Pasquin annuncia che la frittata era in realtà avvelenata: il padre di Laurette lo caccia di casa e, per sfuggire a morte certa, decide di chiamare un medico, il Dottor Miracle… che non è altro che Silvio, ancora una volta travestito! Alla fine, Silvio annuncia che la frittata non era avvelenata e il suo matrimonio con Laurette è assicurato.

La scenografia ricorda quella de L’Arlésienne per atmosfera e consistenza, anche se al posto del mulino c’è un curioso edificio apparentemente fatto di casse di legno impilate su diversi livelli, che evoca ancora una volta un palco di teatro itinerante. I personaggi si muovono sopra queste casse – e a volte anche al loro interno, dato che diverse botole permettono loro di apparire o scomparire all’interno della scenografia stessa, creando naturalmente alcuni effetti molto comici. L’ambientazione è un po’ più colorata rispetto a L’Arlésienne, con i quattro personaggi che indossano costumi rossi molto vivaci e le luci di Bertrand Killy che esplorano una tavolozza di colori altrettanto vivaci.

[Héloïse Mas (Véronique) – Le Docteur Miracle © Thomas Amouroux]

Sia ne L’Arlésienne che ne Le Docteur Miracle, i musicisti dell’Orchestre de chambre de Paris hanno offerto un’esecuzione molto elegante e raffinata, esprimendo perfettamente i colori scintillanti e vorticosi delle partiture di Bizet. La direzione d’orchestra di Sora Elisabeth Lee è stata precisa e altamente rispondente, garantendo una perfetta corrispondenza con la drammaturgia delle due opere.

Per quanto riguarda i cantanti, la qualità del cast è di prim’ordine: nel ruolo di Laurette, il soprano Dima Dawab è molto convincente, sfoggiando una voce agile e tenera; non possiamo che meravigliarci del virtuosismo e dello straordinario timbro di Héloïse Mas, che interpreta il ruolo di Véronique (la moglie del podestà); il malizioso Silvio è interpretato da Marc Mauillon, la cui voce ha un colore raro e interessante, che sottolinea perfettamente le mutazioni del suo personaggio; quanto a Thomas Dolié, egli dà vita al podestà conferendogli al tempo stesso compostezza e leggerezza, evidenziando tutte le ambiguità comiche di questo personaggio.

Ciò che rende questo cast così attraente è sia la qualità musicale dell’ensemble sia l’eccellente recitazione dei cantanti, che si sono dimostrati degni di veri personaggi della Commedia dell’Arte. È quindi un bel tributo alla carriera e al talento di Bizet quello che rivive sul palcoscenico del Théâtre du Châtelet, con queste due opere che testimoniano l’evoluzione, ma anche la qualità costante, del linguaggio musicale del compositore.

Di Vincent Cipriani
Visto al Théâtre du Châtelet, Parigi, il 24 maggio 2025
Immagine di copertina:
D. Bawab (Laurette), T. Dolié (Le Podestat de Padoue),
H. Mas (Véronique), M. Mauillon (Silvio), P. Lebon (L’assistant)
© T. Amouroux

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FRANÇAIS

[D. Bawab (Laurette), T. Dolié (Le Podestat de Padoue), H. Mas (Véronique), M. Mauillon (Silvio), P. Lebon (L’assistant) © T. Amouroux]

Dans le cadre du Festival présenté à Paris par le Palazzetto Bru Zane (Centre de musique romantique française à Venise), Georges Bizet est mis à l’honneur, en commémoration des 150 ans de sa disparition. Le festival se tient dans les plus grandes et prestigieuses salles de Paris: notamment le Théâtre du Châtelet, la Philharmonie, la Seine Musicale, et l’Opéra-Comique, pour ne citer qu’elles.

En ouverture du festival, le diptyque L’Arlésienne et Le Docteur Miracle est donné au théâtre du Châtelet, du 24 mai au 3 juin. Le Docteur Miracle, c’est une œuvre de jeunesse, que Bizet compose à dix-neuf ans, et avec laquelle il remporte le premier prix à un concours d’opérette lancé par Jacques Offenbach. Quant au conte musical L’Arlésienne, qu’il compose quinze ans plus tard, c’est une œuvre de maturité, plus sombre et mélancolique. On assiste donc à une mise en regard de deux œuvres au sujet, aux ambiances et au caractère très différent, mais réunies par la même expressivité musicale de Bizet, et par un unique metteur en scène, décorateur et costumier, Pierre Lebon.

La soirée commence donc avec L’Arlésienne, dans une adaptation sous forme de conte musical raconté par un récitant (Eddie Chignara). Frederi, un jeune homme vivant près d’Arles, en Provence, tombe éperdument amoureux d’une jeune Arlésienne (d’où le titre du conte). Il s’apprête à l’épouser, lorsqu’un certain Mitifio se présente et annonce être amant de l’Arlésienne, révélant ainsi que celle-ci est infidèle à Frederi. Après maints revirements amoureux et tergiversations, Frederi, qui n’a pas su renoncer à son amour pour l’Arlésienne, se jette par la fenêtre.

Dans la mise en scène de Pierre Lebon, lorsque le rideau s’ouvre et que l’orchestre fait résonner les premières mesures de la célèbre ouverture, le récitant tire un curieux moulin sur roues, haut de trois ou quatre mètres, sorte de machine infernale faite de planches de bois mal clouées, dont les ailes tournent et actionnent une meule. Cette étonnante construction roulante est aussi une boîte à images: une toile peinte donnant à voir différents tableaux défile au milieu du moulin, actionnée par une manivelle, illustrant et accompagnant l’action dramatique.

[L’Arlésienne © Thomas Amouroux]

Le récitant raconte pas à pas l’histoire d’amour tragique de Frederi, incarnant tour à tour chacun des personnages: il est en effet le seul à parler – à l’exception de deux ou trois répliques prononcées par l’Innoncent (interprété par Pierre Lebon lui-même), le petit frère de Frederi. Les autres personnages sont interprétés par deux danseurs (Aurélien Bednarek et Iris Florentiny), qui figurent les actions racontées par le récitant. Enfin, le chœur est composé de quatre chanteurs (Dima Bawab, Héloïse Mas, Marc Mauillon et Thomas Dolié).

Le fait que les personnages soient présents sur scène mais ne s’expriment qu’à travers la bouche du récitant, sans jamais dialoguer directement, est très intéressant dramaturgiquement: cela souligne l’incommunicabilité de ces êtres, qui vivent ensemble sans parvenir à se comprendre.

Parmi les partis pris de la mise en scène, Pierre Lebon a voulu réaliser, non seulement une pièce de théâtre musical, mais aussi une pièce sur le théâtre: la théâtralité se donne constamment à voir tout au long du spectacle – et dès le lever de rideau, avec ce curieux chariot qui évoque immédiatement le chariot de Thespis et les tréteaux des théâtres itinérants. En outre, les visages de tous les acteurs, danseurs et chanteurs du chœur sont peints en blanc; des changements de costumes et de décor ont lieu sur scène; le

machiniste préparant l’effet final apparaît directement sur la scène; la fausseté du décor et des accessoires est clairement revendiquée, comme par exemple le « cheval » monté par Frederi, qui est en fait une bicyclette… Tout rappelle donc au spectateur qu’il ne peut être nulle par d’autre qu’au théâtre.

L’ensemble du décor et des accessoires se situe dans une palette allant du noir au blanc en passant par toutes les tonalités de gris; les seules autres couleurs sont apportées par les tableaux qui défilent au milieu du moulin, ainsi que par la toile de fond de scène, dont les couleurs changent et alternent entre noir, blanc et bleu ciel. Les costumes aussi sont tous en noir et blanc – à une exception notable: le personnage de Mitifio, l’amant de l’Arlésienne, porte un habit rouge écarlate, comme pour montrer la fascination de

Frederi pour cette femme inaccessible, détentrice d’une rédemption qui ne vient jamais, ou pire peut-être, qui n’est qu’une illusion – puisque lors de sa deuxième apparition, Mitifio déchire son costume rouge, dévoilant un habit entièrement noir… comme pour souligner que cette femme, au fond, n’est qu’un mirage.

Ce qui ressort de L’Arlésienne, donc, est une vision profondément touchante de l’histoire tragique de Frederi, racontée avec beaucoup de talent par Eddie Chignara, qui a su accomplir la prouesse de faire entendre à lui seul les voix et émotions de chacun des personnages avec beaucoup de naturel.

[Thomas Dolie (Le podestat de Padoue), Dima Bawab (Laurette), Héloïse Mas (Véronique) – Le Docteur Miracle © Thomas Amouroux]

Quant au Docteur Miracle, il s’agit d’une comédie légère et pleine de bonne humeur, imprégnée de Commedia dell’Arte: le père de Laurette refuse qu’elle épouse Silvio. Celui-ci se fait alors passer pour un domestique nommé Pasquin, et le père de Laurette le recrute. La première mission de Pasquin est de préparer à manger: il cuisine une omelette – ce qui donne lieu à un délicieux et désopilant «Air de l’omelette». Pasquin annonce que l’omelette était en réalité empoisonnée: le père de Laurette le chasse de la maison, et, pour échapper à une mort certaine, il décide de faire appel à un médecin, le Docteur Miracle… qui n’est autre que Silvio, à nouveau déguisé ! Finalement, Silvio annonce que l’omelette n’était pas empoisonnée, et son mariage avec Laurette est assuré.

Le décor ressemble à celui de l’Arlésienne dans l’état d’esprit et les textures, même si à la place du moulin, il y a un curieux édifice semblant fait de caisses de bois empilées sur différents niveaux, ce qui évoque, à nouveau, une scène de tréteaux. Les personnages évoluent au-dessus de ces caisses – et parfois même à l’intérieur, car plusieurs trappes permettent des apparitions ou disparitions des personnages à l’intérieur même du décor, ce qui crée naturellement des effets très comiques. L’ambiance est un peu plus colorée que dans l’Arlésienne, les quatre personnages portant des costumes rouge très vif, et les lumières de Bertrand Killy explorant une palette de couleurs également plus vive.

[L’Arlésienne © Thomas Amouroux]

Dans l’Arlésienne comme dans Le Docteur Miracle, les musiciens de l’Orchestre de chambre de Paris ont produit une interprétation très élégante et raffinée, sachant exprimer à merveille les couleurs chatoyantes et virevoltantes des partitions de Bizet. La direction de Sora Elisabeth Lee est précise et très réactive, ce qui permet un enchaînement parfait avec la dramaturgie des deux pièces.

Du côté des chanteurs, la qualité de la distribution est au rendez-vous: dans le rôle de Laurette, le soprano Dima Dawab est très convaincante, déployant une voix agile et tendre; on ne peut que s’émerveiller de la virtuosité et du timbre extraordinaire d’Héloïse Mas, qui campe le rôle de Véronique (la femme du podestat); l’espiègle Silvio était interprété par Marc Mauillon, dont la voix a une couleur rare et intéressante, qui souligne à la perfection les mutations de son personnage; quant à Thomas Dolié, il donne vie au podestat en lui conférant en même temps contenance et légèreté, mettant en lumière toutes les ambiguïtés comiques de ce personnage. Ce qui séduit dans cette distribution, c’est tout à la fois la qualité musicale de l’ensemble, et l’excellent jeu d’acteur des chanteurs, lesquels ont su se montrer dignes de véritables personnages de Commedia dell’Arte.

C’est donc un très bel hommage à la carrière et au talent de Bizet qui prend vie sur la scène du Théâtre du Châtelet, avec ces deux œuvres témoignant de l’évolution, mais aussi de la constante qualité, du langage musical du compositeur.

Critique de Vincent Cipriani
Théâtre du Châtelet, Paris, 24 mai 2025

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