Di Diego Tripodi. Bologna Festival: pubblico entusiasta per il gran finale con Sir Pappano sul podio della London Symphony Orchestra.

È innegabile che Bologna Festival quest’anno abbia voluto “flexare di brutto”, per dirla in gergo giovanile, con una rassegna Grandi Interpreti partita col botto dei Berliner a guida Muti, proseguita con appuntamenti tutti eccellenti e conclusasi con un gran finale degno di tutto il percorso, ossia il concerto della London Symphony Orchestra diretta da Antonio Pappano, appuntamento attesissimo e che infatti ha ben presto fatto il tutto esaurito.
I fortunati accaparratisi un posto hanno quindi potuto godere di una magnifica serata, lunedì 9 giugno 2025, come di consueto presso il Teatro Auditorium Manzoni.

Il programma presentato al pubblico felsineo certo incoraggiava, qualora ve ne fosse stato ulteriormente bisogno, a non mancare l’appuntamento: si è cominciato con il Till Eulenspiegels lustige Streiche di Strauss, i cui poemi sinfonici sono purtroppo una rarità per l’ascoltatore bolognese, e si è chiuso (se così si può dire per un brano monumentale) con la Symphonie fantastique di Berlioz, composizione sempre entusiasmante e imperdibile; nel mezzo di questo impegnativo menù, schiacciato fra le portate principali, figurava anche il Concerto n°5 KV219 per violino di Mozart, quasi a svolgere il compito di un rinfrescante sorbetto di metà pasto per “rifarsi” la bocca (le orecchie in questo caso) dai più nutriti condimenti sinfonici. La protagonista della piacevole parentesi mozartiana era Lisa Batiashvili, delle cui doti diremo più avanti.

Il quinto poema sinfonico dei dieci scritti da Richard Strauss, è un lavoro di energico entusiasmo giovanile, scritto all’apice del successo, quando l’autore era ritenuto quasi all’unanimità l’astro nascente della musica tedesca: in questa pagina Strauss trasporta in musica le peripezie dell’antico Till Eulenspiegel, sorta di maschera popolare e leggendaria, che mette l’umorismo più crasso e lascivo assieme alle furbizie contadinesche da apologo lafontainiano, tutto sempre sotteso ad una latente carica antisociale.

A contatto con questo ideale soggetto, Pappano ha fatto valere la sua caratteristica spigliatezza, comunicando all’orchestra con gestualità nerboruta e scattante il carattere giullaresco e al contempo (stranamente) eroico della musica, di cui ha giustamente esaltato tutte le sonorità caustiche, la ciclotimia didascalica dei cambi di scrittura, ma anche il continuo e caratteristico fluttuare tematico che attraversa la partitura e tutte le sezioni d’orchestra con straordinario controllo e fantasia; se il risvolto della medaglia potrebbe essere (e aggiungiamoci un “forse”) che l’interpretazione generale risultasse a tratti fin troppo, non diciamo affrettata, ma rocambolesca persino per lo spirito del Till, è pur sempre vero che la LSO è una compagine in ogni caso mirabile, il cui ascolto in concerto risponde perfettamente al nome e alla fama affidati, per noi lontani dal suolo inglese, alle miriadi di registrazioni di culto che hanno reso grande il mito dell’orchestra, d’altronde protagonista sin dall’epoca pionieristica delle prime incisioni di inizio ‘900.

Dopo gli eroici furori straussiani, catapultarsi nella felicità incantata del concerto mozartiano è stato uno scarto notevole, ma meno ingiustificato e traumatico di quanto si presentasse sulla carta. Innanzitutto, l’orchestra, rimodellata nelle sue forze per affrontare una pagina sostanzialmente cameristica, ha potuto mostrarsi, in modo assai interessante, in una veste radicalmente diversa eppure anche nel nuovo assetto straordinariamente capace, in una riduzione, che non è solo legata all’organico, ma soprattutto al ruolo, laddove non è più richiesto il precedente protagonismo, bensì un divertito sostegno, commento, dialogo con il violino della Batiashvili. La violinista georgiana ha eseguito il concerto con eleganza e una compostezza, che dietro l’apparente postura interpretativa tradizionale, recava una lettura sempre espressiva e personale, un controllo tecnico e del suono sempre puntuali, persino qualche concessione più fantasiosa, tanto più piacevole quanto sapientemente tenuta distante dall’eccentricità.

Pappano ha fatto un bellissimo e raffinato lavoro di concertazione con i membri della LSO e il concerto è scivolato via godibilissimo fino all’ultima nota del celebre Rondò dalle incursioni turchesche. Il pubblico, dopo generoso battimano, è riuscito a strappare persino un bis (di Aleksandre Machavariani “Doluri”) trattenendo per un paio di minuti in più la solista sul palco.

Dopo l’intervallo, il concerto è ripreso con il capolavoro di Berlioz, le cui incursioni nel grottesco (a dire il vero, sino al gotico) e la marcia al supplizio (manca invero il clarinetto agonizzante che però troviamo tremebondo sul “battito di denti” del Sabbat finale), sono precorritrici fin troppo esplicite dei loci ritrovati anche nel poema sinfonico straussiano, cui giustamente è stato accostato in questo concerto. Questa pagina è forse davvero una di quelle che senza remora alcuna si possono dire rivoluzionarie: il prorompente, quasi ostinato, forzato carattere nuovo di questa musica, che passa dalla mostruosizzazione di tutti i parametri dell’epoca (ritmo, forma, senso melodico, armonia, orchestrazione) si mostra, a distanza di quasi duecento anni, ancora incredibilmente intatto nella sua provocazione, tant’è che non è affatto un compito semplice confrontarvisi.

Pappano e la London Symphony Orchestra vi si sono tuffati dentro, ancora una volta a capofitto, domando, o meglio, magheggiando tutti i deliri onirici e fantastici con una prova di felice adesione: perfetti i moti trasognati e disordinati nell’apertura delle Rêveries-Passions, perfetto il luccichio volteggiante da salone degli specchi nel valzer di Un Bal; così pure il misterioso duetto di corno inglese ed oboe, disarticolato da un melodizzare sghembo e premonitore che invade tutto il movimento della Scene aux champs; bella la Marche au supplice successiva con il suo curioso quartetto di fagotti e il momento di gloria della fanfara con tanto di spernacchiante serpentone; ma è l’attesissimo Sabbat finale, con il suo coacervo di allucinazioni squallide e infernali che suggellano lo spirito della Fantastique e del pensiero obliquo del suo autore, che naturalmente ha brillato: qui Pappano e l’orchestra sono stati i degni virtuosi di questa pagina di bravura del sinfonismo, che con la sua ferocia e irregolarità sembra azzardare, in anticipo di un secolo, le crudità stravinskiane.

Non ci ha stupito quindi che, trascinato fin qui, l’entusiasmo del pubblico sia scoppiato sull’ultima nota, esattamente come già, con un sonante “bravo!”, era avvenuto a chiusura del Till Eulenspiegel.
Generosi il maestro e l’orchestra, nonostante l’impegno già profuso, hanno poi concesso come bis un ultimo regalo all’uditorio: la Pavane di Gabriel Fauré, per rimanere in Francia.

Grandi Interpreti susciterà ancora qualche emozione, passata l’estate, ritrovando il suo pubblico in ottobre per un’ultima serata d’appendice, ma di sostanza: Kirill Petrenko alla guida dell’Orchestra Sinfonica della Rai. Fino ad allora, l’estate di Bologna Festival si presenta ricca e tanti ancora sono gli appuntamenti del cartellone che è possibile seguire nelle rassegne Pianofortissimo &Talenti (vedi qui) e Classica in Sneakers (vedi qui).

Recensione di Diego Tripodi
Bologna Festival, Teatro Auditorium Manzoni, 9 giugno 2025
Immagini: (c) Giuseppe Lanno – BolognaFestival

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