Di Diego Tripodi. Bologna, ExiTime: sinergia di FontanaMIX Ensemble e Bologna Festival.
Continua l’omaggio a Luciano Berio, nel centenario dalla nascita, condotto da FontanaMIX Ensemble lungo tutta la sua programmazione annuale di ExiTime 2025: ultima occasione è stata giovedì 2 ottobre. Come in un’intersezione di insiemi in un diagramma di Venn, l’appuntamento si è concretizzato come felice sinergia con Bologna Festival, che ne è stato di fatto co-organizzatore inserendolo nella programmazione de Il Nuovo l’Antico l’Altrove, ma anche con MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna, che ha messo a disposizione alcuni spazi. Infine, un tocco internazionale è stato conferito dalla collaborazione con IRCAM – Centre Pompidou, fondamentale per quanto riguarda la seconda parte del programma del concerto di cui subito ci apprestiamo a scrivere.

Il titolo di tutta la serata era “An Experiment with Time”, mutuato dal concept di musica, video e animazione, interamente frutto della creatività poliedrica di Daniele Ghisi, ospite e protagonista della serata, il quale a sua volta ha preso ispirazione dal saggio omonimo di John William Dunne del 1927.
Si tratta di un lavoro ambizioso, multidisciplinare e sinestetico, iperattivo e intellettuale, che non lascia scampo allo spettatore, immergendolo in una complessa sfida attentiva. Sul piano musicale l’elaborazione elettronica – sarebbe più giusto dire informatica – veniva gestita live dallo stesso autore – classe 1984, francese d’adozione, eclettico profilo a cavallo fra indagine scientifica, ricerca tecnologica e sperimentazione musicale – e da Sylvain Cadars, tecnico del suono giunto apposta proprio dall’istituto parigino; essa andava a compendiare o, forse viceversa, si compendiava con l’esecuzione da parte di un ensemble misto formato dai membri del FontanaMIX.

La proiezione, che era fulcro del progetto e inevitabilmente, ma anche volutamente, componente catalizzante, era in sostanza un filmato elaborato in stop motion e tecniche di animazione che, tramite l’espediente narrativo di un diario annuale, solo parzialmente riferibile al soggetto del saggio d’ispirazione, portava avanti una fitta speculazione, a tratti scientifica a tratti psicologica, sul significato del tempo, naturalmente non priva di affascinanti risvolti paradossali (ricordiamo che la natura degli studi di Dunne fu ibrida e non si sottrasse agli influssi psicoanalitici tipici dell’epoca, orientandosi sull’osservazione dell’ipnagogia e del sogno). L’estetica puramente formale delle immagini giocava con richiami a una dimensione casalinga, dove l’oggettistica assume un ruolo caratterizzante, quasi idiomatico, un po’ bricoleur, e con allusioni temporali indefinite, anche se piuttosto orientate all’ambiente edoardiano di Dunne.
L’interazione fra immagine e suono era volutamente studiata per una valorizzazione, quasi un’esaltazione legata ai motivi filosofici che muovono l’opera, della sincronia e della istantaneità.
La parte strumentale risponde difatti perfettamente all’ipercinesi che a volte domina lo schermo e che dunque dilaga anche nella musica, caratterizzata da impronte gestuali innestate su tessuto armonico contratto ma non di rado liberato su ampie smagliature tonali.

Non si può tacere la bravura del FontanaMIX Ensemble nel prestarsi ad un’operazione così complicata per quanto riguarda la richiesta tecnica individuale delle parti e puramente concertativa.
Sia detto per completezza, il brano nasce in realtà con una forma installativa, incentrata sulla “semplice” elettronica, mentre la versione performata anche con ensemble è successiva e non a caso titola An Experiment with Time (reloaded).
La prima parte del concerto era, come si diceva in apertura, dedicata a Berio, che d’altronde, come è stato anche ricordato nella breve introduzione e presentazione del compositore ospite, ha contribuito enormemente sia alla disarticolazione della musica dagli argini monotoni del proprio alveo, aprendolo ad esperienze collaterali e poliedriche, sia all’interrogazione del rapporto col tempo e nello specifico della musica – quindi del musicista – col tempo.
Nel suo caso, spesso l’interrogativo è avvenuto come raffronto creativo, anzi ri-creativo, mai subordinato ma certamente non iconoclastico, con i modelli storici. Il frutto principale e privilegiato ancora oggi della sua produzione sono certamente le Sequenze per strumento solo, di cui quella sera sono state eseguite le celebri Sequenza IX per clarinetto e Sequenza VIII per violino.

Marco Ignoti è stato straordinario nello svolgimento di quel gomitolo lirico che è Sequenza IX, riuscendo a districare tutta la “melodicità” sottile insita nel lungo, apparentemente dispersivo, cammino sonoro fatto di ampi intervalli, rapide contrazioni, teatrali baldanze e ripiegamenti.
Tutto è stato suonato con la massima poesia, come d’altronde dovrebbe sempre essere per questa musica, e con una proprietà di colori e una rapidità di risposta alla varietà della scrittura davvero magnifiche. Ignoti ha creato una dimensione d’ascolto privilegiata, di raccolta concentrazione, che per di più ha trovato una suggestiva contraddizione attraverso le smisurate eco e i riverberi prodotti dallo spazio prestato alla musica: una polifonia fittizia, quanto di più beriano potesse accadere, sapientemente gestita dall’interprete al fine di potenziare la magia.

È toccato poi a Valentino Corvino, altro straordinario musicista, confrontarsi con il capolavoro per violino, che ha fatto rifulgere in un’esecuzione non meno impeccabile di quella precedente.
Ora la polifonia, da fittizia e non voluta, era il perno ricercato da una scrittura in cui gli echi casomai arrivano dalla memoria insita nello strumento. Corvino lo ha sfrenato in una corsa lungo la pista dell’ordinata e al contempo lussureggiante fantasia di Berio, apparendo totalmente immerso al suo interno, persovi solo in senso lato, avendo domato con enorme bravura ogni sfida tecnica ed esaudito ogni domanda espressiva. Sono, ancora una volta, domande quasi sempre sul tempo, sulla distanza tutta relativa fra passato e futuro.
L’ultima parola a riguardo lasciamola allora proprio a Berio: «Mi piace invece leggere o ascoltare la musica che si interroga, ci interroga e ci invita a una costruttiva revisione o, addirittura, a una sospensione del nostro rapporto col passato e a una sua riscoperta sulle tracce di percorsi futuri».
Recensione di Diego Tripodi
Bologna, MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2 ottobre 2025
Foto (c) Dino Russo, BolognaFestival FMIX
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