Hui He è nata a Xi’an, nello Shaanxi – la regione della Repubblica Popolare Cinese famosa per l’Esercito di Terracotta – e vive in Italia da molti anni. È acclamata sui più prestigiosi palcoscenici del mondo: Metropolitan di New York, Staatsoper di Vienna, La Scala di Milano, Deutsche Oper di Berlino, Opéra Bastille di Parigi, Bayerische Staatsoper di Monaco, Gran Teatre de Liceu a Barcellona, Lyric Opera di Chicago e molti altri.
De Artes l’ha incontrata dopo il trionfo a Salisburgo e a pochi giorni dall’inizio dalle recite all’Arena di Verona: Tosca il 23 e 29 e Aida il 31 agosto 2019. Dopo di che, sarà Turandot a Dubai e Shanghai e Madama Butterfly al Metropolitan di New York per dieci recite.
In Arena Hui He ha stabilito un record al femminile, mai raggiunto neanche dalle grandi interpreti del passato, con quindici anni di presenze ininterrotte dal 2005 a oggi.

Signora Hui He, Tosca le ha regalato notorietà mondiale. Un ruolo che ha studiato anche dal punto di vista geografico, a giudicare dal video, divenuto virale, che la riprende mentre canta a Castel Sant’Angelo, in mezzo ai turisti stupiti ed entusiasti. Si parla sempre di riportare la lirica a essere un genere popolare com’era in origine e lei lo ha fatto, in modo intelligente e spiritoso. Un gesto premeditata o spontaneo?
Quel giorno ero a Roma per il film su di me, intitolato “Hui He: un soprano dalla Via della Seta”, le cui riprese sono durate quattro anni. Sono andata per la proiezione (n.d.r. dopo la proiezione in Cina e al Biografilm Festival di Bologna, e la presentazione al Festival del Cinema di Venezia) e, avendo un po’ di tempo libero, ho deciso di andare a Castel Sant’Angelo, dove non tornavo da diverso tempo. Quando sono salita e ho visto la scultura dell’angelo mi sono venute in mente tante, tante scene teatrali, perché fino ad ora ho fatto novantasei o forse novantasette recite di Tosca. Ho debuttato nel 2002 al Regio di Parma, l’ho fatta anche al Teatro alla Scala, all’Arena di Verona tre volte, questa è la quarta, poi al Festival Puccini e in molti altri teatri importanti. Il monumento era pieno di turisti, ho sentito di voler fare una scena non in teatro ma nel vero Castel Sant’Angelo. Allora ho cominciato a cantare. I presenti non so quali sensazioni abbiano avuto, se fossero emozionati, mi hanno applaudito. Per me è stata una gioia portare la gente verso l’opera lirica, sono contenta, ma non pensavo a ciò, in quel momento l’ho fatto per me.

Conosce profondamente questo personaggio, anche se ogni volta è un affrontarlo daccapo, un riscoprire qualcosa di più. E nelle condizioni particolari che presenta l’Arena dove la sua voce “corre” come poche, più di altre. Cosa pensa di poter dare e di ricevere di nuovo da questo ruolo?
Puccini non è mai routine. Ogni volta si scoprono tante cose nuove, perché ci sono l’orchestra, i musicisti, i colleghi, la scenografia, i costumi: sono diversi e mi danno la sensazione ogni sera di trovare delle novità. Puccini non diventa mai noioso perché è pieno di colori. La mia voce è ideale per quest’opera, è giusta per questo repertorio. Soprattutto Tosca, perché riesco a fare questo personaggio importante giostrando su ogni frase, ogni espressività, ogni parola, ogni nota con grande facilità. Quando sono in palcoscenico vivo proprio dentro quel personaggio ed è una cosa magnifica. La bellezza della voce, la bellezza dell’orchestra: soprattutto se il direttore funziona bene c’è questa grande soddisfazione. Cantare in Arena è il massimo, perché è un teatro unico e bellissimo e la mia voce è areniana. Ho ripreso tante volte anche altri titoli, come Aida o Butterfly, ma non mi sono mai annoiata per quel che ho fatto. Ci sono sempre particolari nuovi e interessanti da cercare, da studiare, da imparare.

Ha approfondito Tosca con Raina Kabaivanska. Ha appreso di più dagli insegnanti oppure dai direttori, dai colleghi, dai Maestri che ha avuto in seguito?
Ho iniziato nel 2002 quando la signora Kabaivanska ha dato l’addio alla sua Tosca. Proprio in quella occasione sono arrivata in Italia. Ho fatto un’audizione nel 2001 e subito mi hanno presa al Regio di Parma. Devo ringraziare il direttore artistico Gian Piero Rubiconi che mi ha dato fiducia. Io ero una giovane cantante, avevo 27 anni, ed è stata una fortuna imparare questo personaggio così profondo con la signora Kabaivanska, che è stata una grandissima Tosca. La verità è che durante tutta la mia carriera che dura da ventun anni ho imparato con tanti colleghi, con tanti Maestri, con registi. Ho lavorato con tutti i più grandi registi, come Franco Zeffirelli o Hugo De Ana (n.d.r. che firma Tosca in Arena) e altri nomi illustri. Loro mi hanno sempre insegnato molto. Certo, un’artista non deve smettere mai di studiare, di apprendere dagli altri, è ovvio.

Aida Verona Arena Costumi – Anna Anni

Ha un ricordo particolare di Franco Zeffirelli?
Nel 2003 se ben ricordo, appena iniziai in Italia, mi invitò alla Fondazione Toscanini per sostenere una tournée di Aida, che dovevo fare a Roma al Teatro Argentina. Fu la prima volta che incontrai il Maestro Zeffirelli. Arrivavo dalla Cina e all’ultimo momento mi buttai direttamente in palcoscenico e lui per la prima volta mi sentì. Ricordo che venne dietro le quinte, mi accarezzò e mi chiese: «Ma chi sei? Come sei brava». Dopo, venni a sapere che lui aveva parlato in tanti teatri di un soprano cinese che cantava benissimo. Mi ha molto promosso. La seconda volta ho lavorato con lui al Teatro alla Scala, ancora Aida. Mi ha dato sempre grande coraggio e fiducia in me; mi ha sempre fatto tanti complimenti ed ero molto felice quando lavoravo con lui. Ricordo che mi disse: «Ma hai una memoria pazzesca! Ti ho spiegato e hai fatto subito correttamente». Poi, dopo tanti anni, ho lavorato con Zeffirelli in Arena di Verona, nella sua Aida per tre-quattro volte. Perché dal 2005, ogni anno ho cantato in Arena fino adesso al 2019. Ho fatto diverse produzioni e ruoli: Aida, Tosca, Ballo in maschera, Trovatore, Madama Butterfly, Messa di Requiem eccetera. Per me il Maestro Zeffirelli è stato il più grande regista del nostro tempo perché aveva molto rispetto del libretto, del dramma, della scenografia, dei costumi. L’opera lirica deve essere così. Ha creato degli allestimenti meravigliosi e ha lasciato a questo mondo i migliori spettacoli di quel periodo.

©Stefano Galuzzi – VOGUE 2012 – Giacca (Miharayasuhiro) Gioielli (Sharra Pagano)

Quando si incontra un regista di tale livello, capire un personaggio non si limita all’interpretazione scenica, ma influisce anche sulla vocalità…
Certo, perché quando si sente il personaggio dentro, si riesce a giocare con la voce. Se non riesco a sentire profondamente quel personaggio, quel momento, la voce esce piatta, senza espressività, soprattutto con Puccini. Bisogna vivere nel personaggio ogni momento. Questo è il lavoro che si fa con i grandi registi: loro capiscono anche i problemi dei cantanti e non disturbano mai il canto. Perché l’opera è fatta con il canto! Questo è importante.

Quindici anni continuativi in Arena cosa le hanno portato in termini di crescita professionale? Non sono stati i soli, lei canta in molti teatri importanti, però forse l’Arena ha costituito un caso particolare?
Si, in tutta la mia carriera sono stata in tanti teatri e ogni anno sono all’Arena di Verona. È un grande onore e una grande soddisfazione per un’artista. Sono venuta da un’altra cultura, la direzione è cambiata svariate volte ma mi hanno invitata per quindici anni fino adesso e sono contenta. Sono proprio orgogliosa di quello che ho fatto. Un’artista vuole sempre crescere, vuole sempre imparare. In Arena di Verona ho debuttato nel 2005 con Liù, e ho vinto il Premio Zenatello per il migliore debutto di quell’anno. Mi hanno dato anche il Premio Verona Lirica, il Premio Voci Verdiane (a Busseto) e hanno detto che ero la migliore Aida del 2009. Per me, questo dato è una conferma di quello che ho fatto in palcoscenico. Lo sviluppo dello studio, della fatica, del sacrificio è arrivare a fare la cosa migliore. Ogni giorno un passo avanti. Perché essere artista significa inseguire sempre la perfezione; ogni giorno devo cercare la tecnica migliore, la parola, il significato, attraverso lo studio. Questo, ho sviluppato in Arena di Verona. Qui mi sento a casa perché tutti mi conoscono, tutti sono molto affettuosi con me. Per me significa molto.

Lei viene dalla Cina, un Paese dove la cultura occidentale per un certo periodo non è stata molto divulgata e conosciuta. Ora le hanno dedicato perfino dei francobolli, quindi è considerata un orgoglio nazionale. Sente di avere contribuito a gettare un ponte tra la cultura orientale, che continua a far parte di lei, e quella occidentale, che ha abbracciato con il suo lavoro? Sente di aver contribuito a cambiare i tempi?
Provengo dalla cultura orientale. La mia base di studio della musica è stata in Cina. Poi ho vinto il secondo premio al concorso Operalia di Plácido Domingo nel 2000 e ho cominciato a entrare nel mondo occidentale. Dopo oltre vent’anni di carriera penso di essere veramente una persona fra due culture: quando sono in Europa, il mio sentire, il mio pensiero avviene in modo più occidentale. Però quando torno in Cina automaticamente cambio e il mio cervello funziona subito come orientale. Reputo questa una caratteristica molto interessante. Fra le due culture, tanti aspetti sono simili, e anche fra Cina e Italia. La Cina è un Paese di grande cultura, con cinquemila anni di storia, e l’Italia è una Nazione dal passato importante. Numerosi tratti si somigliano, come la filosofia e la gente. Qui ho trovato tanti amici che mi apprezzano e sono molto affettuosi, e la maggior parte delle persone vuole essere onesta e sincera. C’è qualcosa di diverso, ad esempio il cibo, ma le cose belle sono uguali. Per me adesso ci sono due mondi e vivo comodamente in entrambi.

Diva sulla scena e donna normale nella vita privata, tanto da recarsi alle recite veronesi in bicicletta …
Sono divisa in due modi: uno, Hui He in palcoscenico, l’altro Hui He nella vita. Nella vita vorrei essere una persona normale, non vorrei essere diva perché credo che costituirebbe un problema per gli altri e anche per me stessa. Vorrei essere gentile e amichevole con tutti, come mi viene naturale. Certo, in palcoscenico sono un’artista e devo essere tutti quei personaggi. Ma fuori dal teatro non vorrei dare stress agli altri. Questa è la mia sensazione.

©Rocco Casaluci – Teatro Comunale di Bologna

Prima accennava al suo debutto come Liù. Ora la maturazione artistica e della voce l’ha portata ad affrontare anche il personaggio di Turandot. Lo ha fatto con successo a Bologna, lo farà a Dubai e Shangai. Le piacerebbe farlo in Arena?
Certo, lo spero. Se il prossimo anno sarà possibile debuttare Turandot in Arena sarà una enorme soddisfazione. Ho aspettato tanti anni e ho rifiutato almeno venti volte l’invito, nella mia carriera, prima di affrontare questo ruolo che pure sarei riuscita a cantare anche quando ero più giovane, perché non volevo diventare Turandot subito e essere così identificata. Ho allargato il mio repertorio con tanti Verdi, tanti altri Puccini e ora ho debuttato il ruolo al Teatro Comunale di Bologna. Ho avuto molto successo, tutti critici hanno scritto benissimo di me e sono felicissima. Devo dire la verità, non ho trovato grandi difficoltà, sento questo ruolo molto naturale per la mia voce, l’ho cantato con facilità. È incredibile, non pensavo sarebbe stato così.

Altri titoli che vorrebbe affrontare?
Desidererei tanto Don Carlo, Norma e vari titoli di Verdi che ancora non ho fatto. Adesso sto per debuttare Alzira al Teatro di Liegi: è un’opera belcantista, per cui per me ci vuole grande studio. Con la mia voce vorrei debuttare tanti ruoli nuovi.

Il Trovatore Orange ©Bruno Abadie-Cyril Reveret – Katia Duflot

La particolarità della sua voce è la duttilità nei colori. Lei ama dipingere: c’è una similitudine tra la scelta delle tinte sulla tela e la ricerca coloristica nella sua voce? Quanto c’è di naturale e di spontaneo nella capacità di adattare i colori ai ruoli e quanto frutto di tecnica e studio?
Credo che l’arte si somigli in tanti aspetti. Il mondo pittorico ha la bellezza dentro, gioca con colori diversi. La musica è la stessa cosa. Ogni musicista, ogni cantante, ogni direttore d’orchestra ha una percezione della musica, della voce, differente. Anch’io ho la mia sensazione: ogni nota è diversa e quella sensazione è unica. Con la mia voce ho trovato tante possibilità, posso fare da Mimì fino a Turandot, posso fare Gioconda o Aida. In ogni opera ho usato la voce in modo differente. La mia Butterfly è sicuramente dissimile come voce dalla mia Aida. Ho scoperto che con la voce si gioca molto, dipende da cosa vuole il compositore, da cosa ha scritto nel personaggio e nella musica. Ogni nota, ogni frase consiste nel centrare i colori diversi, come fare un quadro. Nel futuro credo che mi dedicherò alla pittura, non solo per passione.

Sono pochi gli artisti a tradurre in pratica questo concetto come fa lei. Pochi riescono ad adattare la voce ai ruoli come riesce a lei…
Grazie. Quest’anno ho debuttato Mimì al festival Puccini, e ho trovato davvero tante possibilità di fare diversi ruoli con diversi colori della voce. È una cosa bellissima, sono molto felice di questi debutti. Soprattutto, dopo Turandot debuttare Mimì è una sfida, perché Turandot ha un’altra vocalità e dopo questa tornare a fare una voce più sottile, più timbrata, è impegnativo. Sono felice di quello che ho fatto.

©Marco Borrelli

Ha riscosso un enorme successo a Salisburgo, sostituendo all’ultimo minuto l’indisposta Anna Netrebko in Adriana Lecouvreur. Era padrona della parte, però per accettare un simile incarico ci vogliono anche nervi saldi. Quanto ha influito il suo carattere personale nella sua carriera? 
Io sono ariete, quindi capace di affrontare le difficoltà. Durante tutti questi vent’anni di carriera ricordo che nelle situazioni impervie ho fatto sempre bene, perché forse la mia personalità è così. Sono felice di questo debutto a Salisburgo perché un’opera come Adriana Lecouvreur è difficilissima. Dopo quasi quattro mesi (n.d.r. dal debutto al Filarmonico a Verona) non l’avevo più cantata, neanche sentita. Quando mi hanno chiamato, a mezzogiorno, per chiedermi se sarei potuta andare a Salisburgo, ho risposto: sì! Perché dentro di me, vorrei vincere queste sfide. Sono tornata a casa, ho preso il mio spartito e sono andata a ripassare dalla mia pianista, Cristina Orsolato. Qualche parola me la sono dimenticata, perché Adriana è complicata, con grande ritmo e frasi piccole. Non è come un’opera di Verdi che ha l’aria, il duetto, il terzetto. In Adriana ci sono molte situazioni, tantissimo fraseggio. Sono venuti a prendermi con un aereo privato e sono arrivata direttamente in teatro. Ho fatto una prova con il direttore d’orchestra Marco Armiliato e, è incredibile, già dalla seconda volta l’avevo in memoria, come quattro mesi fa. Però per sicurezza ho voluto avere uno spartito davanti, perché non volevo dare problemi ai miei colleghi e alla recita. Ho cantato, poche volte guardando lo sparito, e ho anche recitato come un’attrice, come hanno fatto tutti i miei colleghi: anche se era in forma di concerto dovevamo essere dentro la situazione. Quando il frangente è difficile, faccio sempre bene. Questa è la mia caratteristica.


© Javier del Real

Ha quindi bisogno di uno stimolo per tirare fuori il meglio di sé?
… per tirare fuori la forza e la personalità. Ho questo modo di affrontare le difficoltà.

La sua agenda è molto fitta per i prossimi anni…
Avevo molto lavoro, poi quel film mi ha seguito per quattro anni: è stato un periodo intenso e mi sono stancata molto. In questo ultimo periodo sono più tranquilla, ho più tempo per studiare e riposare, e ho ritrovato la voce ancora meglio di qualche anno fa. Aspetto solo le cose nuove per debuttare: non ho paura di andare avanti.

Verona, 8 agosto 2019
Contributi fotografici:

Javier del Real
Marco Borrelli
Bruno Abadie-Cyril Reveret – Katia Duflot
Rocco Casaluci
Stefano Galuzzi