Festival Verdi al Teatro Regio di Parma: pubblico in delirio ed emozioni speciali nel ‘concerto di compleanno’ del Maestro. Wellber, Buratto, Kunde, Pertusi, Margaine.

Vale la pena di iniziare dalla fine perché nella serata celebrativa del genetliaco verdiano, di qualità superlativa, il culmine dell’emozione si è raggiunto nel momento conclusivo quando, accese le luci in sala, “Va’ pensiero” è stato bissato dal Coro assieme al suo maestro, ai quattro solisti, alla voce del direttore d’orchestra e anche dal pubblico che ha aderito con trasporto al rito collettivo cantando quello che è considerato alla stregua di un secondo inno d’Italia. Un momento toccante che ha unito tutti i presenti in un abbraccio collettivo a Giuseppe Verdi.

Il Maestro nacque a Le Roncole, piccola frazione nel cuore delle campagne di Parma, il 10 ottobre 1813. Lo stesso giorno di ogni anno la ricorrenza viene festeggiata nell’ambito del Festival Verdi al Teatro Regio di Parma. Quest’anno cadeva il 210° anniversario e le celebrazioni si sono protratte per tutta la giornata, coinvolgendo vari luoghi del capoluogo oltre che Busseto e la cittadina che oggi ha assunto il nome di Roncole Verdi (patria anche di Giovannino Guareschi).

La serata di Gala al Regio ha contribuito alla raccolta fondi del progetto “Viva Verdi” promosso dal Ministero della Cultura (vedi notizia DeArtes qui), finalizzato all’acquisizione e valorizzazione della casa-museo a Sant’Agata di Villanova sull’Arda, dove il compositore e sua moglie vissero a partire dal 1851 (chiunque può effettuare una donazione: IBAN IT81E01000032453480 29368004). Le fotografie seppiate scattate al Maestro, sempre abbigliato di tutto punto, durante i soggiorni di relax in questa residenza, assieme all’iconico ritratto di Boldini, sono corse sul ledwall alle spalle del palcoscenico dando così l’impressione che lo stesso Verdi stesse ascoltando il concerto. E siamo certi avrebbe apprezzato.

L’asticella del livello qualitativo era tarata su “eccellenza” e da lì non si è mai mossa. Omer Meir Wellber è salito sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma. Il direttore israeliano, uno dei più quotati dell’odierno panorama internazionale, ha guidato le due formazioni con grande coinvolgimento fisico, oltre che emotivo: i gesti delle braccia erano ampi, il corpo si protendeva in avanti a personalizzare le indicazioni e si raddrizzava scattante per tenere sotto controllo il discorso d’assieme. Un intendere la musica come atto di partecipazione totale. Le dinamiche, la ricerca dei colori e soprattutto degli accenti, sono state convogliate in un programma incentrato su pagine solitamente poco eseguite in sede di concerto. A essere prescelta è stata la produzione matura di Verdi, come Aida, Don Carlo, Otello, con una finestra aperta su Ernani, opera giovanile ma già presentante aspetti che l’autore avrebbe in seguito ulteriormente approfondito.

Sinceramente, non siamo stati capaci di seguire lo spunto politico suggerito dal direttore nelle note pubblicate nel pieghevole di sala e ci siamo più semplicemente abbandonati alla bellezza travolgente della musica, al vivido flusso sonoro di una esecuzione particolarmente ispirata. Ci siamo così facilmente ritrovati nel «programma scuro e oscuro» che Wellber ha indagato con profondità e diretto con slancio, con fervore e intensità, scegliendo contrasti netti e pennellate decise, restituendo tutta la forza di un compositore in linea con l’odierno sentire. Caratteristiche che l’Orchestra si è impegnata a far emergere nelle due overture, da I Vespri Siciliani e da Nabucco, che hanno contrassegnato l’inizio dei due tempi.  

Il primo ad aver scatenato autentiche ovazioni di pubblico, nel corso della serata rivolte indistintamente a tutti i protagonisti, è stato Gregory Kunde con Dio mi potevi scagliar tutti i mali, monologo in cui Otello, rimasto solo, rimugina sul presunto tradimento di Desdemona ed è scosso da un vortice di sentimenti: dal dubbio al sentirsi tradito, offeso, umiliato, passando per la desolazione, l’amarezza, infine travolto in un crescendo di gelosia, rabbia, furore. Stati d’animo che Kunde ha reso con tale carica espressiva da aver scatenato applausi senza fine: è stato infatti il tenore a interromperli bonariamente dicendo al pubblico con un sorriso «ora io vado», e suscitando così ulteriori applausi. Una prova giostrata fra legati da manuale e una gamma infinita di crescendo e di smorzature frutto di perizia tecnica e di ricchezza di armonici.

A spianare la strada all’entusiasmo collettivo, prima del monologo, è stato il duetto sempre da Otello “Già nella notte densa”, che ha visto Kunde assieme alla Desdemona di Elenonora Buratto, anche lei premiata da consensi scroscianti. Il soprano, tornato in seguito in scena per intonare “Tu che le vanità” da Don Carlo, possiede una voce che ammalia, che condensa ogni caratteristica: musicalità, fraseggio, respiro, squillo limpido e sublime bellezza del timbro oltre a doti comunicative e una innata eleganza nella linea stilistica. E non è tutto: messe in voce di squisita morbidezza, filati di pregiata fattura, mezze voci impalpabili e incantatrici.

Scena, aria e cabaletta “Che mai vegg’io infelice… E tuo credevi, infin che un brando vindice…” da Ernani hanno segnato l’ingresso sul palco di Michele Pertusi munito di bastone da passeggio dopo la caduta in scena di qualche giorno prima. Il basso, che qui “gioca in casa” ed è accolto con affetto indicibile ma che non va dimenticato è una star internazionale, ha confezionato l’ennesimo capolavoro di raffinatezza nell’imprimere al canto tutta la dolcezza malinconica di Silva. In questa occasione Pertusi ha sfoderato una voce morbida corsa fluidamente e un’infinita gamma di sfumature. Analogo sfoggio nella cura per i dettagli e nell’oculata scelta coloristica, tarata su toni più oscuri ancorché nobili, per “Ella giammai m’amò” da Don Carlo, contrassegnato dalla linea stilistica aristocratica, esternazione di sentimenti profondi.

Infine il timbro scuro di Clementine Margaine sinonimo di pastosa corposità, di forza e potenza nella voce squillata impetuosa nel duetto tra Amneris e Radamés da Aida “Già i sacerdoti adunansi”. Il mezzosoprano nella forma del recital trova terreno particolarmente congegnale poiché le consente un approccio ragionato, studiato e attentamente curato oltre che tarato sulla sua più che notevole dotazione di mezzi.

Quando si parla di Verdi, si sa, il Coro è elemento primario e protagonistico. Ha meritato un’ampia dose di ovazioni di pubblico il Coro del Teatro Regio di Parma, istruito da Martino Faggiani con meticolosa cura dei dettagli, delle sfumature in partitura, delle intenzioni che le parole sottintendono. Ecco quindi, in un susseguirsi di esteriorizzazioni emozionali tarate di volta in volta ad hoc, “Patria oppressa” da Macbeth, “O signore dal tetto natio” da I Lombardi alla prima Crociata, titolo presente nel Festival di quest’anno, e ancora “Gli arredi festivi” da Nabucco e infine quel “Va pensiero” di cui abbiamo riferito inizialmente e che, prima di diventare inno condiviso con solisti e pubblico, ha costituito il culmine interpretativo della gloriosa compagine vocale del Regio.

Il Gala è stato trasmesso in live streaming su operavision.eu dove resterà disponibile alla visione gratuita fino al 10 aprile 2024.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma – Festival Verdi il 10 ottobre 2023 
Foto Roberto Ricci