«Un pubblico caloroso ed entusiasta quello che ci ha accolto ieri sera al Teatro Sociale di Mantova. Grazie mille a tutti!». Così si legge sulla pagina Facebook de I Solisti di Pavia i quali, capitanati dal loro fondatore Enrico Dindo, hanno tenuto un concerto nel ‘Massimo’ della città lombarda, che per la prima volta in questo autunno ha aperto le sue porte a “Tempo d’Orchestra”, Stagione organizzata da Oficina OCM. L’ottima acustica della storica sala ben ha reso anche in un programma cameristico e la capienza ha permesso di accogliere il pubblico affluito in gran numero. 

Il programma era per uditi fini, come tanti ne annovera questa Stagione che attira ascoltatori anche extra muros per la presenza di artisti ai vertici del panorama internazionale. Enrico Dindo è uno dei più quotati violoncellisti al mondo, così come un posto di prim’ordine in patria e all’estero si sono ritagliati I Solisti di Pavia nel corso della loro ultraventennale attività.

A essere proposta, una selezione ricercata di brani composti tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, quasi tutti di non frequente esecuzione, così come rara è stata la scelta degli autori. Un programma pertanto particolarmente interessante, che ha posto in risalto il suono raffinato del solista e dei Solisti, e un affiatamento tra loro emotivamente coinvolgente.

La serata si è aperta con Max Bruch, compositore tedesco del quale è stata eseguita una riduzione, a firma dello stesso Dindo, di Kol Nidrei per violoncello e archi, desunto da una melodia ebraica, anche se non una vera e propria preghiera. Come da intenzione autorale, il violoncello ha imitato la voce del cantore di una sinagoga ed Enrico Dindo ha ricreato un’atmosfera in bilico tra il misticismo e un intenso slancio verso l’alto, valorizzando la freschezza dello stile compositivo tardo romantico.  

Si è poi passati al Concertino per violoncello e archi op.43 bis del sovietico di origine polacca Mieczysław Weinberg. Nel Concertino traspare la sofferenza provata in quegli anni da Weinberg verso il regime sovietico che gli diede non poco filo da torcere. Turbamento che Dindo e i Solisti hanno tradotto in una esecuzione trepidante, dolente ma non cupa, attenta alla cantabilità della linea melodica così come alle peculiarità delle scelte timbriche.

Gioioso e rasserenante, invece, Richard Strauss. Del musicista di Monaco di Baviera è stata aperta una finestra sulla sua rara produzione cameristica: in strana coincidenza numerica di catalogazione col brano precedente, la Romanza per cello e archi op.43 bis, anch’essa nella riduzione di Dindo. Qui è emersa la fantasmagoria coloristica di Strauss diciannovenne (andata opacizzandosi nella produzione successiva) e il suo vivace controllo delle sonorità.

Dindo ha firmato l’orchestrazione del quinto movimento – infiniment lent, extatique – tratto dal celeberrimo “Quatour pour la fin du temps” di Olivier Messiaen: Louange a l’éternité di Jesus. Il compositore di Avignone, nel complesso della sua base formativa è stato influenzato da spunti poetici e filosofici, dalla musica esotica e dai suoni della natura oltre che da un forte slancio mistico. Una molteplicità di ispirazioni ravvisabili, talune più talune meno, anche in questo capolavoro dedicato al libro dell’Apocalisse. E se il concerto mantovano si era aperto affidando al violoncello il compito di imitare la voce del cantore di una sinagoga, in Messiaen il violoncello è stato chiamato a dare concretezza alla Voce di Dio, al Verbo. Lo strumento ad arco di Dindo – un Pietro Giacomo Rogeri (ex Piatti) del 1717, affidatogli dalla Fondazione Pro Canale – è noto per essere equiparato alla voce umana: ecco quindi il Verbo che, tramite la musica, ha interloquito col terreno, con l’Uomo. Dindo ha giostrato fra la necessaria maestosità e sentimenti quali la dolcezza e l’amore, la percezione dell’eterno e il mistero della trascendenza.

A conclusione della serata, i quattro movimenti della Serenata per archi n.2 in do maggiore op.14 di Robert Fuchs, austriaco della Stiria, in cui l’ensemble si è finalmente “lasciato andare” a sonorità gioiose, allegre, dove la leggerezza si è cinta di luminosità.

Il bis, carico di suggestioni, è stato dedicato a un Notturno di Čajkovskij, a rimarcare ulteriormente la maestria tecnica e l’espressività profonda e consapevole di Enrico Dindo e de I Solisti di Pavia, sempre mediate da musicalità e cantabilità sopraffine.      

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Sociale di Mantova – Tempo d’Orchestra, l’8 novembre 2023
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes