Al Maggio Musicale Fiorentino Daniele Gatti dirige l’opera di Verdi. Regia Roberto Andò. Nel cast Francesco Meli, Eleonora Buratto, Mikhail Petrenko, Roman Burdenko, Ekaterina Semenchuck, Alexander Vinogradov. 

Dopo tre mesi di ricca programmazione, il Festival d’Autunno del Maggio giunge al suo ultimo titolo operistico: in programma martedì 27 dicembre alle ore 19, in occasione dell’inaugurazione del rinnovato palcoscenico della Sala Grande del Teatro, il Don Carlo capolavorodi Giuseppe Verdi, nella versione italiana in quattro atti che vide la luce alla Scala il 10 gennaio 1884. Sul podio, alla testa del Coro e dell’Orchestra del Maggio il direttore principale Daniele Gatti; la regia è di Roberto Andò.

Altre quattro sono le recite previste in cartellone: il 30 dicembre e il 3 e 5 gennaio 2023 alle ore 19 e l’8 gennaio 2023 alle ore 15.30. Grazie alla Fondazione CR Firenze, la recita del 5 gennaio è offerta al pubblico con uno sconto del 50% del prezzo sui biglietti di ogni settore. La recita del 27 dicembre sarà trasmessa in diretta radiofonica su Rai Radio 3. 

In locandina una sfolgorante compagnia di canto formata da  Francesco Meli come l’infante di Spagna Don Carlo che ama senza speranza Elisabetta di Valois, interpretata da  Eleonora Buratto (la quale ha da poco debuttato il ruolo al Metropolitan di New York); Mikhail Petrenko nelle vesti del sovrano “severo e terribile” Filippo II; il ruolo di Rodrigo, Marchese di Posa amico prediletto di Carlo, è interpretato da Roman Burdenko e da Massimo Cavalletti (nella recita dell’8 gennaio), Ekaterina Semenchuck impersona la gelosa e impetuosa Principessa Eboli, Alexander Vinogradov è Il Grande Inquisitore.

Completano il cast Evgeny Stavinsky Un Monaco, Nikoletta Hertsak e Aleksandra Meteleva (nelle recite del 5 e 8 gennaio) interpretano il paggio di Elisabetta Tebaldo; Joseph Dahdah nel doppio ruolo de Il Conte di Lerma/Un araldo reale; Benedetta Torre è Una voce dal cielo, mentre un gruppo nutrito di artisti ed ex artisti dell’Accademia del Maggio interpreta i Deputati fiamminghi: Matteo Mancini, Volodymyr Morosov, Matteo Torcaso, Eduardo Martínez Flores, Davide Piva, William Hernandez, Lodovico Filippo Ravizza e  Roman Lyulkin. Il maestro del Coro del Maggio è Lorenzo Fratini.

APPROFONDIMENTI:

LE NOTE DEL DIRETTORE DANIELE GATTI
In occasione della conferenza stampa il maestro Daniele Gatti ha così detto: «Torno a dirigere il Don Carlo dopo 14 anni, dopo lo spettacolo del 7 dicembre 2008 alla Scala: è un’opera che ho sempre amato nel profondo, ricca di contrasti drammaturgici fra ciò che è il concetto di potere e ciò che è l’aspetto più intimo dei personaggi. Tornare su una partitura simile dopo anni, mi ha affascinato.

Ho la fortuna di averlo potuto fare insieme a un cast decisamente sensibile, dotato di una grande capacità di condividere un’idea o un percorso drammaturgico e musicale. Chi conosce il mio approccio alla direzione sa che non amo forzare vocalmente gli artisti con cui lavoro, cercando così di sfruttare al meglio i ‘colori’ delle loro voci e, con gli spazi notevoli della Sala Grande, temevo di non poter sfruttare queste esigenze drammaturgiche. Poi ho pensato che questo potesse essere idealmente spunto quasi per una ‘collaborazione’ fra noi e il pubblico, che può spingersi in avanti sulle poltroncine, venendoci ‘letteralmente incontro’ per poter godere di queste mille sfumature vocali che caratterizzano la costruzione musicale dell’opera. Un modo, questo, per poter ricreare quell’intimità che sussiste fra palcoscenico e platea».

Il maestro Gatti si è concentrato poi sul personaggio di Filippo II, uno dei cardini dell’opera e sul lavoro con Roberto Andò: «A livello narrativo una grande attenzione è stata data a Filippo II, la cui figura è stata letteralmente ‘scarnificata’, anche dalla sua forza esteriore: dentro, nel suo cuore, c’è solo un mare di malinconica solitudine. Forse il personaggio che più cambia e si trasforma nel corso narrativo dell’opera. Leggere quest’opera facendo capire che chi gestisce il potere è anche colui che è permeato da questa solitudine abissale è davvero uno dei motivi per cui so che un’opera come il Don Carlo non si smette mai di scoprirla e non smette mai di insegnare. Splendido inoltre è stato lavorare con Roberto Andò per la prima volta: è un partner ideale, grande sintonia durante le prove».

Gatti ha poi chiuso il suo intervento con una considerazione sull’interpretazione delle opere verdiane: «Un lavoro di ‘rivisitazione’ può sembrare arido, un’interpretazione secca. La sfida è in parte anche questo; riuscire noi, come compagnia musicale, a dare “un’interpretazione dell’interpretazione”. Con Verdi siamo di fronte al più geniale psicologo e regista in musica che si possa trovare; in alcune parti è proprio lui che indaga la parte psicologica del personaggio: se noi abbiamo l’umiltà di capire questo, possiamo lavorare per essere al ‘servizio’ di una regia già scritta da Verdi sottotraccia ma che – attenzione – non vuol dire copiare la partitura, ma comprenderla, assimilarla e capirla. Ci sono dei passaggi musicali che mostrano chiaramente come già il compositore stesso indagasse la psiche dei suoi protagonisti. Cercheremo d’illuminare quest’opera in alcuni aspetti che non sono legati a un’estemporaneità dell’interpretazione. La visione di un direttore in questo deve evolversi, lasciandosi guidare dal vero demiurgo, in questo caso Giuseppe Verdi».

LE NOTE DEL REGISTA ROBERTO ANDÒ
Dopo aver lavorato da giovanissimo come assistente alla regia per due leggendari cineasti come Federico Fellini e, in seguito, e Francis Ford Coppola, Roberto Andò dal 1980 ha alternato regie di prosa, liriche e cinematografiche. Nel teatro di prosa è da ricordare il suo sodalizio con Harold Pinter, cui dedicherà nel 1998 un documentario-ritratto presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, oltre a molte altre regie nella sua lunga carriera.

In collegamento dal suo studio a Roma, Andò ha sottolineato come sia stato importante cercare di evidenziare il dramma ‘intimo’ concepito da Verdi: «Affrontare il Don Carlo è davvero un grande piacere; è un’opera grandiosa che non ti dà mai delle conclusioni certe. Possiamo cercare, musicalmente e non, di osservare le infinite sfaccettature che offre.

Lavorare con Gatti è stato armonioso e intenso, un lavoro affrontato insieme con grande profondità. Abbiamo lavorato per restituire quel senso di grandezza ma anche di intima solitudine che caratterizza i potenti che vi sono rappresentati: il Don Carlo è questo, la tragedia del potere; un potere visto nella sua inadeguatezza umana e politica. L’opera è ‘nera’: Verdi ci propone un pessimismo tragico nelle relazioni che circondano il potere. In quest’opera Verdi esalta quel realismo psicologico in un modo straordinario, con una ricchezza di sfumature davvero impressionante: ognuno dei personaggi è sospeso, nel misterioso rapporto fra storia ed intimità, dentro il ‘cerchio nero’ rappresentato dal potere.

I personaggi sono sì granitici, ma in parte consumati dal dubbio: Filippo per esempio vuole essere figlio nei confronti dell’Inquisitore e non sa essere padre di Carlo mentre vorrebbe Posa come suo figlio; qui la musica ci porta in una dimensione quasi parallela alla vite che ci è data. Ci sono tutti i temi ‘classici’ di Verdi che dunque ritornano: il rapporto padre-figlio, la sublimazione dell’amore, un profondo pessimismo e un libretto, basato sulla tragedia di Friedrich Schiller, che in fondo è ispirato a fatti inventati. Schiller fece di Carlo un eroe romantico e decadente, e Verdi continua su questo sentiero. Noi stiamo cercando dunque questo: di ‘restituire’ un’idea di dramma intimo, psicologico e assolutamente moderno, che si avvicina a quello che noi oggi viviamo in tutte le manifestazioni del potere. Da questo punto di vista l’opera è di un’attualità letteralmente travolgente». 

L’OPERA
Don Carlo, versione italiana del Don Carlos, è la quarta e ultima opera di Verdi su soggetto schilleriano. La fonte del libretto, scritto a quattro mani da François-Joseph Méry e Camille Du Locle, era Don Carlos, Infant von Spanien, una tragedia in cinque atti di Friedrich Schiller ispirata a fatti storici accaduti in Spagna a metà Cinquecento. Lo scontro tra un sistema politico oppressivo e l’aspirazione alla libertà individuale, nonché il contrasto padre-figlio, che corre sul doppio binario della sfera politica e di quella privata, affascinarono Verdi che iniziò la composizione dell’opera dopo la commissione ricevuta dall’Opéra, dove Don Carlos debuttò l’11 marzo 1867.

Articolato inizialmente in cinque atti, con balli e scene di massa grandiose, in linea con le esigenze spettacolari del tempio della lirica francese, Don Carlos non ottenne il successo sperato e l’autore, insoddisfatto, decise di rimettervi mano qualche anno dopo per una ripresa al Teatro alla Scala il 10 gennaio 1884. In tale occasione Verdi ridusse gli atti da cinque a quattro – eliminando tutto il primo atto ad eccezione dell’aria del protagonista “Io la vidi e il suo sorriso” – e tagliò i ballabili. La critica italiana, tuttavia, tacciò l’opera di ‘wagnerismo’ per l’importanza assunta dall’orchestra e per la scrittura flessibile e fluida adottata da Verdi in cui è sempre meno netta la scansione tra numeri chiusi.

C.S.M.
Ufficio Stampa, 19 dicembre 2022
Contributi fotografici Michele Monasta

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