Quanto è moderno l’impianto scenografico del “vecchio” Nabucco! La considerazione è nata spontanea nel rivedere lo storico allestimento proposto nel festival lirico 2023 all’Arena di Verona, ideato nel 1991 dallo scomparso maestro Gianfranco de Bosio (di cui l’anno prossimo ricorrerà il centenario dalla nascita) e da allora periodicamente rispolverato con immutato successo, l’ultima volta nel 2015.

Se i costumi dagli sfavillanti colori sono di foggia tradizionale, la regia ondeggia tra il classico e il senza tempo, per la precisa dislocazione delle masse e l’attorialità dei solisti ben definita. Colpiscono per la modernità le scenografie di Rinaldo Olivieri, anch’egli scomparso qualche anno fa, dopo una carriera estremamente prolifica. Al centro del palcoscenico e protesa sulle gradinate alle spalle dello stesso, la colossale Torre di Babele ha preso forma dalla scomposizione dei blocchi che formavano il palazzo di Babilonia. Torre che richiama alla mente quella dipinta nel cinquecento da Pieter Bruegel il Vecchio.

Una costruzione stratificata come una ziqqurat a far da tramite tra gli uomini e Dio, che Olivieri ha disegnato con linee pulite e stilizzate, perciò modernissime. Basterebbe immaginarla dipinta con altre vernici, illuminata da luci tecnologiche, asciugata dal peraltro parco folklore degli idoli, per capirne appieno lo stile anticipatore della contemporaneità, per intuire quanto la struttura di base potrebbe essere frutto di creazione degli ultimi giorni.

Sia chiaro, il nostro è solo un esercizio di immaginazione fine a sé stesso, probabilmente frutto del caldo afoso che non concede tregua nemmeno nelle solitamente fresche notti areniane. Gli allestimenti storici è giusto siano preservati nella loro integrità, tutelati e valorizzati nella versione originale in quanto patrimonio artistico, proprio come fa l’Arena. Ciò non solo per memoria storica ma in considerazione dell’immutato gradimento di pubblico: la serata inaugurale era prossima al sold out e ha permesso di apprezzare la pura e semplice bellezza della vicenda, incentrata sullo scontro tra l’idolatria babilonese e il monoteismo ebraico, così come è stata scritta da Temistocle Solera e musicata da Giuseppe Verdi. Un rispetto per librettista e compositore oggigiorno divenuto merce rara. Il grande maestro de Bosio ha tenuto in considerazione non solo la musica ma, parallelamente, la teatralità presente in Verdi, confezionando con intelligenza artistica un kolossal che è tale nella sostanza oltre che nell’impianto visivo. E non è traguardo da poco.

La serata inaugurale del titolo, che è il terzo più rappresentato all’Arena, ha visto un cast di rilievo. Iniziando dalla caratura gold di Amartuvshin Enkhbat, totalmente padrone del ruolo che ha interpretato molte volte nella sua carriera fino a diventare, per dilagante giudizio di pubblico e di critica, un Nabucco di riferimento. Il baritono originario della Mongolia, nel suo riaffacciarsi sul palcoscenico dell’anfiteatro, ha confermato il bagaglio vocale lussureggiante, l’attenzione al fraseggio, la dizione impeccabile e la linea di canto di sopraffina eleganza, ricca di chiaroscuri e di accenti, di sfumature dinamiche, di smorzature della voce sapientemente proiettate. Meticolosamente studiata in ogni risvolto psicologico, oltre che profondamente verdiana, la costruzione del re di Babilonia, di cui il cantante ha vestito i panni con nobiltà.

Il soprano uruguaiano Maria José Siri vanta una assidua frequentazione con l’anfiteatro, di cui conosce a menadito le insidie e le opportunità, che ha saputo cogliere al meglio per la sua Abigaille di temperamento e dagli accenti drammatici, sfoderando un timbro tagliente e squilli svettanti ben calzati al personaggio. Il basso russo Alexander Vinogradov ha impiegato qualche minuto a scaldare a dovere la voce articolata; ha dato il meglio nei registri gravi ben figurando anche nella salita agli alti, austero nei panni del sommo sacerdote Zaccaria, che il fraseggio ha contribuito a disegnare come imprescindibile guida del popolo d’Israele.  

Ha onorevolmente debuttato nel piccolo ma impegnativo ruolo di Ismaele il tenore Matteo Mezzaro, dal timbro gradevole e sonoro. Esordio areniano per il mezzosoprano Josè Maria Lo Monaco, Fenena dal timbro levigato e musicale, che ha percorso la gamma dei registri vocali con dolcezza espressiva. Da lodare Riccardo Rados, Abdallo; l’inossidabile Gianfranco Montresor era il Gran Sacerdote di Belo; la brava Elisabetta Zizzo Anna.

Solo per la prima recita di questo titolo è salito sul podio Daniel Oren. Per lui, ci dobbiamo ripetere: la caratteristica che più di ogni altra colpisce è il feeling che egli ha instaurato – e che è capace ogni volta di rinverdire senza segni di stanchezza – con Orchestra e Coro areniani, dai quali sa trarre il meglio, anche contagiandoli con il proprio entusiasmo. Tra i molti pregi del maestro di Tel Aviv figura la spiccata personalità direttoriale, che si traduce in una sfolgorante tavolozza coloristica, nella vivacità dei tempi, nella cura paterna per le voci sostenute al meglio, sia nel caso dei solisti che del Coro.

Quest’ultimo sappiamo avere in Nabucco uno dei propri cavalli di battaglia. Con la messa a punto del maestro Roberto Gabbiani, il Coro areniano ha bissato il celeberrimo Va’ pensiero, dietro insistenti applausi non solo piovuti dalle gradinate ma giunti anche dal podio. Peccato che, come spesso accade, la magnifica “corona” finale che permette al suono di permanere leggero nell’aria, sia stata rispettata silenziosamente solo la prima volta e sovrastata dai battimani nel bis, con conseguente repentina chiusura dettata dal gesto di Daniel Oren, benevolmente “arresosi” all’entusiasmo del pubblico areniano.

Il titolo replica per altre tre volte, con diversi cast, fino al 17 agosto.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 15 luglio 2023
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona