Al m.a.x. Museo, la Madonna delle rose del pittore milanese Antonio Luini, opera del 1570, da collezione privata, solitamente custodita in caveau.  

Per il quarto anno consecutivo, il m.a.x. museo propone l’Esposizione dell’Avvento, che consente, durante il periodo natalizio, di ammirare un’opera a tema normalmente non visibile al pubblico. Il capolavoro scelto per queste Festività è la Madonna delle rose in trono (seconda metà del XVI secolo, 1570 ca.) di Aurelio Luini (Milano, 1530 – Milano, 1593) con la collaborazione del fratello Giovan Pietro. L’opera è collocata nell’atrio del museo di Chiasso e può essere ammirata gratuitamente fino al 7 gennaio 2024.

Il quadro, appartenente a una collezione privata ticinese, è stato temporaneamente trasferito dal luogo dove è custodito abitualmente, presso il caveau d’arte OLG International a Chiasso con cui il museo ha sancito un accordo.

LA MADONNA DELLE ROSE IN TRONO
Il dipinto proviene da una Pala d’altare e presenta una forte componente devozionale. Lo sguardo dell’osservatore è catturato del volto dolce della Madonna colpita da un raggio di luce che da sinistra verso destra illumina la spalla, il suo volto e poi il corpo del Bambino Gesù, che lei tiene amorevolmente in braccio.

La Madonna guarda in basso con uno sguardo timido, mentre il Bambino si apre verso l’osservatore offrendo una rosa, simbolo mariano della prefigurazione del destino di Gesù. Il colore della rosa non è bianco ma rossastro, in riferimento al sangue della Passione di Cristo, e infatti il corpo del bambino è rappresentato con anatomia di adulto.

L’opera esprime uno spiccato naturalismo lombardo per la presenza del magnifico roseto che incornicia la composizione. La bellezza dell’opera è data dagli equilibri strutturali perfetti, ed è caratterizzata dalla presenza di gesti e simboli di profondo valore religioso nell’ambito controriformista attuato dopo il Concilio di Trento.

L’impianto, tipicamente rinascimentale, presenta la Madonna in Trono col Bambino intento a porgere la rosa “mistica” ai fedeli. Sul lato sinistro è rappresentata la figura di San Michele Arcangelo, il santo guerriero, nell’atto di pesare le anime su una bilancia stadera, e di schiacciare con un piede il demonio e il serpente che rappresenta simbolicamente il peccato. Le sue ali rosse piumate, infuocate dalla luce dell’empireo, come l’ampia camicia di Maria, si riferiscono alla Passione del Cristo.

Sul lato destro appare la figura di San Bruno di Colonia, fondatore dell’Ordine monastico dei Certosini, rappresentato con un libro di sacre scritture sottobraccio. La sua mitria vescovile posta sulla predella simboleggia il rifiuto del Santo di ricoprire la carica di vescovo di Reggio Calabria preferendo il ritiro spirituale sull’Appennino calabro dove, su un pianoro tra i boschi e serre montuose, fondò la Certosa che come l’abitato adiacente oggi porta il suo nome. Il suo abito bianco e la veste luminosa di Maria rivelano il candore dello spirito, la purezza della vocazione, la verginità dell’essere e l’assenza del peccato.

La struttura centrale e imponente del baldacchino, i dettagli della spada dell’Arcangelo sulla sinistra e del Pastorale abaziale sulla destra, le gambe di Maria, generano uno spazio geometrico di grande equilibrio compositivo. Le linee visive portate dal raggio di luce inclinata, in buona parte convergono sulla mitria indicando l’umiltà come valore fondamentale dell’opera. Gli sguardi abbassati di Maria e San Bruno vanno anch’essi nella direzione dell’umiltà e della docilità nei confronti del messaggio divino.

Due grandi pergolati di rose chiudono la scena sui due lati, stringendo la composizione nella fascia verticale damascata del tronetto. La scatola prospettica si apre sulla linea di confine tra la realtà e la finzione; sia la copertura del baldacchino sia il primo gradino della predella coincidono infatti con il limite dello spazio creato nell’opera. Le linee di fuga concorrono verso il cuore dell’opera, Gesù Bambino che stringe nell’altra mano il Rosario con un corallo simbolo del sacrificio a cui andrà incontro. Tutto l’impianto prospettico riconduce infatti alla sua mano destra che stringe la rosa, fulcro di tutta la composizione. I cartocci fioriti del damasco del fondale creano il monogramma di Maria Vergine (MV) a significare che il dipinto è dedicato alla missione mariana.

LA STORIA DELL’OPERA
La Pala d’altare potrebbe essere stata commissionata da un referente culturale vicino all’ordine certosino, in un periodo in cui nel difficile dominio spagnolo a Milano si sviluppò la peste nel 1576. La famiglia dei pittori Luini, a partire dal padre Bernardino, era particolarmente devota ai monaci certosini, per i quali hanno eseguito molte opere pittoriche in area lombarda. L’attribuzione ad Aurelio, con la collaborazione di Giovan Pietro Luini, figli di Bernardino Luini, è stata documentata dal professor Francesco Frangi nel luglio del 2015 e accettata unanimemente dalla critica.

AURELIO LUINI E GIOVAN PIETRO LUINI
Aurelio Luini (Milano, 1530 – Milano, 6 agosto 1593) e suo fratello minore Giovan Pietro (1519 -1584), sono pittori figli del celebre Bernardino Luini, noto in Ticino per aver eseguito il grande affresco della Passione e crocifissione di Gesù, 1529, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano.

Aurelio ereditò, insieme ai fratelli, la commissione per la decorazione ad affresco della chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano, caratterizzata dall’insieme di influssi lombardi e della scuola forlivese. Nel 1560 affrescò il tramezzo del monastero di Santa Maria Assunta a Cairate (Varese) con l’Assunzione della Madonna. Ad anni più tardi risalgono la drammatica Pietà a Milano, San Barnaba, gli affreschi di S. Maria di Campagna a Pallanza, presso Verbania (in collaborazione con Carlo Urbino), gli affreschi di S. Vincenzo alle Monache a Milano (oggi a Brera), la S. Tecla per il Duomo (oggi in sacrestia) e la Madonna tra i SS. Rocco e Sebastiano per la cattedrale di Tortona.

Aurelio presentava una personalità inquieta e curiosa: le fonti ci restituiscono un’immagine di un artista colto e ricco di talento, di un abile disegnatore, qualità su cui insiste anche la critica a lui contemporanea, che identifica nelle prove grafiche la rappresentazione dell’idea, del momento creativo di un’opera d’arte. Egli non è solo un artista, è anche un intellettuale che incarna gli ideali tardo-manieristi. Con la sua bottega e i suoi collaboratori, Aurelio Luini esegue una pittura che si inserisce nel più aggiornato linguaggio della Controriforma cattolica.

Dalla critica storica Aurelio Luini è ritenuto un esponente di rilievo dell’ultimo manierismo lombardo anche per il suo essere tramite diretto con l’arte di Leonardo da Vinci (di cui era in possesso del Cartone di sant’Anna, oggi alla National Gallery e di un perduto “libricciuolo” di teste grottesche). Amico di Giovanni Paolo Lomazzo ed affiliato alla sua eterodossa Accademia dei Facchini della Val di Blenio, Aurelio incontrò anche problemi con la censura ecclesiastica, come testimonia una ordinanza del vescovo Carlo Borromeo che nel 1581, per un breve periodo, gli vietò di dipingere.

C.S.M.
Ufficio Stampa, 1 dicembre 2023

ESPOSIZIONE DELL’AVVENTO
1 dicembre 2023 – 7 gennaio 2024

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