Ci sono violinisti che sono fasci di nervi, emozioni allo stato puro, tensioni continue. Ce ne sono invece altri, come Marco Rizzi, il cui approccio allo strumento è più pacato, nondimeno espressivo, meno estemporaneo e più ragionato e perciò di grande profondità oltre che maturità esecutiva. La tecnica di Rizzi è impeccabile, padroneggiata con “normalità”, non esibita e lasciata sgorgare fluidamente, con classe.

Al pluripremiato violinista è spettato il compito di chiudere la Stagione mantovana “Tempo d’Orchestra”. L’Orchestra da Camera di Mantova ha aperto il concerto che inanellava una scaletta assai varia. Dapprima il compositore vivente Arvo Pärt, estone naturalizzato austriaco, di cui è stata presentata Fratres, scritta nel 1977: una sequenza di variazioni e di accordi percussivi ripetuti, su quello che viene definito un “ronzio” di base. L’autore non ha previsto una strumentazione fissa, pertanto l’organico può di volta in volta variare. Questa specifica formazione dell’OCM ha abilmente evidenziato il potere quasi ipnotico di Fratres e le suggestioni timbriche e delle percussioni; il fascino delle scansioni melodiche quasi matematiche; il contrasto tra la reiterazione e le mille sfumature che quest’ultima può raggiungere, inducendo alla meditazione.

È seguito un balzo a ritroso nel tempo, nel Seicento del compositore e violinista Heinrich Ignaz Franz von Biber, austriaco di nazionalità boema. Dalla sua produzione è stata scelta Battalia à 10, riferita alla Guerra dei Trent’anni. Il tessuto musicale alterna momenti concitati ad altri ironici, come quello in cui l’orchestra inizia a suonare stonature per imitare i soldati in taverna ebbri di vino, per poi concludersi con il malinconico lamento dei feriti. Sono qui emerse le capacità interpretative dell’OCM nel passare, con contorni netti e definiti pur mantenendo l’unitarietà del discorso d’assieme, dai movimenti marziali alla scherzosità delle dissonanze, dalla tensione che serpeggia tra le truppe al furore della battaglia: nel movimento intitolato a Marte, i bassi, come consuetudine, hanno infilato un foglio tra il legno dello strumento e le corde, per simulare il suono asciutto dei tamburi di guerra. Infine la formazione orchestrale, dopo la foga del combattimento, si è abbandonata al dolore descritto da Biber con un’altra serie di dissonanze, e infine ha sfumato il suono in un mesto pianissimo. Il tutto, espresso dall’OCM attraverso dinamiche cangianti che hanno ben evidenziato la natura antidrammatica dell’opera.

Con l’immenso Haydn e il suo Concerto n.1 per violino e orchestra, ha fatto il suo ingresso sul palcoscenico del Teatro Bibiena Marco Rizzi. In questo brano il compositore settecentesco gettò un ponte, in seguito poco sfruttato nella sua produzione, tra il barocco (vedasi ad esempio la presenza del clavicembalo come basso continuo) e il classicismo sfociato in una musicalità molto moderna per l’epoca. L’esecuzione di Rizzi attorniato dall’OCM è stata protesa alla gradevolezza melodica, a quella “semplicità” d’ascolto che è la cifra stilistica del violinista, emersa anche negli impegnativi passaggi virtuosistici e nei contrasti dinamici. È seguito un bis, dedicato a un Adagio sempre di Haydn.

Senza nulla togliere al suo valore come solista, personalmente riteniamo che il clou del concerto sia stato toccato nella proposta conclusiva, quando Marco Rizzi si è seduto tra gli orchestrali nel ruolo di concertatore, per affrontare l’Otto-Novecento di Richard Strauss e il suo Metamorphosen. Nello “studio per 23 archi solisti” Rizzi ha guidato l’Orchestra da Camera di Mantova in stato di grazia.

Si è sprigionata l’intera gamma emozionale straussiana: dal dolore per la propria salute precaria e per la condizione di miseria economica in cui versava, dalle difficoltà conseguenti al divieto di recarsi all’estero imposto dal governo nazista (Hitler si suicidò pochi giorni dopo che la composizione era stata terminata), fino alla disperazione per la distruzione della Germania (le bombe avevano raso al suolo anche lo Staatsoper dove Strauss era di casa). Si ravvisano parallelamente sentimenti di speranza per l’umanità che non pareva averne più alcuna, e un anelito di trascendenza. Strauss infatti ha accomunato vincitori e vinti in un unico lamento dell’umanità distrutta e desiderosa di risorgere dalle proprie ceneri.

Così l’OCM, capitanata dal violino concertatore Rizzi, è passata da atmosfere cupe alla desolazione più totale che ha infine trovato riscatto in flebili bagliori di fiducia. Gli esecutori hanno splendidamente esplicitato l’essenza di Metamorphosen, in cui Strauss ha abbandonato i suoi consueti colori melodici per assumerne altri enigmatici. Una esecuzione ancora una volta cangiante, che ha magnificamente espresso le diverse e conviventi anime di una musica che canta la speranza nata dalla non-speranza, che inneggia la luce inghiottita dalle tenebre ma che riesce a farsi largo tra esse. Una musica che inquadra la morte nella sua funzione amplificatrice dell’amore per la vita.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Bibiena di Mantova per Tempo d’Orchestra, il 5 aprile 2024
Foto MiLùMediA for DeArtes