MiLùMediA for DeArtes

Incontro telefonico con il maestro Stefano Arienti, milanese di adozione, uno dei più importanti artisti del panorama contemporaneo italiano e internazionale.

Maestro, come vive il tempo del coronavirus dal punto di vista artistico e come dal punto di vista personale?
C’è un’atmosfera di sospensione, di attesa, sicuramente una situazione molto drammatica da vivere adesso, però è anche un momento di grande concentrazione. Io sono abituato a lavorare anche a casa; per tantissimo tempo ho avuto lo studio dentro la mia abitazione per cui sono sempre molto attivo. Sfrutto questo periodo per cercare di lavorare, di non stare concentrato tanto su ciò che succede fuori ma di utilizzare i giorni di reclusione per fare meglio e bene quello che comunque continuo a fare.

Ora come si svolge il suo lavoro?
Mi sono organizzato, sono andato a prendere tutto quello che potevo trasportare e ho ricostruito una parte dello studio in casa.

Ad esempio?
Delle pitture, dei disegni, delle ricerche sul computer per lavorare sulle immagini, lo sviluppo di alcuni progetti che erano già avviati da portare avanti. Non si interrompe, in questo momento di clausura, la concentrazione sul lavoro.

C’è un progetto in particolare al quale si sta dedicando?
Per fortuna quest’anno non c’erano progetti, mostre o esposizioni a breve scadenza, mi ero tenuto più libero. Avevo anche già interrotto l’attività educativa, di docenza, che ho portato avanti per tanti anni e quindi sono svincolato anche da quel punto di vista. Ci sono alcuni progetti speciali di opera su committenza, che prendono un lungo periodo e quindi non ho nessun impegno in scadenza stretta. Mi ero già messo per mio conto in una dimensione un po’ più rallentata, perché l’anno scorso ho lavorato tantissimo e in contesti espositivi di vario tipo. Volevo tentare di concentrarmi su me stesso.

È da se stessi, che nasce l’arte. Concentrandosi sulla sua interiorità cosa ha scoperto, di sé, che ancora non conosceva?
Nel mio caso, dato che come artista vivo una dimensione lavorativa piuttosto solitaria già di mio, non mi pesa l’isolamento forzato che arriva dall’esterno. Non sento, a differenza di tante persone, il fardello dell’imposizione, di dover vivere rinchiusi che immagino sia molto pesante per gli altri. Ho una casa tranquilla e comoda dove riesco a stare facilmente e non sento il bisogno di uscire. Quindi non c’è una necessità di scoprire una dimensione differente rispetto a ciò che in realtà conosco già molto bene.

Come trascorre le sue giornate?
Sono in contatto con tante persone, c’è la preoccupazione di sentire se stanno bene o se hanno difficoltà. Persone anziane che conosco e non posso andare a visitare, allora le sento, porto farmaci o faccio delle commissioni per loro. C’è un’attività di relazione molto forte che è rimasta in piedi e che deve proseguire. Poi i miei familiari: ho delle sorelle e un fratello che vivono in provincia di Mantova dove ci sono molti casi di coronavirus in corso e quindi li sento spesso.

Immagino tramite computer
Per mia scelta non ho voluto tenere internet nell’abitazione: l’ho solo nel mio studio e siccome non ci posso andare, in questo momento non ho internet! (n.d.r. ride). Non sto più aprendo la posta elettronica, non ho social, non ho profili, niente da controllare e non ho uno smartphone. Guardo la televisione, leggo i giornali e mi tengo in contatto in questo modo. La gente sa che quando ha bisogno di me, mi deve chiamare al cellulare e io rispondo sempre perché ho preferito mantenere questo tipo di contatto. Non sento la deprivazione o la trasformazione della comunicazione che tante persone immagino percepiscano, specialmente in questo periodo.

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Questa emergenza la fa ripensare diversamente all’arte? L’arte ha il medesimo valore di prima o secondo lei ha acquisito una nuova valenza?Assolutamente questa contingenza storica cambia completamente il paradigma di valore e di giudizio su tutte le cose che ci circondano. Un momento storico irripetibile e molto drammatico che riguarda sicuramente anche l’arte, non c’è dubbio. Se pensiamo a quello che sarà l’impatto economico ….

Lei ha constatato a livello internazionale un impatto economico già in atto?
Il mondo dell’arte reagisce sempre piuttosto lentamente ai grandi cambiamenti storici ed economici, che sono più drammatici per la vita reale delle persone. Però sicuramente ci sarà un risvolto fortissimo. Già solo il fatto che le fiere vengano cancellate, le gallerie chiuse: tutto il sistema dell’arte è completamente bloccato. Dal punto di vista economico porterà una riduzione molto forte. Che è anche salutare! Come è salutare il fatto che una situazione così drammatica ci imponga di riguardare all’arte con un’altra prospettiva.

Quale?
Non lo sappiamo ancora, perché non siamo alla fine di questo momento così difficile. Prima riguardava solo l’oriente, poi l’Europa e l’occidente, poi come un’onda questa dimensione attraverserà tutto il mondo. Prima che riusciamo a capire l’ampiezza del fenomeno, la durata, le implicazioni, i risvolti effettivi ci vorrà molto più tempo di quello che si possa supporre. Non si risolverà tutto in poche settimane e gli effetti saranno sul lunghissimo periodo. Non possiamo immaginare che fra pochi mesi tutto torni come prima, che il sistema del turismo, del consumo, dell’intrattenimento, dello sport in un tac ricomincino immediatamente da capo. Il consumo culturale fa parte di ciò e sarà completamente ridisegnato e ridefinito, anche solo come memoria storica di questo momento di grande fragilità.

Sembra che stiano avendo un grande boom le case d’aste. Lei pensa che la gente veda l’arte come un bene rifugio?
No. Penso che semplicemente l’economia, il consumo e l’arte facciano parte di un mondo che è toccato con una forza di inerzia differente, che colpisce come un pugno in faccia la gente. Questo è molto antipatico da dire, ma è reale. E quindi, a parte le speculazioni o lo sfruttamento del valore sull’arte, che esistono sicuramente, c’è un volano differente che prende fasce diverse della popolazione e noi vediamo l’effetto sulla cultura e sul consumo culturale arrivare più lentamente. Ma arriva inevitabilmente. Colpisce prima dal basso tutti gli addetti e gli operatori come me implicati in prima persona nelle fasi della creazione, poi arriva su fino alle istituzioni.

Lei è considerato uno dei più importanti artisti italiani della contemporaneità. Più un onere o un onore?
Non mi giudicano uno degli artisti più importanti della mia generazione o dell’Italia in generale, sicuramente no! Cerco nel mio piccolo di fare quello che sono in grado di fare e di portarlo avanti con qualità. Mi considero una persona molto limitata che ha avuto la grande fortuna di fare questo mestiere e cerco di rispondere, di essere sempre all’altezza di quello che la professione implica.

Progetti futuri?
Il mio coinvolgimento con la Scuola “Fare arte” di Palazzo Te a Mantova, che per me è una esperienza importantissima che proseguirà. Un modulo mi coinvolgerà in parallelo con l’artigianato. È l’unico progetto educativo a cui ho continuato a dare la mia adesione perché è un’attività molto speciale, di ricerca in un territorio che conosco, per cui sono particolarmente contento e coinvolto. (n.d.r. successivamente a questa intervista, in data 23 giugno, Palazzo Te ha ufficialmente annunciato il posticipo di questo progetto al 2021, per non incorrere nelle limitazioni disposte dalla normativa per il virus)

Maria Luisa Abate for DeArtes
24 marzo 2020
Contributi fotografici d’archivio MiLùMediA for DeArtes

STEFANO ARIENTI è riconosciuto come uno dei più importanti artisti contemporanei italiani. Nato ad Asola nel 1961, vive e lavora a Milano. Dopo la laurea in Agraria frequenta la Brown Boveri di Milano, crocevia di sperimentazioni artistiche dove si avvicina alla pratica della manipolazione di materiali “poveri” che poi sviluppa nella frequentazione dello studio di Corrado Levi. Alla fine degli anni Ottanta, espone a Londra e in Francia e, alla fine degli anni novanta, in Germania. Nel ‘96 vince il primo premio alla XII quadriennale di Roma. È presente a Kiev, Salisburgo, India, Los Angeles e ancora Londra. Ha esposto, tra l’altro, in due edizioni della Biennale di Venezia; Biennale di Istanbul; Museo Reina Sofia, Madrid; Centre d’Art Contemporain, Ginevra; XXIII Biennale di Arti Grafiche a Lubiana, Gwangju Biennal. Tra le molte personali: MAXXI, Roma; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Isabella Stewart Gardner Museum, Boston; Fondazione Querini Stampalia, Venezia.