VINCENZO BELLINI TORNA ALLA SCALA. Va in scena a Milano, al Teatro alla Scala per cinque rappresentazioni, dal 18 gennaio al 2 febbraio 2022, “I Capuleti e i Montecchi”, secondo titolo d’opera della Stagione 2021-2022. Sul podio debutta Speranza Scappucci, che è intervenuta a prove iniziate sostituendo Evelino Pidò costretto ad abbandonare la produzione. Scappucci, regolarmente invitata nei maggiori teatri europei e americani, dal 2017 è alla guida dell’Opera de Wallonie di Liegi.

Debutta alla regia Adrian Noble, che è stato direttore artistico della Royal Shakespeare Company di Londra dal 1990 al 2003. Scene di Tobias Hoheisel, costumi di Petra Reinhardt, luci di Jean Kalman e Marco Filibeck, coreografia di Joanne Pearce.

In scena debuttano come Giulietta Lisette Oropesa e come Romeo Marianne Crebassa, mentre Tebaldo è Jinxu Xiahou, Frate Lorenzo Michele Pertusi e Capellio Jongmin Park. Il Coro del Teatro alla Scala è diretto da Alberto Malazzi.

PROVE Capuleti e Montecchi ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

LA TRAVAGLIATA GENESI DELL’OPERA
Quando Vincenzo Bellini compose “I Capuleti e i Montecchi” per la Fenice nel 1830 aveva 29 anni. È la sua sesta opera (o settima a seconda che si conti separatamente “Bianca e Gernando”, la seconda versione di “Bianca e Fernando”) e precede i capolavori più noti: “La sonnambula” e “Norma” sono dell’anno successivo, “I Puritani” del 1835.

La genesi dell’opera è avventurosa: a Bellini, che si trovava a Venezia per una ripresa del “Pirata”, venne richiesta in tutta fretta dall’impresario Lanari un’opera nuova per coprire la falla nella stagione aperta da Giovanni Pacini, che per quel Carnevale aveva incautamente accettato tre commissioni insieme e si trovava in difficoltà. Per finire in tempo il compositore fece ampio ricorso a materiali preesistenti. Chiamò a Venezia Felice

Romani a scorciare e riadattare un suo libretto esistente, già utilizzato per “Romeo e Giulietta” di Nicola Vaccaj (sul tema esisteva anche un’opera di Zingarelli del 1796), attinse alla “Zaira” scritta per Parma l’anno precedente rimaneggiandone radicalmente i materiali, e per l’aria di sortita di Giulietta anche a “Adelson e Salvini”, il suo primo lavoro del 1825.

PROVE Capuleti e Montecchi ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

L’opera riuscì con un carattere suo proprio e se per la maggior parte presenta forme chiuse d’impianto tradizionale, colpisce per nobiltà e aderenza alla parola poetica del canto e nel finale sorprende con la scena del sepolcro. Proprio la novità del finale, che ai moderni appare tra i maggiori pregi dell’opera, sconcertò i contemporanei, che presero a sostituirlo con quello assai più convenzionale da Vaccaj sugli stessi versi.

Così impose la Malibran nella ripresa scaligera del 1834 (nel ’31 era andato in scena il solo primo atto nelle serate di gala per la riapertura del Teatro dopo i lavori di ristrutturazione della sala) e così avvenne fino all’ultima ripresa dell’’800 alla Scala, nel 1861.

Solo nel 1966 (con riprese nel ’67 e ’68) l’opera tornò alla Scala con la regia di Renato Castellani, le scene di Ezio Frigerio e Claudio Abbado a dirigere un cast favoloso ma certamente non filologico: accanto alla Giulietta di Renata Scotto e al Tebaldo di Luciano Pavarotti, la parte di Romeo era affidata a un tenore, Giacomo Aragall. Fu Riccardo Muti nel 1987 (con riprese a Tokyo e Mosca negli anni seguenti) a riportare l’opera alla sua forma originaria, nello spettacolo di Pier Luigi Pizzi con le voci di June Anderson e Agnes Baltsa.

C.S.M.
Fonte: Ufficio Stampa, 15 gennaio 2022
Immagine di apertura:
Speranza Scappucci – cr Dario Acosta

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