La XXII edizione al Teatro Regio inaugura con La forza del destino, nella versione di Milano del 1869. Segue Simon Boccanegra, nella versione di Venezia del 1857.

LA FORZA DEL DESTINO
La forza del destino, melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma Don Álvaro o La fuerza del sino di Ángel Perez de Saavedra, inaugura il XXII Festival Verdi giovedì 22 settembre 2022 ore 19, al Teatro Regio di Parma (recite sabato 1 ottobre ore 19, domenica 9 ottobre ore 19, domenica 16 ottobre ore 16).

[La forza del destino, bozzetto Kokkos, atto I]

L’opera, dedicata a Renata Tebaldi nel centenario della nascita, va in scena in un nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro Massimo di Palermo, Opéra Orchestre National Montpellier Occitaine con la regia, le scene e i costumi di Yannis Kokkos, al suo debutto in quest’opera verdiana e per la prima volta al Teatro Regio e al Festival Verdi. Roberto Abbado, Direttore Musicale del Teatro Regio di Parma, sul podio dell’Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, maestro del coro Gea Garatti Ansini, dirige la partitura dell’opera nella versione per Milano 1869, edizione critica a cura di Philip Gossett e William Holmes, the University of Chicago Press, Chicago e Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano.

In scena Liudmyla Monastyrska (Donna Leonora), Gregory Kunde(Don Alvaro), Amartuvshin Enkhbat(Don Carlo di Vargas), Marko Mimica(Padre guardiano), Roberto de Candia(Fra’ Melitone), Annalisa Stroppa(Preziosilla), Andrea Giovannini(Mastro Trabuco), Marco Spotti(Marchese di Calatrava), Natalia Gavrilan(Curra), Jacobo Ochoa(Un alcade), Adolfo Corrado (Un chirurgo).
Per eventuali variazioni, si consiglia di consultare il sito www.festivalverdi.it

Composta nell’autunno 1861 e rappresentata per la prima volta a San Pietroburgo nel novembre 1862, La forza del destino fu oggetto di revisioni sia testuali sia di tessuto musicale, dovute alle perplessità sollevate dopo le recite europee sul finale che molti ritenevano terminasse con troppi assassinii in scena. La seconda versione della Forza andò in scena alla Scala di Milano il 27 febbraio 1869, con grande successo.

[Simon Boccanegra, bozzetto scena Martina Segna]

SIMON BOCCANEGRA
Simon Boccanegra, melodramma in un prologo e tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma Simón Boccanegra di Antonio García Gutiérrez,va in scena al Teatro Regio di Parma domenica 25 settembre 2022 ore 20 (recite giovedì 29 settembre ore 20, giovedì 6 ottobre e venerdì 24 ottobre ore 20) nella prima, rara versione, rappresentata a Venezia nel 1857, in un’edizione che per la prima volta integra documenti autografi ritrovati a Sant’Agata, in un nuovo allestimento, con la regia di Valentina Carrasco.

Riccardo Frizza dirige la Filarmonica Arturo Toscanini e il Coro del Teatro Regio di Parma, preparato daMartino Faggiani.Il cast è composto da Vladimir Stoyanov(Simon Boccanegra), Roberta Mantegna(Maria/Amelia), Riccardo Zanellato(Jacopo Fiesco), Piero Pretti(Gabriele Adorno) Devid Cecconi(Paolo Albiani)Adriano Gramigni(Pietro), Chiara Guerra (Un’ancella di Amelia).
Per eventuali variazioni, si consiglia di consultare il sito www.festivalverdi.it dove sono anche indicati l’incontro di approfondimento e le prove aperte.
La serata di domenica 25 settembre 2022, ore 20 sarà trasmessa su Rai Radio 3.

Quasi un quarto di secolo trascorse tra la prima e la seconda versione di Simon Boccanegra. Opera politica, dai toni cupi e dalla trama complessa, la versione del 1857 al suo debutto alla Fenice di Venezia non ebbe un’accoglienza di pubblico positiva. Verdi riuscì a risollevarne le sorti nelle repliche a Reggio Emilia, Napoli e Roma, intervenendo personalmente su molti aspetti drammaturgici e musicali, ma il successo arrivò soltanto con la sua seconda versione, affidata alla revisione di Arrigo Boito, rappresentata alla Scala il 24 marzo 1881.

GLI APPROFONDIMENTI

[La forza del destino, prove di scena. Foto Roberto Ricci]

LA FORZA DEL DESTINO: LE NOTE DI DIRETTORE E REGISTA
«Le ragioni per cui ho preferito quella scaligera sono almeno due – scrive nelle note di direzione Roberto Abbado, Direttore Musicale del Festival Verdi. La prima è che la parte del tenore, già difficile e lunghissima, nella versione originale diventa addirittura massacrante. La seconda, che il finale di Milano è infinitamente più bello e più toccante. Quando Verdi rimetteva mano a una sua opera, quasi sempre la migliorava […]. Ho diretto l’opera una volta sola, a San Francisco nel ’92. Riaprendo la partitura, mi sono subito ricordato di averla studiata bene, perché ci ho trovato l’analisi armonica molto accurata che le avevo dedicato. Nel frattempo, è stata pubblicata l’edizione critica, che ovviamente è quella che utilizziamo a Parma. Quindi ho dovuto ristudiare e riannotare l’opera da capo, e non è stato un lavoro di poco conto. Spero, dopo tutti questi anni, di avere maggiore confidenza con un’opera che, se è difficile per i cantanti, non lo è di meno per il direttore, per quanto è lunga, complessa e, direi, variegata».

«Un’opera epica e intima, che ci porta in un mondo di violenza e passione – scrive il regista Yannis Kokkos. Irruzione di eventi improbabili, situazioni incredibili, colpi di scena diventano perfettamente coerenti grazie al genio musicale e drammatico di Verdi. Una maledizione paterna che ricade su tutti i personaggi, una fatalità implacabile che grava su Don Alvaro, questo principe mezzosangue di un regno lontano, perseguitato dalla discriminazione razziale e spinto dall’oscura determinazione dell’eroe romantico, dall’odio implacabile che il fratello di Leonora prova, un odio ossessivo per Alvaro, il suo amante, così ben descritto nel racconto di Joseph Conrad The Duelists. Un odio che crea un’atmosfera di assoluta violenza e che diventa il destino dello stesso Don Carlo, di Don Alvaro e di Leonora. È ovviamente importante fondare la lettura dell’opera sulla sua duplice dimensione militare e religiosa: la materialità della guerra e la trascendenza spirituale incarnata da Padre guardiano. Temi che risuonano fortemente oggi. Interno dominato dalla figura del padre, locanda che permette gli incontri più ambigui, convento, rovine di guerra, paesaggi desertici compongono uno spazio mentale, spesso espressionista, che mescola epoche, si libera dalla realtà e apre le porte del fantastico. Allo stesso modo, i costumi, nobili e contadini, dei civili e dei soldati, passano attraverso il tempo. Rappresentare quest’opera molto speciale per il Festival Verdi di Parma nel 2022 è un segno di speranza».

[Simon Boccanegra, prove di scena. Foto Roberto Ricci]

SIMON BOCCANEGRA. LE NOTE DI DIRETTORE E REGISTA
La versione del 1857, oggi raramente portata in scena, può essere finalmente apprezzata nell’edizione critica che integra gli ultimi ritrovamenti autografi di Verdi. «Ho potuto lavorare su un testo musicologicamente dettagliato, con maggiori informazioni rispetto a quelli finora disponibili – racconta Riccardo Frizza. «Ovviamente la prima cosa è stato confrontarle: cercando di individuare non tanto, o solo, le differenze musicali. Mi interessava capire com’era cambiata la mano di Verdi. Le sue intenzioni. Soprattutto nelle parti rimaste o identiche come testo, o abbastanza simili per idee musicali […]. Considero Simon Boccanegra come la sua opera più importante. Non per fare una classifica di valore assoluto ma per sottolineare quanto qui Verdi abbia saputo guardare avanti – per me è l’opera che musicalmente prepara di più Otello – con una mira di ricerca che ebbe il coraggio di deviare, di distaccarsi quasi, dal suo stesso modo di scrivere musica».

Un dramma politico sul potere e sui meccanismi logoranti che questo genera, calato in una dimensione metaforica nell’allestimento con la regia di Valentina Carrasco: «Un’atmosfera portuaria (come quella di Genova o di qualsiasi altro gran porto) ci evoca un contesto sociale difficile nel quale si presentano le condizioni reali per una rivolta popolare contro una élite patrizia […]. Ma nell’esplorare le zone portuarie ci è apparso come una evidenza il fatto che spesso, fino a un passato recente, i mattatoi e i macelli industriali si trovavano nelle vicinanze […]. E all’improvviso ci trovavamo davanti un paesaggio inquietante: quelle mandrie di bestiame inconsapevoli e sottomesse che vanno a morire seguendo il branco, quei macellai in serie che, abituati a dare morte senza il minimo rituale non hanno più stima della vita e uccidono senza più averne l’orrore. Tutto questo ci ha fatto pensare all’atmosfera oppressiva del nostro dramma verdiano, e crea un quadro in cui la sua trama scura può svolgersi in modo naturale». Un quadro fosco, uno scenario di crudeltà dove spicca la figura di Amelia che conduce a un finale che pur nella sua tragicità sembra sciogliere il clima di odio che imperversa in tutta la vicenda. Eppure, continua la regista «nel bellissimo finale dell’opera si percepisce forse qualche dissonanza, qualche inevitabile pessimismo che lo spirito acuto di Verdi non riesce a tenere a bada. Si tratta di un nuovo inizio, o della ripetizione dello stesso ciclo d’adorazione di un nuovo leader?»

C.S.M.
Fonte: Ufficio Stampa, 13 settembre 2022

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