La Scala di Milano è una delle eccellenze per cui l’Italia è nota nel mondo. Ma anche l’Arena di Verona lo è. Ciascuna con le sue peculiarità e accomunate dall’essere due capisaldi della lirica. Dalla neonata collaborazione tra queste due straordinarie realtà che il mondo ci invidia, è nata una serata speciale. Per la prima volta nella storia ultracentenaria dell’Arena (l’antico edificio fu adibito a teatro 110 anni or sono) e nell’anno in cui si festeggia il festival numero 100, la prestigiosa istituzione milanese ha fatto il suo debutto sull’immenso palcoscenico veronese. Tempio della lirica che vanta una presenza importante (si dice circa il 60%) di spettatori stranieri: cosa che lo rende de facto un teatro internazionale non solo per gli artisti che qui si esibiscono ma anche per i fruitori che lo affollano.

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, diretti dal Maestro Riccardo Chailly, hanno scelto Verona come data del debutto, e unica italiana, del tour che li vedrà portare all’estero una selezione di cori, sinfonie e ballabili tratta dalle più celebri opere di Giuseppe Verdi (vedi notizia DeArtes qui). Il programma ha pertanto posto in risalto quelle pagine che sovente, nel corso delle rappresentazioni in forma scenica, non ricevono l’attenzione che meritano, mentre qui hanno acquistato una dignità inedita, quasi una riscoperta conseguente al sentire solo la musica senza il corrispettivo visivo.

Il clima era decisamente fresco e, dalla notte precedente, in cielo brillava la cosiddetta superluna blu, unico elemento scenografico, assieme a pochi giochi di luce, ad aver contornato le due formazioni schierate sul palco. Nessuna distrazione: solo la bellezza della musica e la qualità dell’esecuzione ad appagare l’udito in questa full immersion verdiana. La serata ha avuto gli esiti immaginati: tanto prevedibili, per la qualità stratosferica e ineccepibile, quanto entusiasmanti, per aver offerto un’esecuzione di Verdi rigorosa ed emotivamente coinvolgente. 

Orchestra e Coro, quest’ultimo preparato alla perfezione dal Maestro Alberto Malazzi, hanno dato ennesima prova di compattezza, di sincronia negli attacchi (alcuni in uno stupefacente unisono), di dimestichezza e sensibilità nel tarare le dinamiche, di amalgama tra le singole sezioni orchestrali tutte nitidamente emerse in una vera delizia uditiva. Soprattutto, sotto il gesto preciso e attento di Riccardo Chailly, è scaturito l’autentico spirito verdiano, grazie alla capacità evocativa e narrativa dimostrate dalle due compagini. Colto e raffinato nell’approccio, attento studioso della partitura e sensibile interprete, il Maestro Chailly si è presentato all’appuntamento in forma smagliante e in stato di grazia: anche questa non è una novità, perché per lui lo stato di grazia è una costante, della quale il pubblico veronese ha potuto godere appieno.

La serata si è aperta con Nabucco, opera che proprio al Teatro alla Scala vide la sua prima rappresentazione il 9 marzo 1842, e che è uno dei titoli maggiormente rappresentati all’Arena. Quasi un manifesto programmatico del concerto, poiché in quest’opera Verdi, per la prima volta nella storia del melodramma, assegnò al coro un ruolo protagonistico, addirittura prevalente sui personaggi. La sinfonia da Nabucco ha proiettato da subito nell’empireo qualitativo, seguita da “Gli arredi festivi giù cadano infranti” e poi da quello che senza ombra di dubbio è il più celebre coro verdiano, “Va’, pensiero, sull’ali dorate”, intonato dagli ebrei conquistati dai babilonesi, che piangono la patria lontana e perduta, edivenuto universalmente grido di dolore di un popolo che, pur ridotto in schiavitù, mantiene la fierezza delle proprie radici. Chailly ha guidato Orchestra e Coro attraverso sonorità sommesse, quasi mistiche: un canto dell’anima, un grido interiore capace di fendere, con la forza dirompente di un sussurro, il silenzio rispettoso che ha ammantato l’anfiteatro.

In “Gerusalem” e “O Signore dal tetto natio” da I Lombardi alla prima Crociata, il Coro ha particolarmente fatto sfoggio di dinamiche attentamente curate, tra piano e pianissimo. Il Preludio seguito da “Si ridesti il Leon di Castiglia” da Ernani, ha confermato la capacità evocativa dell’Orchestra e la grande compattezza del Coro.

In chiusura della prima parte, il finale dal Ballo della Regina, esempio di musica scritta per essere danzata in cui gli orchestrali hanno sfoderato una straordinaria tavolozza coloristica, e “Spuntato ecco il dì dell’esultanza”, che ha confermato la sinergia esistente tra i vari registri vocali dei coristi. Da sottolineare la precisione dell’attribuzione nel programma di sala: il primo da Don Carlos e il secondo da Don Carlo (la prima dell’opera avvenne in francese, a Parigi, seguì poi la traduzione italiana che debuttò a Londra).

La seconda parte del concerto si è aperta in un crescendo di entusiasmo percettivo, con il Preludio da Macbeth che ha lasciato gli ascoltatori senza fiato al cospetto della rigogliosità esecutiva. In “Che faceste dite su!” le streghe shakespeariane non hanno avuto bisogno del contesto scenico per apparire presenze inquietanti, oscure, malefiche, terrifiche, mentre vertici di commozione si sono toccati con “Patria oppressa! Il dolce nome”. L’atmosfera si è fatta brillante, quasi gioiosa, con Il trovatore e “Vedi le fosche notturne spoglie”, che ha fatto seguito al preludio e che è risultato uno delle punte di diamante della serata, nonostante l’assenza tra gli strumenti delle incudini, grazie al fantasmagorico caleidoscopio timbrico messo in campo dall’Orchestra.

Monito alla contemporaneità con la sinfonia “Nella guerra è la follia” da La forza del destino. Chiusura con “Gloria all’Egitto, ad Iside” tratto dal celeberrimo trionfo di Aida che più di ogni altro brano in programma, come dicevamo poc’anzi, ha permesso di godere appieno dello splendore del genio verdiano senza distrazioni visive, e che Chailly ha diretto con una eleganza raramente udita, letteralmente ammaliante. Un solo bis dietro insistenza del pubblico, incredibilmente non numeroso come avrebbe dovuto essere ma formato da orecchie esperte ed esigenti, dedicato a Simon Boccanegra e alla festosa esultanza per la sua elezione a Doge.

Un evento da ricordare, come l’Arena ne ha regalati tanti, negli anni e in questa stagione. Si è respirata atmosfera da serata di gala, con il Sovrintendente e Direttore artistico Cecilia Gasdia ad accogliere i numerosi ospiti, tra cui il suo omologo alla Scala Dominique Meyer, la cui presenza a Verona ha confermato l’importanza di questa partnership che, ci auguriamo di cuore, possa produrre frutti anche in futuro.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 31 agosto 2023
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona