L’allestimento di Tosca firmato da Hugo de Ana nel 2006 è uno dei meglio riusciti tra quelli da lui ideati per l’Arena di Verona. Dimostrazione ne è che questo spettacolo a ogni ripresa mantiene immutato il suo fascino, basato sugli elementi scenografici imponenti, sui richiami simbolici, sugli abiti sontuosi con i quali il regista di Buenos Aires, ideatore anche di scene, costumi e luci, proietta il pubblico nella Roma papale del 1800. Una città cupa, dove il potere assume declinazioni efferate.

La carta vincente (ricordiamo distintamente la conferenza stampa del regista, diciassette anni fa) sta nella capacità di de Ana di conciliare, con maestria, due aspetti opposti: la grandiosa spettacolarità di cui l’Arena necessita e una dimensione raccolta, focalizzata sulla psicologia dei personaggi. Un contesto dalle tinte scure e dalla spiccata drammaticità che, sulla scia pucciniana, miscela sapientemente amore e passionalità, slanci patriottici e un potere che lo spietato barone Scarpia, capo della polizia papalina, esercita con crudeltà mediante inganni, torture, uccisioni. Già nel libretto che Illica e Giacosa attinsero al romanzo di Sardou, e nelle sublimi pagine di Puccini, si trova la contrapposizione tra eros e thanatos, tra arbitrio del potere e brama di “prede” amorose da “ghermire”. E si trova nitido l’autoritarismo di Scarpia che, al suo ingresso nella cappella della chiesa di Sant’Andrea della Valle, fa cadere il dipinto che Cavaradossi sta completando, calpestando assieme alla tela anche il sentimento d’amore di cui “brama” appropriarsi.

Castel Sant’Angelo viene identificato con la grande testa dell’Arcangelo Michele: un braccio della statua impugna la spada, abbassatasi nell’ultimo atto dando compimento alle parole “giustizia le sue sacre armi depose”. L’altra mano invece regge un rosario, rimosso allorquando la chiesa, intesa come organismo politico, raggiuge il culmine della propria devianza. Aspetto quest’ultimo rimarcato dal regista, che, durante il Te Deum, immagina i porporati – sia quelli in processione sia quelli affacciati ai finestroni apertisi con coup de theatre sulla parete di fondo – dai volti mummificati o scarnificati a teschi, a simboleggiare il deterioramento dell’istituzione ecclesiastica.

Al posto del fumo dell’incenso, la polvere sollevata dai colpi di artiglieria, echi delle battaglie napoleoniche che riverberano all’interno della chiesa di Sant’Andrea della Valle. Bei tempi erano quelli in cui lo sparo di cannone che annuncia la scoperta della fuga di Angelotti era talmente forte da far sobbalzare il pubblico sulle poltroncine dell’Arena di Verona, tra grida di sorpresa. Quest’anno il colpo è stato molto soft, come era prevedibile visto anche il mancato permesso di sparare i fuochi di artificio già registrato in altri titoli della presente stagione.

Nell’ultimo atto Cavaradossi muore fucilato, legato a una croce, mentre il suicidio di Tosca, che non si getta dai bastioni della fortezza, coincide con la sua ascesa al cielo sulla testa dell’Angelo, brandendo un crocifisso. A lei, de Ana affida la missione di ricondurre il sentimento religioso a “fe’ sincera” d’elevata purezza. 

L’ultima recita del titolo era affidata a una coppia soprano-tenore molto affiatata e già collaudata in altri contesti. Il ruolo protagonistico è stato ricoperto da Anna Pirozzi, Floria Tosca mai, neppure per un momento, soggiogata dal fascino noir del barone ma sempre padrona della situazione, dal carattere volitivo e dominante sia sul suo aguzzino sia sull’innamorato Mario, per il quale prova amorevole e dolce affetto. Forse sono risultati troppo marcati i moti di gelosia, che hanno divertito il pubblico. Il soprano partenopeo possiede il giusto temperamento per far vivere l’eroina pucciniana; la sua voce è corposa, dalla potenza dirompente, con acuti d’acciaio che svettano limpidi e saldi, ottimamente proiettati. E sfodera anche una vasta tavolozza coloristica, sapientemente sfumata nei filati espressivi.

Suo partner, il pittore Mario Cavaradossi, era Freddie De Tommaso. Gli acuti sono sgorgati naturalmente, senza forzature, e la linea stilistica è risultata omogenea. Le due romanze affidategli da Puccini sono state risolte con coinvolgimento emotivo. Dal punto di vista attoriale, il tenore britannico nelle cui vene scorre anche sangue italiano, ha dimostrato maggiori slanci patriottici che non passionali, in una sorta di totale abbandono ai voleri dell’amata.

Il baritono Luca Salsi ha indossato con eleganza le vesti finemente ricamate del perfido Scarpia, confermandosi artista che costituisce solida garanzia. Il personaggio era ben costruito: ambiguo, cattivo, sprezzante, insensibile, caratteristiche supportate dal fraseggio scolpito. La voce potente, omogenea in tutti i registri e supportata da una tecnica da manuale, è stata ben calibrata nelle dinamiche anch’esse tarate in funzione dell’espressività.  

Una nota di merito va al basso georgiano Giorgi Manoshvili a interpretare il fuggiasco Angelotti, dalla stupenda voce scura ma luminosa e dal canto nobile e tornito.

A dosare attentamente il Sagrestano, figura buffa ma non troppo, era Giulio Mastrototaro; gli sgherri Spoletta e Sciarrone erano Carlo Bosi e Nicolò Ceriani; il Carceriere Dario Giorgelè. Al debutto la giovanissima voce bianca di Jacopo Lunardi come Pastore che ha cantato lo stornello all’alba in apertura dell’ultimo atto.

Francesco Ivan Ciampa ha diretto l’Orchestra di Fondazione Arena e il Coro preparato da Roberto Gabbiani, oltre al coro di voci bianche A.d’A.Mus. istruito da Elisabetta Zucca. Ciampa ha approcciato la partitura con attenzione ai dettagli, alle atmosfere oltre che ai colori pucciniani, e si è adoperato per supportare al meglio le voci.

La serata si è aperta con un omaggio da parte dei quattro corni dell’Orchestra areniana a Giovanbattista Cutolo, cornista ventiquattrenne della Scarlatti Young ucciso il giorno prima a Napoli per futili motivi: «Fondazione Arena si unisce al cordoglio della famiglia e ricorda in questo modo un giovane cornista che ha dedicato la sua vita alla musica e all’arte, esempio per tanti ragazzi».

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona l’1 settembre 2023
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona

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