Per comprendere all’istante lo stile direttoriale di Ezio Bosso bisogna osservarlo, oltre che ascoltarlo. Gli attacchi nitidi, il gesto ampio e deciso, una mano protesa all’insieme e l’altra alle sezioni strumentali. E il viso perennemente sorridente di chi vive la musica con gioia e un entusiasmo contagioso.

I Carmina Burana hanno segnato il debutto del direttore Bosso, all’Arena di Verona, con esiti trionfali.
Bosso ha guidato i novantanove professori dell’orchestra areniana, in forma smagliante e capaci di amalgamarsi pastosamente quanto di far emergere le voci dei singoli strumenti, attraverso una lettura ricca di accenti e colori luminosi, che hanno risvegliato la vera essenza del capolavoro di Carl Orff, in bilico tra antichità e modernità. L’ennesima ciliegina sulla torta di una stagione bulimica di eventi straordinari e che anche in questa occasione ha registrato il sold out con quattordicimila spettatori, più i trecentoventi esecutori.

Con temperamento sparso generosamente, il direttore si è prodigato in decisi chiaroscuri, in tinte materiche in cui le zone buie non erano mai cupe, gli slanci impetuosi o gaudenti, le parentesi amorose intrise di tenerezza, i momenti di raccoglimento carichi di pathos.

Tra il 1935-36 Carl Orff trasse i suoi Carmina Burana, in latino, tedesco e provenzale, da melodie d’epoca medievale divulgate dai Clerici vagantes, goliardi ed epicurei. Ventiquattro brani desunti da una raccolta di testi poetici del XI e XII secolo ritrovati nel monastero di Benediktbeuern in Baviera e tramandati in un codice miniato del XIII secolo, il Codex Latinus Monacensis 4550 o Codex Buranus, da cui il nome. La cantata scenica non possiede una trama, ma accosta racconti seguendo la casualità di un giro della ruota della Fortuna imperatrix mundi, celebrata nel brano di apertura che inneggia alla drammaticità del fato, e richiamato anche in chiusura. Momento in cui la luna cangiante proiettata sulle gradinate e i ricami di luci di Paolo Mazzon hanno lasciato il campo ai suggestivi fuochi, dapprima tremolanti fiammelle, poi ingigantiti seguendo il crescendo musicale fino a raggiungere vampe di altezza impressionante, come solo in un teatro speciale come l’Arena è dato vedere.

Protagonista, in pagine di estrema difficoltà, la formazione corale “adulta” di centocinquantotto elementi, diretti da Vito Lombardi, assieme a sessantuno giovani voci bianche, frutto dell’unione tra i Cori A.d’A.Mus diretto da Marco Tonini e A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani. Il risultato d’assieme è stato entusiasmante per la coesione, per le voci spesso sembrate una sola tanta era l’intelligibilità della dizione, per la consapevolezza interpretativa frutto dell’approfondimento sul testo scritto oltre che musicale. Al debutto in questo titolo Ruth Iniesta, dall’emissione tornita, flautata, dai fiati lunghi. Di grande esperienza nel ruolo, Mario Cassi e Raffaele Pe. Il baritono Cassi ha mostrato rotonda corposità nei registri intermedi, assottigliatasi nel raggiungere le note falsettistiche previste dalla partitura. Sensibilità interpretativa ed eleganza di fraseggio per il controtenore Pe, avvezzo al repertorio barocco e a proprio agio con le reminiscenze di Orff.  
«Che bello, oggi» ha sintetizzato Bosso raggiante al microfono, prima di alzare la bacchetta per il bis, richiesto con una lunga standing ovation, e dare appuntamento al 23 agosto 2020 con la Nona sinfonia di Beethoven.
La aspettiamo con la gioia di un Inno, Maestro.

Recensione di Maria Luisa Abate

Visto all’Arena di Verona l’11 agosto 2019
Contributi fotografici: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona