Messa in scena cruda e angosciante firmata Giancarlo Nicoletti per il romanzo distopico dello scrittore britannico.    

Oltre che essere considerato uno dei maggiori autori del XX secolo, Orwell è tra quelli che più hanno subito la mania per le citazioni spicciole che imperversa oggigiorno in televisione e in pubblicità. Ci chiediamo quanti, sentendo nominare il Grande Fratello, pensino a Orwell e quanti invece alla trasmissione di gossip che, unica assonanza stiracchiata con lo scrittore, si basa sullo spiare gli altri dal buco della serratura. In ciò, di autenticamente orwelliano, c’è il lavaggio del cervello dealfabetizzante che subiamo dai mass media.

Eric Arthur Blaire, che usava il nome George Orwell come pseudonimo letterario, nato in India e vissuto, dal 1903 al 1950, a Parigi in Spagna e in Marocco oltre che nel Regno Unito, docente, giornalista, soldato e corrispondente di guerra, impegnato nella lotta sociale, attivista politico, dissidente nei confronti degli intellettuali inglesi, ateo, dichiaratamente di sinistra tuttavia oppositore della sinistra sovietica, si professava contrario a ogni totalitarismo, essendo in favore di quello che allora era chiamato “socialismo democratico”. Sulle forme dittatoriali ha incentrato i suoi due più celebri romanzi: “La fattoria degli animali” e “1984”. Famoso per le situazioni distopiche ambientate in un immaginario futuro, Orwell ha proposto una rilettura della società a lui contemporanea, non troppo dissimile da quanto oggigiorno accade in molti angoli del Pianeta.

Orwell era oppositore di ogni forma di tirannia, travalicando il concetto di destra o di sinistra: la vera dittatura, nel XX secolo come anche nel XXI, è la globalizzazione mediatica e tecnologica. Aggiunge il regista dello spettacolo teatrale nelle sue note: «Il nostro Grande Fratello e l’Oceania di Orwell in scena, vivranno non in una dittatura del secolo scorso, ma nelle odierne Silicon Valley, negli Apple Store, a Guantanamo o in Iraq, in una diretta streaming o nel mondo dell’intelligenza artificiale e fonderanno il proprio potere sull’invasione della sfera privata […]. La suggestione che il Big Brother possa essere solo un algoritmo e non un politico in carne ed ossa, peraltro, è già insita anche nelle pagine del romanzo».

Il titolo “1984” indica l’anno di un diario trovato da un gruppo di storici nel 2050 e scritto dal compagno 6709, Winston Smith. In questo romanzo di fantapolitica, Orwell ha immaginato il mondo dominato da un capo supremo, il Grande Fratello, che forse esiste o forse no perché nessuno lo ha mai visto. Un regime che all’apparenza nulla vieta ma che impone regole e leggi con la forza bruta. La “Polizia Mentale” ha il potere di togliere agli individui ogni libertà, anche quella di avere idee proprie, anche quella di amare. Non si tratta “solo” di negazione della discrezionalità di pensiero: Orwell parla di condizionamento di pensiero e suggerisce a noi lettori, in questo caso spettatori, di dubitare anche di noi stessi, perché le nostre menti potrebbero essere state manipolate a nostra insaputa.

“1984” è stato portato in scena nella produzione di Federica Luna Vincenti per Goldenart Production (con il contributo del Ministero della Cultura / Direzione Generale Spettacolo dal vivo) avvalendosi del nuovo adattamento di Robert Icke e Ducan Macmillan che ha riscosso entusiastici consensi a Londra e a Broadway per aver dato particolare risalto all’appendice del libro, aprendo, nel finale, uno spiraglio di speranza nel pessimismo orwelliano. Questa versione è stata tradotta da Giancarlo Nicoletti, che ha pure firmato la regia. Dopo diverse anteprime, lo spettacolo ha debuttato ufficialmente in prima nazionale al Teatro del Giglio di Lucca nel novembre 2023 e pochi giorni dopo è arrivato al Teatro Sociale di Mantova nell’ambito della stagione Mantova Teatro, registrando il tutto esaurito.

Alcune avvertenze sono state annunciate al microfono: lo spettacolo non era adatto agli spettatori più suggestionabili perché presentante scene di violenza (che si è specificato essere simulata), spargimento di sangue (che si è puntualizzato essere finto), suoni improvvisi e disturbanti ed effetti di luce stroboscopica. Forse queste indicazioni sarebbe stato meglio fornirle prima che gli eventuali soggetti sensibili si fossero seduti in sala. Dubitiamo anche che fosse sufficiente la limitazione ai minori di 14 anni, età in cui ancora si è suggestionabili e a rischio emulazione. Azzeccata l’idea di fornire agli astanti un tagliandino con un QR code contenente le indicazioni sul comportamento da tenere: in tal modo lo spettatore è entrato a far parte della distopia orwelliana (i nostri lettori possono consultare il sito: https://www.goldenartproduction.com/1984-istruzioniperluso/ ). Tutto ciò a dirci, ancor prima che si aprisse il sipario, che il Grande Fratello era lo spettatore stesso che guardava, ma allo stesso tempo era guardato, controllato, irreggimentato.

L’allestimento ha tratto forza da quel grande uomo di teatro che è lo scenografo Alessandro Chiti, il quale si è avvalso di videoproiezioni, di telecamere a circuito chiuso e di effetti speciali, completati dal disegno video visionario di Alessandro Papa. In una stanza spoglia e asettica si sono aperte finestre su altri ambienti dove è stata utilizzata una macchina da presa in diretta. Ciò ha efficacemente permesso di mostrare le due facce del condizionamento mentale: quello dell’imposizione e quello del tentativo di sottrarsi a essa; il crudele lavaggio del cervello cui è stato sottoposto l’impiegato ribelle e la realtà “altra”, il negozio di un antiquario dove sentimenti e pensieri potevano esprimersi liberamente, sia pure in un contesto onirico di utopia.   

Lo spettacolo come detto era firmato alla regia da Giancarlo Nicoletti (Premio Franco Enriquez 2023), coadiuvato da Paola Marchesin per i costumi, indicatori visivi efficaci; da Giuseppe Filipponio alle luci, livide per la stanza dell’interrogatorio e calde per il luogo del libero arbitrio; dal duo Oragravity che ha composto musiche originali appropriatamente ansiogene.

Il regista Nicoletti ha privilegiato la linea profetica della proiezione in un futuro che ha sovvertito il tradizionale concetto di tempo. L’avvenire, per Orwell, è il 2050, quando gli studiosi trovano il diario scritto nel 1984, così come questo anno, per noi passato, può essere il nostro futuro. Ieri, oggi e domani possono coincidere. Nicoletti ha scelto la via della descrittività cruda, brutale, senza edulcorazioni. I protagonisti erano solo corpi, ossia macchine umane controllate da macchine tecnologiche. Lo spettacolo ha scioccato e ha turbato gli spettatori instillando il dubbio che la distopia descritta possa davvero realizzarsi, o sia già stata messa in atto nel nostro presente con metodi meno cruenti, subdoli e insinuanti.

Winston Smith, impiegato al “Ministero della Verità” con il compito di modificare i testi scritti per adeguarli alla “neolingua” e ai dettami del Grande Fratello era Woody Neri, dapprima assalito da dubbi, poi proteso alla ricerca della verità e infine della libertà, impaurito dal sentimento d’amore, incredulo e terrorizzato dalle torture subite. Fino al cedimento mentale, fino a quando il fisico martoriato ha chiesto che a essere seviziata fosse, al suo posto, la donna amata. Violante Placido nei panni di Julia ha portato una ventata di freschezza, di sincerità, di speranza.

Il doppiogiochista che dapprima ha accolto i due nel movimento clandestino della “Fratellanza”, poi si è svelato essere un funzionario dell’autorità, era Ninni Bruschetta che ha impersonato O’Brien, dalla crudeltà lucida, razionale, priva di qualsivoglia sensibilità: prima di essere giustiziati, i dissidenti dovevano essere ricondizionati per non poter ribellarsi neanche nella Morte. Hanno completato il cast, tra inquisitori e aguzzini, Silvio Laviano, Brunella Platania, Salvatore Rancatore, Tommaso Paolucci, Gianluigi Rodrigues, Chiara Sacco.

Uno spettacolo di efficacia drammatica al quale è forse mancato un tassello: quella poesia che il teatro deve intrinsecamente possedere, nelle commedie come pure nelle tragedie. Parallelamente, l’assenza di lirismo ha costituito un punto di forza dell’allestimento. La poesia, e il concetto stesso di teatro, sono stati orwellizzati, ossia spersonalizzati, ridotti a strumenti di mero utilizzo. Così il cerchio si è completato: non uno spettacolo che ha inscenato Orwell, ma Orwell che si è impadronito della scena in una materializzazione non meta-teatrale bensì meta-autorale. I preannunciati 101 minuti (dal numero della stanza dove avviene la tortura) “di adrenalina pura” si sono piuttosto rivelati 101 minuti di pura angoscia, di incubo a occhi aperti dal deflagrante impatto emotivo.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Sociale di Mantova – Mantova Teatro, il 27 novembre 2023
Fotografie di scena di Azzurra Primavera – Goldenart production.

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