Il Terrazzo di Giunone, attiguo alla Sala degli Elementi nel museo di Palazzo Vecchio, è stato restaurato ed è tornato ad ospitare il Putto del Verrocchio, anch’esso sottoposto ad accurato restauro nei mesi scorsi, finalmente nella sua abituale collocazione dopo le mostre a Palazzo Strozzi e alla National Gallery di Washington.
I lavori di restauro, dal costo di circa 60 mila euro complessivi, sono stati presentati il 28 febbraio 2020 a Palazzo Vecchio alla presenza dell’assessore alla cultura Tommaso Sacchi, della presidente della Fondazione Friends of Florence Simonetta Brandolini d’Adda, e dei tecnici e restauratori coinvolti.

«Siamo orgogliosi – dichiara Tommaso Sacchi assessore alla cultura del Comune di Firenze(n.d.r. nelle foto)che il Putto con delfino di Andrea del Verrocchio, una delle più note icone di Palazzo Vecchio fin da quando Cosimo I de’ Medici lo fece porre sulla fontana al centro del cortile di Michelozzo, torni finalmente nella sua casa originaria appena rimessa a nuovo e splendida come un tempo dopo essere volato negli Stati Uniti per una straordinaria mostra nell’anno leonardiano. Ringraziamo Friends of Florence e la presidente Simonetta Brandolini d’Adda per la sensibilità dimostrata verso il nostro patrimonio culturale: siamo onorati di averla al nostro fianco nella cura per i nostri monumenti e beni storico-artistici».

«Il ritorno del Putto del Verrocchio dopo le mostre a Palazzo Strozzi e alla National Gallery di Washington e la sua definitiva ricollocazione nel Terrazzo di Giunone appena restaurato dalla nostra Fondazione, completa un luogo di unica bellezza e di grande pregio storico artistico – sottolinea Simonetta Brandolini d’Adda, presidente di Friends of Florence (n.d.r. nelle foto) – Ringrazio a nome di Friends of Florence, Ellen e James Morton, tutto il board della Fondazione, Jon e Barbara Landau, Fabrizio Moretti, cioèi donatori che hanno reso possibile questi interventi, il Comune di Firenze che ci ha offerto questa opportunità, la Soprintendenza che ci ha accompagnati nel lavoro e i restauratori che hanno realizzato gli interventi al Terrazzo di Giunone e al Putto del Verrocchio».

IL TERRAZZO DI GIUNONE NEL QUARTIERE DEGLI ELEMENTI DI PALAZZO VECCHIO (1556-1557)
Affreschi di Giorgio Vasari, Cristofano Gherardi e Marco Marchetti da Faenza. Soffitto: Giunone sopra un carro trainato da pavoni, tra le allegorie dell’Abbondanza e della Podestà.
Pareti: Giunone, Giove e la sua amante Io trasformata in una vacca / Giunone, Giove e la sua amante Callisto trasformata nella costellazione dell’Orsa minore / Fontana con putto / Grottesche. Stucchi su disegno di Bartolomeo Ammannati (?). Putto con delfino: Andrea di Michele di Francesco Cioni, detto Andrea del Verrocchio, 1470-1475 circa, bronzo

Il terrazzo di Giunone si trova tra le «stanze nuove» che Cosimo I de’ Medici fece costruire all’indomani del suo trasferimento dalla residenza di famiglia al palazzo che per oltre due secoli aveva ospitato il governo comunale e repubblicano della città, per adattare l’austero edificio medievale alle esigenze di comodità e di sfarzo di una corte aristocratica, di prestigio europeo, come quella che il secondo duca di Firenze ambiva a costituire. Ubicato nell’ala sud-orientale del piano nobile del palazzo, fa parte del cosiddetto Quartiere degli Elementi, destinato ad accogliere gli ospiti della corte e costruito sotto la direzione di Battista del Tasso tra il 1551 e il 1555, ma subito dopo modificato dall’architetto e pittore Giorgio Vasari, il principale artefice della trasformazione dell’antico Palazzo dei Priori o della Signoria in una sontuosa reggia ducale. Al Vasari e ai suoi collaboratori si devono i preziosi palchi lignei dipinti, gli stucchi e gli affreschi che decorano le sale del quartiere con storie della prima stirpe delle divinità mitologiche. Il complesso programma iconografico sotteso a questa decorazione, ideato dall’erudito Cosimo Bartoli, è volto a paragonare, in chiave celebrativa, gli “dei celesti” raffigurati in queste stanze ai personaggi illustri del casato mediceo, “dei terrestri”, ai quali sono dedicate le sale perfettamente speculari del sottostante Quartiere di Leone X.
Il terrazzo di Giunone, portato a compimento nel 1557, oggi si presenta come una stanza di modeste dimensioni, ma è così detto perché in origine era una loggia con colonne che si affacciava sul versante nord-orientale della città, secondo quanto riferisce Giorgio Vasari nei suoi Ragionamenti, progettata per accogliere, al centro, una fontana e, sul lato interno, una statua antica della dea che sarebbe dovuta arrivare da Roma, per dono di Baldovino del Monte.

La fontana non fu mai realizzata, ma resta a rievocarne il progetto il dipinto che Cosimo I fece eseguire per modello sulla parete interna, rappresentante una finta nicchia con un putto alato in bronzo dorato che, al centro di una vasca circolare, versa acqua da un vaso, con un piede sopra la testa di un delfino. Non si hanno altre notizie neppure della statua di Giunone che potrebbe non essere mai giunta a Firenze. Nella stessa parete, al di sopra della finta fontana, si conserva però la grande nicchia che avrebbe dovuto ospitarla, incorniciata da una spettacolare mostra in stucco con erme, mascheroni e ghirlande in rilievo.
Maestose cornici in stucco riquadrano anche gli affreschi che decorano la volta e i sovrapporta della parte chiusa dell’antica loggia – di collegamento tra gli adiacenti locali del quartiere – con storie di Giunone, figlia di Saturno e Opi, sorella e moglie di Giove, «dea dell’aria, delle ricchezze, e de’ regni, e de’ matrimoni».
Analogamente a tutti gli altri terrazzi e terrazzini che furono costruiti durante la ristrutturazione cinquecentesca del palazzo, la loggia era principalmente destinata alla duchessa e alle sue dame di corte che, in assenza di giardini interni, qui potevano recarsi a «pigliare aria» e svagarsi alla vista di un bel panorama. Come riferisce lo stesso Vasari nei Ragionamenti, l’intitolazione a Giunone era quindi dedicata a Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, che nella corte ducale aveva eguagliato le virtù della dea portando serenità tra i sudditi, elargendo doni e combinando matrimoni proficui. Giunone compare al centro della volta, secondo l’iconografia tradizionale, su di un carro trainato da due pavoni, animali a lei sacri, tra le personificazioni dell’Abbondanza e della Podestà. Nei due riquadri affrescati sopra le porte di passaggio, la dea è invece evocata nel suo ruolo di moglie gelosa che punisce le amanti del suo sposo per essersi assoggettate «fuor del vinculo matrimoniale»: la ninfa Callisto, da lei trasformata in un’orsa che sarebbe poi divenuta la costellazione dell’Orsa Minore e la giovane sacerdotessa Io, mutata da Giove in una vacca nel tentativo di ingannare Giunone, ma da quest’ultima richiesta in dono e segregata con tali sembianze sotto la custodia del pastore Argo.

Il terrazzo venne trasformato in una stanza chiusa a seguito dei successivi interventi di ampliamento del lato del palazzo prospiciente via dei Leoni. Il loggiato era sicuramente già tamponato alla fine del XVIII secolo. Oggi ospita al centro il celebre Putto con delfino di Andrea del Verrocchio, icona di Palazzo Vecchio, ammirato capolavoro di una delle personalità artistiche più importanti del Quattrocento fiorentino: orafo, scultore e pittore, a capo di una fiorente bottega nella quale si formarono maestri del calibro di Leonardo da Vinci e Perugino, per citare solo due esempi. Il bronzo venne realizzato da Verrocchio su commissione di Lorenzo de’ Medici per una fontana della villa medicea di Careggi, presumibilmente nella prima metà dell’ottavo decennio del Quattrocento. A Palazzo Vecchio giunse da Careggi nel 1557, per volontà del duca Cosimo I de’ Medici che lo aveva scelto come coronamento della fontana in marmo e porfido al centro del cortile di Michelozzo, realizzata in quel periodo da Francesco Ferrucci detto il Tadda, Raffaello di Domenico di Polo e Andrea di Domenico, su progetto di Giorgio Vasari e Bartolomeo Ammannati. Rimase nel cortile finché tra il 1957 e il 1959 fu deciso di trasferirlo all’interno del museo per motivi di conservazione e sostituirlo in situ con una copia in bronzo di Bruno Bearzi. Inizialmente sistemato nella Sala della Cancelleria, alla metà degli anni Ottanta giunse infine nel Terrazzo di Giunone, dove sembra rievocare la fontana che Giorgio Vasari avrebbe dovuto realizzare al centro della loggia e dialogare con l’analogo putto in bronzo dorato che qui era stato dipinto, come «modello», in vista dell’attuazione di quel progetto.

IL RESTAURO DEL TERRAZZO DI GIUNONE
Gli affreschi presentavano estese ridipinture, numerose ricostruzioni e stesure di colle e resine di varia natura, frutto di interventi di restauro precedenti. Si potevano individuare sollevamenti e cadute della pellicola pittorica, distacchi tra gli strati preparatori e varie stuccature. Allo scopo di mantenere la lettura dell’opera, si è reso necessario salvaguardare in larga misura le ricostruzioni, senza però compromettere la qualità e la materia cromatica degli affreschi originali. L’intervento di pulitura, preceduto dal preconsolidamento delle scaglie decoese, ha richiesto una particolare attenzione. Sono stati effettuati impacchi di carbonato d’ammonio applicati su carta giapponese e supportati da polpa di cellulosa, sepiolite o gel di agar-agar. Questa delicatissima fase ha permesso il recupero delle pitture originali e di salvare, attenuandolo, l’intervento ricostruttivo che interessava brani fondamentali del testo pittorico, quali la testa di Giunone, parte del corpo e i pavoni. Gli stucchi erano ricoperti da uno spesso strato di polveri incoerenti ed erano interessati da una patinatura giallastra, diffusa anche sui fondi bianchi delle decorazioni a grottesche. Alcune cornici modanate erano deteriorate. La pulitura dei rilievi a stucco di malta di grassello è stata eseguita con l’applicazione di carta giapponese e una soluzione di tensioattivo neutro. L’asportazione controllata della patinatura applicata in superficie ha messo in luce diverse ricostruzioni pertanto, ove necessario, in particolare nelle sottili cornici modanate che presentavano stuccature a base di gesso, si è proceduto con il consolidamento tramite caseinato di calcio. Sia le vecchie stuccature che quelle nuove sono state mimetizzate con leggere velature ad acquerello.

Al termine dei lavori è stato inoltre ricollocato nella sala, il Putto con Delfino di Andrea del Verrocchio restaurato lo scorso anno in occasioni della Mostra “Verrocchio, il maestro di Leonardo” tenutasi a Firenze nelle sedi di Palazzo Strozzi e del Muo Nazionale del Bargello. Per salvaguardare le superfici affrescate, infine, è stata realizzata una protezione con vetri extrachiari temperati antiriflesso.
Anche l’impianto di illuminazione della sala è stato completamente rivisto. Sulla cornice in pietra serena che corre in alto, perimetralmente alla sala, sono stati installati faretti led di dimensioni contenute ma di ottima resa cromatica con ottica variabile che hanno consentito di migliorare notevolmente la visibilità sia delle superfici pittoriche, sia del putto in bronzo, e una barra led asimmetrica che illumina la volta a botte. I corpi illuminanti sono stati scelti per le loro caratteristiche, in funzione della superficie da illuminare e per la posizione obbligata sopra il cornicione.

IL RESTAURO DEL PUTTO CON DELFINO DI ANDREA DEL VERROCCHIO
Il restauro del Putto con delfino, compiuto alla vista dei visitatori del Museo di Palazzo Vecchio tra il 2018 e il 2019, è stato il primo intervento di tipo scientifico-conservativo eseguito su questo capolavoro dell’arte fusoria del Quattrocento. Lo stato di conservazione del bronzo presentava diverse problematiche. Il modellato era offuscato dai materiali dei precedenti restauri, dai segni di vecchi interventi condotti con tecniche e sostanze aggressive, in parte irreversibili, e da residui di calcare, lasciati dall’acqua che per molto tempo è fluita sulle sue superfici. Pertanto, si rendeva necessaria un’approfondita revisione dell’opera, sia per sanare le situazioni di degrado, che per riportare in luce dettagli non più visibili.
La pulitura è stata effettuata in gran parte con tecniche chimiche, mediante impacchi con soluzioni a base acquosa, e completata, in alcune aree, con l’impiego localizzato di strumenti meccanici di precisione, a ultrasuoni e pneumatici. Nel rispetto delle patine secolari, sono state rimosse le alterazioni instabili ed eliminate le corrosioni. Le piccole lacune e altri inestetismi superficiali sono stati trattati con microstuccature e velature puntuali a cera pigmentata, prima della stesura del protettivo finale specifico per i bronzi, al fine di riequilibrare i passaggi tonali del modellato a tutto tondo e migliorarne la leggibilità.
Il restauro è stato accompagnato da un’ampia campagna di indagini diagnostiche e studi tecnici che, oltre a fornire informazioni sulle problematiche di conservazione utili per l’individuazione della migliore metodologia di intervento, ha permesso di acquisire nuove importanti conoscenze sulle modalità di lavoro dello scultore. La copiosa documentazione raccolta comprende fotografie delle varie fasi dell’intervento, immagini al microscopio ed endoscopiche, scansioni 3D e mappature grafiche.

C.S.
Fonte: Ufficio Stampa Comune Firenze

Contributi fotografici: VECCHIO FOTO Enrico Ramerini / CGE Fotogiornalismo

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