Il sottoporticato di Palazzo Ducale a Genova ospita la mostra “Obey fidelity. The art of Shepard Fairey”. L’esposizione offre l’occasione di conoscere il lavoro di uno degli street artist più famosi al mondo, la cui fama a livello mondiale è legata alla realizzazione del manifesto con l’immagine stilizzata in quadricromia di Barack Obama, dal tiltolo Hope, divenuto nel 2008 l’icona della campagna elettorale del futuro presidente degli Stati Uniti.

La mostra Obey fidelity. The art of Shepard Fairey è un viaggio visivo che incrocia quattro punti tematici – Donna, Ambiente, Pace, Cultura – ricreando a Palazzo Ducale un’ideale passeggiata nella notte metropolitana. Le opere in mostra sono parti organiche della stessa famiglia, una conversazione urbana tra messaggi militanti, visioni pacifiste, passioni solidali. Obey stimola riflessioni sui temi umanitari, sui passaggi esistenziali, sulle utopie sociali, sui valori di giustizia al di sopra delle leggi.

«Il suo messaggio pacifista ed ecologista ci rende piccoli “soldati” di una nuova militanza, fatta di spazi etici del confronto, di nuovi modelli del vivere, di azioni sane e consapevoli – spiega il curatore Gianluca Marziani – Fate arte al posto della guerra. Fate l’amore al posto della guerra. Celebrate la Bellezza al posto della violenza. Denigrate il Male con alti dosaggi di consapevolezza morale. É come se gli anni Settanta delle culture antagoniste tornassero a nuotare nel mare fluido del web, come se lo spirito dei nostri paladini freak rivivesse nella Politica Estetica di un mondo migliore per gente migliore».

Grazie alle opere in mostra dell’artista americano Shepard Fairey, nome in codice Obey, che appare anche nel documentario di Banksy sull’arte urbana Exit Through the Gift Shopveniamo introdotti nel suo universo cartaceo dallo stile inimitabile, basato sulle grafiche sovietiche e futuriste di inizio Novecento, sulle pitture parietali latinoamericane, sui muralismi italiani alla Mario Sironi.

«Obey crea immagini urlanti, semplificate nella palette cromatica, puro equilibrio di pesi tra testo e immagine – aggiunge il curatore Stefano Antonelli – I formati tendono al gigantismo quando il contesto prescelto è la strada, diminuiscono nel caso di oggetti funzionali al progetto (cover di album, skateboard, poster, oggetti…), in entrambi i casi traduce nel presente i vecchi stilemi della propaganda muralista. Crea stampe cartacee bollenti, carne viva che brilla sotto il sole della civiltà, trasformando gli sguardi in un valore d’azione. Organismi caldi con una loro implicita respirazione, sembra di sentire l’urlo catartico di Angela Davis o la speranza democratica di Barack Obama, con le loro silhouette che catturano le giuste frequenze e si prendono il palcoscenico mediatico del nuovo millennio”.

Tra le opere in mostra alcune immagini iconiche, come Hope in cui Obey raffigurò nel 2008 il futuro Presidente degli Stati Uniti Barak Obama. Non una committenza, ma spontaneo sostegno al politico che apprezzò l’opera al punto tale da scrivere all’artista, una volta eletto: «Ho il privilegio di essere parte della tua opera d’arte e sono orgoglioso di avere il tuo sostegno». Il ritratto Hope divenne talmente famoso da entrare a far parte della collezione permanente della National Gallery di Washington fu e giudicato da Peter Schjeldah, critico d’arte del New Yorker, «la più efficace illustrazione politica americana dai tempi dello Zio Sam».

«Obey produce immaginari simbolici ad alto valore emozionale – continua Marziani – La sua arte su carta attrae i nostri sensi in modo spontaneo, ampliando il linguaggio informativo dei muri metropolitani. Fairey ha capito che le pareti stradali rappresentano la prima pagina della comunicazione virale, una nuova home page da cui non puoi sottrarti e che ti avvolge nei rituali quotidiani. Non è un caso che brand come Gucci usino i muri per creare testi in forma di pittura urbana. E non è un caso se i poster di Obey li noti in un istante, come il lampo che buca il cielo notturno. Un breve flash che resta sulla retina e produce conseguenze, più o meno immediate ma reali, piccole istigazioni alla Bellezza che usano la memoria grafica per una rinata coscienza del Tempo Estetico nelle costanti del Tempo Politico».

In mostra serigrafie e litografie provenienti da collezioni private che fanno di Obey il prototipo fluido del nuovo artista politico, perché ha capito che i temi scottanti si affrontano con simboli e intelligenza visiva, con l’impatto rapido di un messaggio in cui riconoscersi senza confondersi. Tra queste We the people – defend dignity una grafica politica in risposta diretta al sentimento promosso dall’attuale amministrazione statunitense, che fa parte di una serie di 3 ritratti per la campagna We the People pubblicata da Amplifier Art il 21 gennaio 2017, in concomitanza con la Marcia delle Donne, la più grande protesta di un solo giorno nella storia degli Stati Uniti. La rosa rossa, che rende unico il ritratto della giovane e bellissima immigrata, rimanda all’estetica della moda Xicana e Mexicana, dai ballerini di danza folcloristica ai fiori che adornano le donne durante il Dia de los Muertos. Ma i riferimenti all’attualità sono continui e proficui nell’opera dell’artista figlio di un medico e di una agente immobiliare, cresciuto nella Carolina del Sud, dove ha seguito studi artistici e nel 1988 si è diplomato presso l’Accademia d’Arte. Ultimo tra questi riferimenti è Angel of Hope and Strength dove un’infermiera con ali celestiali e una fiaccola in mano, evoca gli eroi che hanno combattuto l’epidemia di covid-19. L’opera, realizzata nel maggio 2020, è finalizzata alla stampa su magliette la cui vendita andrà a sostenere le attività della Croce Rossa Italiana.

«Obey – aggiunge ancora Antonelli – crea simboli virali e replicabili, produttori di icone che alzino la soglia d’attenzione, che diano messaggi politici in maniera metaforica e condivisa». È il caso, ad esempio, di Angela Davis, figura fondamentale per il movimento afroamericano degli anni Settanta, che diventa uno dei soggetti preferiti di Shepard Fairey. Accusata di cospirazione, rapimento e omicidio in relazione al fallito tentativo di un gruppo di attivisti delle Black Panthers di liberare il detenuto nero George Jackson in un’aula di tribunale, la Davis fu arrestata e processata, diventando così popolare da mobilitare a suo favore un gran numero di persone che si riunirono in comitati e organizzazioni, non solo negli Stati Uniti ma anche in molti altri paesi. Obey la ritrasse più volte, una di queste immagini è in mostra, contribuendo a creare il mito di donna afroamericana, simbolo sia del femminismo che dell’uguaglianza razziale.

«MetaMorfosi – afferma il Presidente Pietro Folena – sta intraprendendo un percorso espositivo e divulgativo nei territori della nuova arte urbana e metropolitana, l’arte che compare sui muri delle nostre città, che trasforma palazzi fatiscenti o fabbriche dismesse in veri e propri musei all’aperto, che rendono la vita di chi guarda e passa un po’ più serena, e che prendono il posto delle vecchie immagini pubblicitarie. Obey, di quest’arte, è una delle massime espressioni mondiali. È un militante politico, impegnato in tutte le cause in cui sono in gioco valori non negoziabili. È immediatamente riconoscibile, come ci raccontano i curatori, e mette le sue radici nell’iconografia politica del Novecento, quando i manifesti erano la forma principale di educazione e di propaganda. La mostra di Genova propone un viaggio nell’opera di Shepard Fairey, che muove dai grandi protagonisti delle lotte civili e antirazziste per arrivare all’omaggio a infermieri e medici nei giorni del Covid-19. Anche per noi, e per Fondazione Palazzo Ducale, aprire questa mostra dopo la pandemia è un atto di coraggio e di speranza e, in qualche modo, un impegno per un mondo migliore».

L’esposizione, a cura di Gianluca Marziani e Stefano Antonelli, è prodotta e organizzata da MetaMorfosi in collaborazione con Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, con il sostegno della Camera di Commercio di Genova, promossa da Comune di Genova e Regione Liguria.

C.S.
Fonte: Ufficio Stampa Palazzo Ducale, 16 giugno 2020

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