Mantova Td’O. Violino, violoncello, pianoforte: solisti dalle carriere luminose riuniti in trio nel concerto che ha accostato Dvořák e Brahms.

Due autori coevi, l’uno di pochi anni più giovane dell’altro, dei quali sono state evidenziate affinità e diversità stilistiche. Del compositore ceco Antonín Dvořák, esponente della musica boema vissuto dal 1841 al 1904, e che da Praga e dopo molte frequentazioni in città europee si trasferì a New York acquisendo nuovi spunti, è stato proposto il Trio n.3 in fa minore op.65. Invece di Johannes Brahms, vissuto dal 1833 al 1897, tedesco ma viennese d’adozione, esponente del tardo romanticismo, è stato presentato il Trio n.2 in do maggiore op.87.

Tra i due correvano rapporti di amicizia oltre che di reciproche influenze musicali. Fu Brahms a far ottenere a Dvořák una borsa di studio che gli consentì di dedicarsi alla composizione, e in seguito lo segnalò a un editore. Brahms era legato al classicismo, Dvořák era più aperto alle nuove influenze, ma per entrambi costituirono forte stimolo ispiratore le melodie popolari, viennesi e ungheresi per l’uno, boeme e slave per l’altro. 

La violinista tedesca Mirijam Contzen, la violoncellista britannica Natalie Clein e il pianista di origine rumena Herbert Schuch sono tre solisti di spicco, apprezzati in ambito internazionale. Pluripremiati, vantano collaborazioni prestigiose e al Teatro Bibiena di Mantova si sono presentati in una inedita formazione cameristica, nell’ambito della Stagione Tempo d’Orchestra di Oficina OCM.

Nel Trio di Dvořák emerge l’aspetto più serio del compositore, il suo spirito tormentato. Qui l’autore supera, senza abbandonarli del tutto, i retaggi folkloristici per orientarsi verso una scrittura più europea, cosmopolita. Gli echi della formazione multiculturale e il pentagramma pervaso da diversi stati d’animo sanciscono la maturità compositiva raggiunta in questo lavoro che la critica definisce “il più brahmsiano di Dvořák”.

Anche il Trio di Brahms è una produzione matura, che si mostra in tutta la solidità dell’edificio musicale improntato alla razionalità. La ricchezza dei temi declinati nel gioco delle variazioni e gli slanci creativi sono cementati dalle connessioni melodiche e resi vividi dai balzi cromatici. 

Proprio alle due diverse strutture formali hanno dato particolare risalto Contzen, Clein e Schuch. Tutti protesi, grazie alla scioltezza tecnica, alla ricerca delle sfumature espressive. Come si diceva, i tre artisti hanno posto in risalto sia le diversità sia i punti di contatto tra gli stili dei due compositori, restituendo a ciascuno le giuste atmosfere, le tavolozze tonali, i costrutti: snello e sfaccettato Dvořák, rigoroso e grandioso Brahms.

Gli interpreti hanno giostrato tra l’alternarsi emotivo, in Dvořák dal doloroso al rasserenato, dall’inquietudine alla speranza, dai temi oscuri alle aperture radiose e disincantate. Mentre in Brahms – dove, rispetto a Dvořák, è richiesto maggiore impegno al pianoforte qui al culmine della sua potenzialità romantica – sono apparse in tutta la loro complessità le linee melodica e armonica, la molteplicità dei temi, gli affascinanti colori, ora enfatici, ora sommessi, ora raggianti, ora maestosi.

In entrambi i casi l’esecuzione ha reso piena giustizia ai compositori e parallelamente ha messo in luce le timbriche degli strumenti, posti tra loro in un colloquio le cui pulsioni sono state indirizzate a una lettura lucida, fluida, schietta e sincera.

Il bis, dedicato al secondo movimento dal Trio in re minore di Mendelssohn Bartholdy, ha chiuso tra gli applausi la serata.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto a Mantova, Teatro Bibiena, Tempo d’Orchestra, il 15 novembre 2023
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes